24 dicembre 2013

Tempo infame [ NYC #22 ]

Quando voglio sapere che tempo fa qui in America, leggo i giornali italiani.
Ho sempre pensato che, essendo nato durante un temporale, sia per quello che le condizioni meteorologiche non mi tocchino più di tanto. Non sono il tipo del meteoropatico. Amo la pioggia, il vento, il sole, la neve. Amo un po' meno l'afa, solo perché mi fa venire mal di testa. Ma, a parte quello, non sogno l'estate d'inverno e non mi lamento se a fine luglio fa caldo. Noto le stranezze fuori stagione, certo, come tutti quelli che vivono nei climi cosiddetti continentali. Ancora mi ricordo di un 22 febbraio caldissimo a Torino, una decina d'anni fa. Come probabilmente mi ricorderò che il 22 dicembre 2013, mio primo anno a New York, in città c'erano più di 20 gradi, anche se ormai sto abbandonando i centigradi e sto imparando a ragionare in fahrenheit: 68ºF sotto Natale non sono proprio la regola quassù, ma lo sono a Miami.
Quando bevo il mio caffè a colazione ho l'abitudine di aprire prima i giornali americani online, poi quelli italiani. Oggi, vigilia di Natale, quelli italiani dicono in prima pagina, a volte anche con il primo titolo, che l'America è devastata dal maltempo. Quelli americani si occupano di altre cose, da Snowden alle prossime elezioni di medio termine, passando per la guerra nel Sud Sudan alla vigilia in giro per il Mondo. Il maltempo ci sarà di sicuro, basterebbe sintonizzarsi su Weather Channel o guardare la sua pagina online per sapere le condizioni in ognuno dei 50 Stati. E non è difficile immaginare che se in qualche Stato ci sono forti piogge, qualcuno possa anche morire, perché rimane intrappolato da qualche parte o per altre disgrazie connesse al maltempo. Ma se tutte le volte i giornali americani dovessero darci queste notizie, non esisterebbe Weather Channel e sui giornali non ci sarebbe spazio nemmeno per i necrologi. 315 milioni di persone e 4 fusi orari dovrebbero essere sufficienti per capire che, si, magari la tv passa qualche notizia, ma qui le condizioni di tempo estreme esistevano anche cent'anni fa, ben prima del buco dell'ozono e del riscaldamento globale. Un uragano o una tempesta di neve fanno notizia, perché bisogna anche avvertire la gente che si mette in viaggio da uno Stato all'altro. Il resto no.
Forse oggi i giornali italiani vogliono avvertire i milioni di nostri concittadini diretti in Arkansas per le vacanze di fine anno. Meno male che almeno i miei familiari hanno imparato a preoccuparsi solo quando sparano a qualcuno a New York.

23 dicembre 2013

Non posso vivere senza la mia radio [ NYC #21 ]

Ci guardiamo di sfuggita, scambiandoci quella tipica smorfia appena accennata, quasi impercettibile, che i maschi di tutto il Mondo, a qualunque latitudine, si scambiano quando si incrociano davanti alla porta di un cesso occupato: una sorta di mezzo sorriso che assomiglia più ad una emiparesi facciale. Lui ha gli occhiali da sole, anche se sono le cinque del pomeriggio, fuori è già buio e ci troviamo nel retro del locale. Ha il fisico massiccio e ha un berretto nero in testa. Fisso il muro, aspettando che il bagno si liberi e arrivi il mio turno. Arriva invece una barista, lo saluta, gli chiede come sta, digita un codice sulla pulsantiera della porta a fianco a quella del bagno e sparisce per qualche secondo. Riemerge con un telefonino rosa shocking. Il cesso è ancora occupato. Arriva pure il manager del locale, saluta anche lui calorosamente il mio vicino, ci scambia qualche battuta e poi scatta una foto alla barista sorridente insieme all'uomo con gli occhiali da sole. Non provo invidia per lui solo perché qualche minuto prima Jarvis e Andrea avevano fatto le feste anche a noi. Il piccoletto attira l'attenzione, ovunque noi si vada: come minino gli chiedono come si chiama e poi provano anche a strappargli un high-five. Jarvis gli ha chiesto solo il nome e in cambio gli ha regalato un gran sorriso. Poi ci ha presentato pure Andrea, la barista che stava facendo pausa bevendo un caffè al tavolo di fronte al nostro. Jarvis è il manager di questo Starbucks sulla Terza Avenue, nel quartiere di Kips Bay a Manhattan.
Finalmente, arriva il momento che stavo aspettando e mi prendo un paio di minuti di puro sollievo. Quando esco dal bagno, io e il tizio con gli occhiali da sole ci scambiano un'altra delle nostre smorfie. La ragazza dai capelli rossi e il piccoletto mi stanno aspettando. Usciamo e, come da tradizione quando è visibile lungo la nostra strada, indico l'Empire State Building al nostro piccoletto, perché poi più tardi possa riconoscerlo su uno dei suoi libri preferiti per la buonanotte. Questa sera la parte alta del grattacielo è illuminata di verde, bianco e rosso, perché New York è pronta per Natale.
"Hei", dico a mia moglie, "credo che davanti alla porta del bagno ci fosse un tizio famoso. La barista si è fatta pure fotografare con lui". Nello stesso istante, dallo Starbucks esce l'uomo con gli occhiali da sole, passando al nostro fianco mentre stiamo sistemando il piccoletto sul suo passeggino. Un uomo vestito di nero, davanti alla portiera aperta di un suv nero parcheggiato davanti al locale gli fa cenno di accomodarsi. Lui lo ringrazia allargando un braccio e sale sulla macchina. Mia moglie mi guarda e dice: "Quello è LL Cool J". Non sono molto bravo a riconoscere cantanti e gente famosa, ma la sua voce me la ricordo bene. Afferro il mio cellulare e cerco una foto su Google. Santi numi... Quegli occhiali, quel cappello...
N.B. un vero newyorchese, se incontra una celebrità, fa finta di non vederla e continua sulla sua strada come niente fosse.

"My radio, believe me, I like it loud
I'm the man with a box that can rock the crowd
Walkin' down the street, to the hardcore beat
While my JVC vibrates the concrete
I'm sorry if you can't understand
But I need a radio inside my hand
Don't mean to offend other citizens
But I kick my volume way past 10"

(Questo post è dedicato a Papa Ciccio e Toto B. E al nostro vecchio amore per l'hip-hop).

19 dicembre 2013

Il Vecchio e il Nuovo [ NYC #20 ]

La sua eta non la dice, dice solo che è vecchio e che dopo qualche ora non ce la fa più a lavorare e se ne va a casa. Nell'ora che abbiamo trascorso per pranzare nel suo locale, è stato pochissimo fermo. Ha sistemato le luci natalizie, la tenda, il bagno. È ha preso anche un quarto di dollaro, lo ha infilato nella vecchia macchinetta per le caramelle, di quelle che si usavano una volta, e ha fatto una sorpresa al nostro piccoletto. Anche se a casa nostra la televisione è sempre spenta, questo amabile nonno gli ha pure concesso il privilegio del cambio di canale sullo schermo che sovrasta il bancone: da quello sportivo ai programmi per bambini. Dopo il vaccino dal pediatra, con annesse urla di dolore, questo regalo ci sta. 
Corner Burger, con i suoi tavolini neri e le sedie in finta pelle rossa, è veramente un angolo piccolo. E sembra ancora più piccolo nella Park Slope che fa tendenza, tra gelati italiani artigianali, abbigliamento vintage e boutique per bambini. Oltre agli hamburger serve la poutine, un piatto che fanno a Montreal, con patatine fritte, salsa gravy e formaggio. Io lo prendo nella versione carnivora con salsa barbecue.

16 dicembre 2013

Ventuno [ NYC #19 ]

14 Dicembre 2013
Non solo è un connubio che non riesco a concepire. No, quasi non riesco a pronunciarlo: pizza e vino. Poi, se ci penso bene, magari sono io quello che si è fatto condizionare il cervello dal marketing e cinquant'anni fa la gente mangiava la marinara bevendoci sopra un bicchiere di comunissimo rosso. È che sono cresciuto vedendo la birra a tavola a pranzo e cena, rigorosamente Moretti, quando manco era pubblicizzata. Quindi, per me la pizza è solo con la birra, punto. Ma la ragazza dai capelli rossi è un'americana che ama il vino e lo conosce meglio di tanti miei compaesani in Italia. Così, non c'è nevicata che tenga: io e il piccoletto ci imbacucchiamo per benino e andiamo a cercare il vino giusto. Prima di metterlo sul passeggino, voglio che cammini un po' mentre nevica. Gli piace, non avevo dubbi, ma siamo maledettamente lenti e l'ora di cena è dietro l'angolo. In genere, credo che veda ben poco quando è seduto sotto la copertura anti-pioggia, figurati adesso che si riempie di neve. Il nuovo passeggino, comunque, si dimostra assai più maneggevole di quello che usavamo appena siamo arrivati a New York agli inizi di febbraio, quando la città è stata colpita in pieno da una tempesta di neve. Quella attuale, sta solo passando di striscio e lascerà pochi centimetri, dicono.

13 dicembre 2013

Quando le montagne non ci sono [ NYC #18 ]

I palazzi alti sono una benedizione. Non dico per forza i grattacieli, ché almeno a dicembre, in effetti, si fottono un bel po' di caldo con le loro ombre. Ma anche solo i venti e passa piani delle case popolari di Sunset Park sono una benedizione. Se hai passato tutta la vita in una città chiusa da colline e montagne, a qualcosa ti devi pure aggrappare se ora vuoi spezzare l'orizzonte in una città srotolata sull'acqua. Si, per la prima volta ho pensato che non sia incorniciata, Torino, ma proprio castrata dal suo paesaggio. 
Voglio camminare da solo e sentire freddo. Vorrei sentire il freddo come quello che arriva dalle montagne. Voglio che la musica mi isoli da tutto il resto. Era più facile quando l'inglese era davvero solo un suono indistinto e dalle cuffie usciva il mondo che m'immaginavo io. Mo' che inizio a capirci qualcosa, mi sono perso un pezzo della poesia. Non li ho mai provati, ma sono sicuro che per me il freddo e la musica nelle orecchie siano meglio di qualunque allucinogeno.

08 dicembre 2013

Elettore Di Sinistra [ NYC #17 ]


25 Carmine Street, Greenwich Village. Il nome ti dice che anche se quel che oggi rimane di Little Italy non è poi così vicino, agli inizi del 20esimo secolo in quest'area l'influenza degli immigrati italiani c'era tutta. Oggi, domenica 8 dicembre, altri 191 immigrati contemporanei si sono ritrovati qui, per le primarie del Partito Democratico. Non so quanti, ma qualcuno ha ricevuto anche un gianduiotto di benvenuto, che se tieni conto dei prezzi di New York, i due dollari di contributo al voto se ne sono andati per il cioccolatino. Personalmente, e non solo perché sono di Torino, ho apprezzato il gianduiotto. Anche l'allegria dei volontari mi ha messo di buon umore.
Prima di fare il numero 192 e venire anch'io a votare, nei giorni scorsi ho avuto qualche scambio d'opinione con alcuni amici in Italia. L'ho scritta ieri, l'impressione che mi è rimasta, quando ancora si doveva votare. È un'impressione che vale per tutti quelli che si definiscono di sinistra e votano PD; ma vale anche per chi si definisce di sinistra, odia il Partito Democratico (e quelli che definendosi di sinistra lo votano), e vota per una delle dozzine di partiti che, di volta in volta, pretendono d'essere loro la Vera Sinistra.

Da Elettore Di Sinistra che vota Partito Democratico dico che Oreste Millazzi sarebbe stato un candidato migliore, forse quello perfetto per fare il segretario del Partito. Ma la mia è solo un'impressione. Troppo lontano per sentire gli umori di chi andrà a votare alle primarie domenica. Almeno su una cosa non ho dubbi: l'elettore di sinistra, e non solo quello del PD, è sempre lo stesso, è ciclico, si ripresenta sempre identico. Distruttivo. Paternalista. Elitario. Non può concepire che la democrazia comprenda anche quelli che non la pensano come lui. Lui non vuole nemmeno convincerli, perché in verità vorrebbe solo educarli quei caproni volgari e ignoranti. Immaginando che educarli tutti quanti sarebbe impresa di quelle ardue, va al seggio, usa la matita, torna a casa, guarda i risultati, e poi esclama: fascisti. L'introduzione delle primarie, per l'Elettore Di Sinistra del PD, è stata una benedizione. Lui può finalmente sfogare tutta la sua rabbia con gli altri Elettori Di Sinistra del PD. Anzi, può sfogarla contro. A parte qualche eccezione (tipo quello che non ha mai partecipato alla vita politica ma ora sta trovando una nuova speranza e vuole genuinamente trasmetterti il suo entusiasmo), l'Elettore Di Sinistra prima di convincerti che il suo candidato sia quello giusto per il Partito, ti dirà che il tuo candidato è una merda. Potrebbe dirti che sei TU la merda, perché vai a votare uno come lui? No, anche se TU sei di quelli che adorano i confronti vivaci. Ci sarà spazio per discutere della maggioranza, cioè di tutti quelli che non votano PD è che sono proprio maggioranza-maggioranza, almeno tre quarti degli elettori? Macché. Se provi a chiedere: "come le vinciamo le elezioni? Quali caratteristiche ha il tuo candidato per convincere una parte della maggioranza-maggioranza a votare per il PD?", lui ti risponderà che il tuo candidato è una merda. E lo farà davvero in buona fede, lo giuro sulla buon'anima di Nilde Jotti. Ah! Se solo l'Elettore di Sinistra del Partito Democratico avesse un minimo di memoria in più. Forse perché così pacifico, pacifista o pacioso non ricorda la metafora della "gioiosa macchina da guerra"? Non ricorda che quella minoranza era convinta di poter dilagare per il Paese e, dopo il voto, si risveglio... sempre e solo minoranza? Per favore, Elettore Di Destra e Di Centro dacci una mano tu. Per una volta, non mi fare perdere tempo a spiegarti il perché e il per come. Fidati e basta. Ti sei già fidato in passato dei candidati tuoi e ora guardi come sei conciato? Vedi, allora, che non fa differenza? Per favore, dopo queste primarie del PD, Elettore di Destra e Di Centro vai a votare per il mio Nuovo Segretario. E non dire che te l'ho detto io, eh? Ché posso mica perdere la faccia con gli amici miei per un fascista come te.

02 dicembre 2013

Prato, Italia. RIP

A pochi chilometri da Firenze, in una delle tante piccolissime fabbriche tessili di Prato, ieri sono morti sette lavoratori cinesi, rimasti intrappolati durante un incendio. I giornali di oggi ci tengono a sottolineare che l'unica vittima sinora identificata era un immigrato irregolare. E riportano le parole del procuratore incaricato delle indagini: dice che nonostante i controlli, a Prato "è un Far West".
Io e Alessandro, amico e socio di quello che fu il nostro esperimento imprenditoriale, ascoltavamo con attenzione. I nostri ruoli erano chiari: lui era la mente analitica, io quella commerciale e dedita alle pubbliche relazioni. Davanti a noi, un uomo che conosceva Prato sicuramente meglio di noi. Volevamo capire, immaginare un progetto per quel territorio, qualcosa di nuovo, che provasse a guardare oltre la miriade di micro-imprese e creasse forme di integrazione, collaborazione. Lui ci disse che Prato avrebbe dovuto puntare sul terziario avanzato. Si, disse proprio terziario avanzato. Io e Alessandro ci guardammo, in silenzio. Immaginammo esattamente la stessa cosa: wooow... t-e-r-z-i-ar-i-o a-v-a-n-z-a-t-o... come Milano... telecomunicazioni, finanza e... "Si, Prato deve offrire nuovi servizi alle tante piccole imprese del suo territorio. Servono commercialisti, avvocati, studi di progettazione e di consulenza", disse il nostro interlocutore.
Se non ricordo male, l'anno era il 2006, ma potrebbe essere stato anche l'anno successivo. Ricordo bene, invece, chi fosse quell'uomo. Era l'Assessore alle Attività Produttive della Provincia di Prato.
Corruzione? Burocrazia? Criminalità organizzata? I mali più profondi che stanno consumando lentamente l'Italia, proprio come un fuoco, hanno nomi più semplici: ignoranza e stupidità. Chi ha l'animo e la forza di pregare per quei lavoratori cinesi morti, e per dare una speranza a tutti noi, per favore, lo faccia.

28 novembre 2013

Magari non sarà tre volte Natale, ma di sicuro festa tutto l'anno [ NYC #16 ]

 27 Novembre. Davanti alla finestra vicino al televisore, c'è ancora un Jack-O'-Lantern, ma questa sera ci siamo dimenticati d'accenderlo.
Non mi bastavano i derby in famiglia durante le partite di basket NBA, visto che mia moglie è di Miami e tifa per gli Heat. No, adesso faccio i derby pure con me stesso. Ho sempre tifato per i Los Angeles Lakers quando stavo in Italia, dai tempi in cui Canale 5 trasmetteva le differite delle sfide tra Magic Johnson e Larry Bird. Ma adesso che siamo a Brooklyn, non lo posso negare, sento che devo supportare la squadra locale, i Nets. Certo, il fatto che le loro maglie siano nere e bianche o bianche e nere, non è proprio d'aiuto per un granata; ma anche loro, come noi, sono in città da poco tempo e hanno deciso di mettere radici qui dopo aver trascorso la loro vita da tutt'altra parte, nel New Jersey. Insomma, ci stanno simpatici. E quando stasera hanno perso malamente l'ennesima partita di questo penoso inizio stagione proprio contro i peggiori Lakers di sempre, non sono riuscito per niente a festeggiare.
Domani, come ogni anno il quarto giovedì di novembre, ci sarà poco da festeggiare anche per i tacchini e per i nativi Americani. Per tutti gli altri, noi compresi, Happy Thanksgiving! Buon Giorno del Ringraziamento. Per vegetariani e vegani ci sarà il "Tofurky", surrogato di tacchino al tofu, roba che fa impallidire qualunque veggie-burger. Non che sia così pubblicizzato, a dire il vero, ma basta fare un giro per i siti dei principali magazine della sinistra americana (che sono vivi e vegeti ben più di quella italiana, fidatevi), per scoprire che pure l'impronunciabile polpettone di tofu ha un suo mercato.
Domani sarà un Thanksgiving speciale, quasi unico, tenuto conto della storia giovane di questo Paese, perché coinciderà con Hanukkah. Se è vero che questa sera sono state accese le menorah, i candelabri a nove braccia, sarà comunque domani, in coincidenza con il Ringraziamento, il primo giorno pieno della principale festa per gli ebrei. La prossima volta che Thanksgiving e Hannukah torneranno a coincidere non sarà prima di almeno 80000 anni, così dicono da settimane giornali e televisioni. Per questa occasione, qui si parla di "Thanksgivukkah", mettendo per una volta nell'angolo quello che è l'ormai tradizionale "Chrismukkah" (contrazione di Christmas e Hanukkah). In genere, Hannukah e Natale cadono abbastanza vicini nel tempo, e vengono festeggiati entrambi nelle famiglie dove uno dei genitori sia cristiano e l'altro di fede ebraica o nelle famiglie ebree dove il Natale, come per tantissimi in tutto il Mondo, è solo più una festa secolarizzata. Anche a casa nostra, dove papà è decisamente secolarizzato e mamma viene da una famiglia dove la tradizione ebraica è sentita, stasera abbiamo acceso la nostra menorah, ci stiamo attrezzando per l'albero di Natale e da qualche giorno abbiamo iniziato a leggere al nostro piccoletto una bella storia scritta da un'autrice di libri per bambini che vive qui a Brooklyn: "Daddy Christmas and Hanukkah Mama", dove si racconta di una bimba che da sempre celebra entrambe le feste, unendo le diverse tradizioni del suo papà e della sua mamma. La cosa bella di Hanukkah è che si festeggia per otto giorni di fila, con doni soprattutto per i bambini. E, poiché si festeggia il cosiddetto miracolo dell'olio, l'olio d'oliva viene usato in abbondanza per preparare cibi fritti. Noi non ci siamo fatti mancare latkes ed applesauce, cioè le frittelle di patate accompagnate dal purè di mele.
Negli Stati Uniti l'elenco delle feste è lungo, non c'è mese dell'anno in cui non si festeggi qualcosa o qualcuno, da Martin Luther King Jr. ai Veterani di Guerra, passando per St. Patrick e il Groundhog Day. E a New York, per le insistenze degli italiani da sempre, anche il Columbus Day ha la sua parata di festeggiamenti. Davanti a una delle nostre finestre ci sono ancora le zucche di Halloween, anche se la festa è passata da un pezzo, perché quando fa buio al piccoletto piace la luce che arriva dal Jack-O'-Lantern. Quella illuminata dall'interno è una zucca di plastica, prodotta rigorosamente in Cina e intagliata per creare la faccia mostruosa d'ordinanza. Secondo una delle tante leggende, Jack era un ladro ed era inseguito dagli abitanti del villaggio che aveva derubato. Ad un certo punto Jack incontra il Diavolo, il quale gli dice che è giunta la sua ora e...
A proposito di festeggiamenti. Dice che il 27 novembre 2013 in Italia sarà ricordato da molti e che tanti hanno festeggiato, puntandosi l'ora esatta per non dimenticare mai più i vent'anni precedenti. Sa tanto di festa con magra consolazione.
Uh, dopo un po' Jack è morto, come tutti gli umani. Il Diavolo non ha avuto la sua anima, perché Jack per qualche tempo era riuscito ad ingannare e intrappolare pure lui. Ma alla fine Jack non è potuto andare da nessuna parte: non in Paradiso, per i troppi peccati commessi in vita, e nemmeno all'Inferno, perché il Diavolo aveva promesso di risparmiarlo. Così, ancora adesso, Jack vaga senza riuscire a trovare un posto dove avere finalmente pace.
Forse Jack era italiano, vai a sapere. Adesso è tempo di pensare al 28 novembre e al tacchino.


26 novembre 2013

POMPEI, IL BRITISH MUSEUM E UNA LEZIONE PER L'ITALIA

A proposito di Pompei e del documentario che il British Museum, dopo la chiusura della mostra londinese a settembre 2013 ("Life and Death in Pompeii and Herculaneum"), ha iniziato a presentare in più di 1000 cinema in 51 nazioni. Dal 2015 il British Museum affronterà un taglio imposto dal parlamento inglese, pari al 24% dei finanziamenti che attualmente riceve. Il British Museum ha 60mila soci, cioè persone che annualmente pagano una consistente quota fissa per poter visitare le collezioni e le mostre temporanee. Fuori Londra, le cose sono meno semplici, ma questo schema funziona anche per la più grande organizzazione inglese di fundraising dedicata al mondo dell'arte, ArtFund, che ha 100mila soci e aiuta 700 musei ad acquisire opere d'arte: degli 11 milioni di entrate, 4 milioni di sterline arrivano dai soci. Quanto al British Museum, ogni 4 sterline ricevute dal Governo, riesce a raccoglierne 6 dai privati. Di questi numeri, a fine giugno 2013, parlava il Financial Times.
Ma crudi dati economici a parte, è il documentario sulla mostra dedicata a Pompei che dovrebbe far riflettere noi italiani. Il British apre i suoi confini e vende il suo prodotto a tutto il Mondo, rafforzando in questo modo il suo marchio. Perché quello che andremo a comprare non è Pompei o la secolare tradizione culturale italiana, ma l'autorevolezza del British, del suo brand e delle sue mostre. Quella autorevolezza nasce dalle idee, dalle intelligenze, dalla creatività.

Potremmo prendere esempio dagli inglesi. Invece di pensare solo ai finanziamenti che il Governo italiano taglia o invece di inseguire qualche effimero riconoscimento europeo, legato pure lui alla distribuzione una tantum di fondi, il mondo dell'arte e della cultura italiana potrebbe iniziare a mettere in campo un po' di fantasia in più. Con il tempo, qualche buona idea verrà sicuramente fuori e qualche progetto riuscirà a far parlare dell'Italia in termini sorprendenti. Perché per inventarsi una grande mostra su Pompei e un documentario sulla medesima, da vendere a mezzo Mondo, non serviva essere inglesi.

12 novembre 2013

DI FRONTE

Fatemi capire, per favore.
Fatemi capire, ché forse sono lontano da troppo tempo e forse ho una visione distorta proprio dalla distanza. Chiunque maneggi un minimo qualche dato economico, per interesse personale o per lavoro, sa alcune cose molto semplici. E questi dati sono pubblici, a disposizione di tutti. Li mette a disposizione l'Istat, ma se ne trovano anche di fonte confindustriale o sindacale, per non parlare, della Banca d'Italia o dei diversi ministeri. Il PIL italiano è in caduta libera da anni. La produzione industriale, facendo la media dei diversi settori manifatturieri, è in calo di quasi un quarto rispetto al lontano 2007. La produttività è sempre la stessa scarsa di prima, la disoccupazione è molto più alta e si prevede che aumenterà ancora. Dopo una lunghissima recessione, che era stata già preceduta da anni di debolezza e che solo formalmente è stata classificata in due recessioni distinte, il  reddito disponibile delle famiglie è diminuito, facendo crollare la domanda interna. Senza raggiungere più i livelli e la tendenza pre-crisi, le esportazioni tengono, un po' salgono, ma non perché recuperiamo quote di mercato, bensì perché tutta la domanda mondiale è rimbalzata. Di fronte a questo evidente, tragico e inarrestabile declino economico, con tutte le conseguenze sociali che si porta appresso. Di fronte all'incapacità di tutta la classe politica, sia composta da vecchi onorevoli di professione o da "cittadini" senza reale rappresentatività, di indicare una qualsiasi direzione di sviluppo a lungo termine, che peraltro non sia semplicemente basata sul dogma dell'austerità dei conti pubblici, pur in presenza di un debito pubblico abnorme e di un PIL anemico. Di fronte all'incapacità della classe dirigente, privata o pubblica o sindacale, di immaginare nuove prospettive e nuove relazioni industriali e di creare reale innovazione che possa interessare anche il resto del Mondo. Di fronte all'incapacità della società di ritrovare anche solo un minimo di coesione e senso di solidarietà, pur in mezzo ad un  radicato egoismo storico che non è certo nato con Berlusconi. Di fronte a una criminalità mafiosa che uccide letteralmente intere aree del Paese e ne corrompe altre, anche se non è tema che interessi più i media tradizionali o riesca a farsi spazio tra il flusso inarrestabile di quelli sociali. Di fronte a questo sfacelo di cui non si vede la fine e di cui tutti, ma proprio tutti, chi più chi meno, portiamo responsabilità, i giornali scrivono che l'OCSE e Moody ci promuovono? Sarò pure lontano, ma l'Italia mi fa ancora venire mal di pancia.

15 ottobre 2013

Anteprima di Terza Età [ NYC #15 ]


Che a volte i vecchi siano come i bambini, si sa. Personalmente, sono anche curioso di vedere come sarò io da vecchio. Mi immagino ad attaccare bottone con chiunque passi a raggio della mia panchina, sperando che lo stalking sia stato finalmente ricondotto a reato d'opinione. Con buona probabilità, sarò pure abbastanza sordo: una vita trascorsa con la musica sparata nelle orecchie via cuffie non sarà certo compensata dall'apatia notturna di fronte a un televisore con volume appena percettibile per non svegliare il resto della famiglia. Se poi ci riuscirò a diventare vecchio, questo è un altro capitolo.
Spero solo d'essere un po' meno rompipalle dei tre vecchi seduti adesso giusto a fianco del mio tavolo nella biblioteca di Bay Ridge. Sono davvero come i bambini. Il guardiano è già venuto a chiedergli di parlare piano o d'andare fuori a chiacchierare. E loro? Impassibili. Riescono a bucare pure il volume della musica nelle mie immancabili cuffie di salvataggio.
Mi rimangio quello che ho appena scritto: non è vero che sono rompipalle. Con le loro bocche con pochi denti, e pure storti. Con le loro barbe lunghe. Con quell'alito che ricorda chiaramente l'alcol. Mi piacciono. Perché mai dovrebbero buttare i loro soldi per un caffè da Dunkin Donuts quando la città offre loro uno spazio per socializzare e leggersi il New York Times senza dilapidare la pensione?
Quasi quasi chiudo il mio progetto, mi levo le cuffie e mi presento.

07 ottobre 2013

TUTTO CASA E FAMIGLIA

Alla cortese attenzione del Sig. Guido Barilla
P.c. Papa Francesco

Negli Stati Uniti sono tanti i libri per bambini il cui titolo inizia con "Goodnight".
"Goodnight Moon" è forse il più famoso di tutti. Credo siano pochissimi i bambini cui non sia stato letto prima di metterli a fare la nanna. La luna, la stanza, il palloncino rosso, il topolino, la vecchia che sospira, i calzini e i gattini.
Anche noi lo leggiamo insieme al nostro piccoletto, che ha poco più di quindici mesi. Gli leggiamo pure "Goodnight New York City", perché ormai è questa la città dove abbiamo deciso di vivere. E "Goodnight Miami", perché la sua mamma è nata e cresciuta lì, nella Magic City, come alcuni la chiamano da queste parti. Buonanotte Torino dovrà aspettare ancora un po', credo.
In "Goodnight Miami" ogni pagina augura la buona notte ad ognuna delle cose che rendono famosa la città della Florida, da Ocean Drive a Little Havana, passando per il clima tropicale e i cieli color porpora.
"Goodnight Miami", come recita la quarta di copertina, è un libro scritto per i bambini ma amato da persone di tutte le età.
All'interno del libro, c'è un breve profilo dell'autrice e di chi ha disegnato le illustrazioni.
L'autrice si chiama Patricia. Vive a Miami, con la sua compagna Cristina.
Il libro è dedicato a Sebastian, loro figlio.

Un cordiale saluto e l'augurio di buon lavoro. Ne abbiamo bisogno, tutti.

17 settembre 2013

Tempo al tempo [ NYC #14 ]

Avevo controllato il sito della metropolitana e sapevo che, soprattutto la domenica, i lavori sulla linea da Bay Ridge avrebbero rallentato il nostro viaggio. Ma non avevo visto che la D da Coney Island nemmeno ci arrivava a Manhattan. Così ci presentiamo all'appuntamento a Central Park con la nostra canonica mezz'ora di ritardo, quella che sembra proprio noi non riusciamo a cancellare. Ma la nostra nuova amica, da lontano, ci saluta lo stesso sorridendo mentre ci viene incontro. Il marito, invece, ci aspetta sul prato, dove sta giocando con le loro due bambine.
La bimba che ha da poco due anni è perfetta per il nostro piccoletto, sento già che lo metterà in riga.
A New York da dieci anni, lui è thailandese mentre la moglie è americana. Sono l'ultimo inaspettato regalo che ci ha fatto Helen prima di andarsene. Era stata lei a metterci in contatto con loro. Ad agosto, quando siamo andati a trovarla a Stockton, era molto affaticata, ma riusciva ancora a stare un po' in piscina con i suoi piccoli gemelli, mentre  Everett correva avanti e indietro per cucinare e prendersi cura di tutti noi. Poi, qualche giorno dopo il nostro rientro a casa, quella telefonata che non mi aspettavo. Helen si era addormentata per sempre.

10 settembre 2013

Aspettando il nuovo Sindaco [ NYC #13 ]

16 SETTEMBRE, AGGIORNAMENO DELLE 10.10 
Nonostante sia rimasto qualche migliaio di voti da scrutinare, ma quando il 99% delle schede è ormai certo, Bill Thompson ha ammesso la vittoria di Bill De Blasio alle primarie democratiche. Compreso che non avrebbe avuto comunque chance in un eventuale ballottaggio, e che questo rinvio della nomination democratica avrebbe potuto avvantaggiare il repubblicano Lhota (uscito vincente dalle primarie del suo partito), Thomposn darà il suo appoggio a De Blasio nelle elezione a Sindaco che si terrà il 5 Novembre.

11 SETTEMBRE, AGGIORNAMENTO DELLE ORE 00.40
Bill De Blasio ha vinto le primarie democratiche per l'elezione a Sindaco di New York. Quando le sezioni scrutinate sono il 97%, con oltre 255.000 voti De Blasio raggiunge il 40.2% delle preferenze e riesce ad evitare il ballottaggio. Sfiderà Joe Lhota, che ha vinto le primarie repubblicane. In teoria, non dovrebbe esserci più partita. Il favorito, ora, è De Blasio. Nel suo quartier generale di Gowanus, a Brooklyn, sarà una notte festa.
Ma...
Si, c'è un ma. Con questa percentuale così scarsa oltre il 40%, soglia necessaria per non andare al secondo turno, sembra improbabile che Bill Thompson, secondo dietro De Blasio con il 26.1% dei voti, non chieda il riconteggio dei voti. Vedremo.
Comunque, una cosa è certa. Le primarie, anche a New York, sono un affare per pochi intimi: tra i democratici ha votato solo l'11% degli iscritti aventi diritto.

(il post che segue è stato pubblicato il 10 Settembre, alle ore 19.30 di New York)

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A fine giornata, e senza esserne particolarmente cosciente, una minoranza di newyorchesi potrebbe aver già deciso chi sarà il prossimo sindaco della città. Da stamattina alle 6.00, a New York si vota per le primarie.

28 agosto 2013

GLOCAL

"Sei del luogo?". Zelig ha colpito ancora una volta: due tizi dell'Arizona, i cui tratti somatici sembrano quelli dei nativi americani, mi chiedono quali siano le spiagge migliori dove andare, pensando che io sia uno del posto. Rispondo che sono di New York e che è la seconda volta che sono solo di passaggio qui a Cocoa Beach, quindi non saprei davvero aiutarli. Memore di quanto mi ha detto Luciano qualche tempo fa, e di alcune cose ascoltate e lette qua e la, mi affretto pure ad aggiungere che poi sono anche italiano, e questo tanto per rafforzare il concetto che so poco della zona e sono la persona meno indicata cui chiedere consiglio. Ma, in realtà, faccio la precisazione perché so che non puoi definirti newyorchese se non ci hai vissuto almeno per cinque anni, o dieci secondo altre teorie assai più conservatrici. Ai due tizi dell'Arizona, comunque, sembra fare né caldo né freddo il fatto che io sia italiano, e non credo immaginino le mie remore nell'appropriarmi di un'identità che non posso ancora dichiarare mia (ammazza, che complicato che è).

22 agosto 2013

UN GIORNO D'ORDINARIO PRIVILEGIO

L'amica Barbara, a proposito del nostro piccoletto, dice: "Vive a Nuova York e va in vacanza in Florida. Minchia, però!". In effetti, messa giù così, suona da vero privilegiato e forse lo è pure. Di certo, lui non lo sa. Tra qualche anno saprà semplicemente che quando era piccolo è stato sballottato a destra e manca per benino, senza che nessuno gli abbia mai chiesto il permesso. Quel giorno, per fortuna ancora lontano, non sarà proprio semplice dirgli: "no, lì non ci vai perché non sei ancora abbastanza grande". Lui ti guarderà con l'aria di quello che vuole fare il ragazzo educato perché sa che tu, invece, sei già abbastanza vecchio e potresti schiattare d'infarto se ti metti a litigare pure con lui, ché già sai essere bilioso di tuo, quando vuoi. Con quella stessa aria, prenderà il suo telefono, che sarà ultra tecnologico, capace di miliardi di operazioni al secondo, capace di trovare qualunque traccia, anche la più piccola, anche quella che hai provato a cancellare, di tutte le memorie, pure le più ambigue, che ti sei ostinato a seminare in quelli che lui chiamerà i social network preistorici. E troverà, in quelle centinaia di impronte, la prova che tu, quando forse lui voleva starsene a casina, e dormire nel suo letto, tu lo hai costretto a seguirti nei tuoi viaggi senza sosta, a dormire quasi ogni sera in un posto diverso, in una roba che non puoi nemmeno chiamare letto, e infatti qui la chiamano "pack 'n play". Per non parlare, poi, dei traslochi cui lo hai costretto nel suo primo anno di vita. E in questa allegra violenza, lo hai pure immortalato con un'ossessione che forse lui non avrà gradito. Ce ne sarà abbastanza per non dirti una parola che sia una, afferrare le chiavi di casa, lo zaino, il suo maledetto ultra tecnologico telefonino, e andarsene dove meglio vorrà. E sarà peggio per te.

16 agosto 2013

A RUOTA LIBERA

Lumberton, North Carolina. Lungo l'autostrada I-95 campeggia un enorme scritta: "Jesus: wise men still seek him". Ehi, Mormoni, la sapete una cosa? I "wiseguys", almeno quelli che stanno in Italia, lo hanno già trovato da un pezzo e lo hanno usato come gli pareva e piaceva. Lo sapeva anche Pino Puglisi, per questo la Mafia gli ha sparato alla testa. E perché m'è venuta in mente 'sta cosa qua? Boh, sarà la stanchezza, sarà che guidare per ore su un'autostrada senza distrazioni ti fa avere le visioni (certo, mai come quelle che avrà avuto Sandro, l'amico fotografo che si è regalato il Cammino di Santiago). Nei lunghi tratti in cui il piccoletto dorme, e noi ce ne stiamo zitti zitti per lasciarlo riposare, ho tutto il tempo per sragionare.

15 agosto 2013

OUTER SPACE

Due finestre, una porta scorrevole, una porta a vetri, un tavolo con il computer, un letto a due piazze. Al fondo di quella che nelle ultime  due sere è stata la nostra stanza a Chesapeake, Virginia, c'era anche il bagno, che però era cieco. Occhio e croce, la lunga camera per gli ospiti e il bagno messi insieme avevano la stessa dimensione di casa nostra. Solo che nel nostro appartamento a Brooklyn, nello stesso spazio, ci entrano: due camere da letto con armadi a muro ricavati chissà come, poi un bagno, un soggiorno e quello che io definisco un ampio angolo cottura.
"Crescere un bambino in un appartamento a New York è come far crescere una quercia in un ditale". Si presentava così, con enormi cartelloni su alcuni palazzi di Manhattan e con lo slogan pubblicitario forse più azzeccato della primavera, una delle tante compagnie che offrono spazi per depositare tutto quello che non riesci a tenere dentro casa. Insieme al costo degli affitti, lo spazio è uno delle principali ossessioni a New York, dove Bloomberg, il sindaco in scadenza, ha lanciato una gara tra gli architetti per creare il micro-appartamento perfetto, sostenibile e pure a basso costo. Anche quando il reddito ti emancipa finalmente dal monolocale, il tuo appartamento avrà sempre delle dimensioni lillipuziane rispetto alla casa di una famiglia media americana e la cantina sarà un miraggio, così come la lavatrice.

08 agosto 2013

Il lungo lungo viaggio di Saturnino Farandola [ NYC #12 ]

"Papà, io ero convinto che abitavamo a Pechino". Come potrò dargli torto? Dopo qualche anno in America, forse l'italiano del mio figliolo non sarà dei migliori, forse il ragazzino non sarà proprio ferrato coi congiuntivi della sua patria d'origine, ma lo spirito d'osservazione non gli farà difetto, già lo so. Si sarà guardato attorno e avrà tirato le sue conclusioni: "stiamo in Cina, vero?".
Andare alla stazione della metro R oppure a quella della N per noi fa nessuna differenza: sono praticamente alla stessa distanza e vanno entrambe a midtown Manhattan, anche se la R ci arriva facendo un giro più lungo e attraversando il fiume dentro un tunnel, quando la N corre invece per il Manhattan Bridge prima di tornare sottoterra. Ma a parte il fatto che la N, per un tratto di Brooklyn, è un treno espresso (e già questo potrebbe bastare e avanzare per preferirla), la vera differenza è che mentre la più vicina stazione della R è ancora nel nostro tranquillo quartiere, Bay Ridge, la più vicina stazione della N si trova nel quartiere di Sunset Park. 
E Sunset Park è un Mondo a parte.

25 luglio 2013

Trova le differenze [ NYC #11 ]


(foto scattata dal sottoscritto)
 La foto qui sopra l'ho fatta io, il 10 luglio di quest'anno, nello spazio che lungo Broadway si allarga sotto il Flatiron Building. Erano le 8 di sera. L'installazione attirava già di per se, ma la ragazza che se ne stava seduta lì, con il suo cellulare, rendeva l'immagine perfetta all'occhio del voyeur contagiato pure dalla mania di Instagram. Dopo due settimane ho rivisto quello scatto e mi sono chiesto: va bene la tizia al telefono e tutto l'insieme, ma chi è l'autore dell'opera? Ho fatto una veloce ricerca su internet e in pochi minuti ho scoperto che si tratta di un artista cubano, Alexandre Arrechea. L'installazione richiama le pompe dei "firefighters" ed è una replica arrotolata della "Met Life Clock Tower", che si affaccia  proprio lì vicino, su Madison Square Park. Ma prima di arrivare ad Arrechea, e al sito dove presenta i suoi lavori, sono arrivato su "NEW YORK PORTRAITS", blog fotografico di Kitty. Con un suo post del 12 luglio, è stata lei che ha risposto per prima alla mia domanda. E nel post di Kitty ho trovato anche questo suo scatto:

(foto scattata da Kittilittered)
Secondo le ultime stime del Census Bureau, a New York vivono 8.336.697 persone. Compresa la tizia nella foto.


05 luglio 2013

Buon Compleanno, America [ NYC #10 ]

Max non voleva crederci, ma Giampi aveva bevuto tutto il bicchiere, come da scommessa. I rimasugli della cena erano finiti li dentro, insieme a liquidi vari. Tutto edibile, ma abbastanza schifoso a vedersi. Per questo, appena Giampi aveva messo il bicchiere alla bocca, Max aveva avuto un conato di vomito solo a guardarlo. E aveva perso i cento dollari della scommessa. Oggi, per un istante, mi è tornata in mente quella scena, vissuta a Praga nel 1990, durante una cena qualche giorno prima di capodanno. E mi è tornata alla mente quando la telecamera ha continuato ad indulgere sulla bocca di Joey Chestnut, alle prese con il suo 48° hot dog di fila. Ho quasi avuto un conato di vomito pure io e non sono più riuscito a guardare la televisione. Chestnut, per la settima volta consecutiva, ha vinto quello che qui è il famoso "Hot Dog Eating Contest", la gara per mangiatori di hot dog organizzata ogni 4 Luglio a Coney Island dall'altrettanto "World famous" Nathan's. Chestnut ha stabilito il nuovo record, superando quello che già gli apparteneva: 69 hot dog divorati in 10 minuti. Quasi non riesco nemmeno a scriverlo, ché mi riparte il conato.

26 giugno 2013

Rilassati, è solo... Amore! [ NYC #9 ]

Signori, quella di oggi è stata una giornata storica, capace d'oscurare anche l'asta della sottana appartenuta a Monica Lewinsky e di una lettera firmata dall'amato Bill Clinton. Ma noi, a Bay Ridge, abbiamo ben altre rogne con il sesso, e pure il New York Times se n'è finalmente accorto. Ma andiamo per ordine. Era atteso per oggi, e puntuale è arrivato, il pronunciamento della Suprema Corte americana in tema di matrimoni gay. Una giornata davvero storica per chi si batte per il riconoscimento dei Diritti Civili. La Suprema Corte, infatti, ha dichiarato incostituzionale il "Defense of Marriage Act" del 1996 (firmato da Clinton con sostegno bipartisan), perché non riconosce anche ai matrimoni tra persone dello stesso sesso i benefici federali previsti per i matrimoni tra eterosessuali. Dal punto di vista legale, per gli Stati che non prevedono il matrimonio tra omosessuali o lesbiche, non cambia molto, ma il segnale per tutti è chiarissimo: anche se non esiste un diritto costituzionale al matrimonio tra persone dello stesso sesso, proprio sulla base del sesso non sono ammesse discriminazioni.

16 giugno 2013

Father's Day [ NYC # 8 ]


Tradizione vuole che per il Mother's Day si faccia la gita fuori porta. Per il Father's Day, invece, qualcuno c'ha pensato due volte prima di creare una tradizione analoga. E oggi, per celebrare degnamente la mia prima festa del papà in terra americana, io mi sono adeguato al costume locale. In fondo, in una domenica di giugno, cosa può desiderare di più un papà? Il vuoto pneumatico, il nulla assoluto, il riposo del guerriero. È o non è un uomo? Quello vero, non quello che si fa la barba con il rasoio elettrico sotto la doccia ed è pronto per andare a correre. Ma quando mai. Uomo triste, quello. L'uomo felice, il papà felice, in una domenica di giugno, guarda solo il suo divano ed è pronto a santificarlo. Con un piccoletto che inizia a correre da tutte le parti, e che cerca sempre e comunque di attirare la tua attenzione, non è proprio la cosa più semplice da realizzare. E se ti sei dimenticato il latte, la mamma, che pure ti ha detto che sei perfetto così e sei il papà migliore del mondo, ti spedisce comunque al supermercato. Ma quello posso ancora farlo: per evitare il senso di colpa nei confronti della creatura affamata e perché la pizza senza acciughe proprio non esiste. La mamma ha impastato, papà si prepara a farcire. La birra è già nel frigo e stasera c'è pure gara 5, e noi tiferemo Miami contro San Antonio. A casa, sul divano, belli belli. Happy Father's Day.

13 giugno 2013

L'ha detto il NEW YORK TIMES? Ah béh, si béh... [ NYC #7 ]

"Una polemica del New York Times, rilanciata dai media Usa, mette sul banco degli imputati i famigerati cancelletti", scrive il sito di un noto quotidiano italiano. Porca miseria. M'è bastato non leggere ieri pomeriggio i giornali americani per perdermi questa notizia? Eppure, non fosse altro perché adesso abitiamo qui, il New York Times lo leggo ogni giorno, anche solo usando quella meravigliosa applicazione che è Flipboard: meravigliosa perché ti consente di superare il limite di 10 articoli mensili gratuiti, il cosiddetto paywall. A dire il vero, ci sarebbe un altro metodo, assolutamente legale e nella piena disponibilità di chiunque possieda un computer e un browser che accetta cookies, per superare il limite e leggere tutti gli articoli pubblicati sul sito, ma tant'è.

05 giugno 2013

Una testimone delle proteste di Istanbul. Delizia Flaccavento, fotoreporter

Delizia Flaccavento è una fotografa freelance. Dopo aver lavorato in Inghilterra e negli Stati Uniti, si è trasferita a Istanbul, dove lavora come documentarista. 
Da giorni segue le manifestazioni che stanno occupando le principali piazze di Istanbul. Prima quelle di protesta contro il progetto di trasformare il Gezi Park di Taksim in un centro commerciale, poi le crescenti manifestazioni contro il Governo turco.
"Istanbul, in questo momento, è una polveriera", racconta Delizia. "Negli ultimi anni Erdoğan ha creato una dittatura insopportabile, mettendo in prigione moltissimi giornalisti. Ha spaventato la gente al punto da non aver bisogno di censurare, perché è l'autocensura preventiva quella che sta funzionando. E poi, soprattutto negli ultimi mesi, ha fatto approvare leggi che mirano chiaramente all'islamizzazione del Paese". Le chiedo se crede davvero che le proteste di piazza porteranno qualche cambiamento. "Quando stavo perdendo speranza nella capacità dei Turchi di ribellarsi", mi dice, "ecco che lo hanno fatto nel migliore dei modi. Spero che Erdoğan accetti il dialogo, anche se al momento è arroccato sulle sue posizioni autoritarie e non sembra disposto a fare un passo minimo nei confronti degli oppositori. Ma se non farà qualche concessione, la protesta continuerà e potrebbe esserci un'escalation di violenza. Spero proprio che questo non accada e che la pressione interna,  insieme alla solidarietà internazionale nei confronti del manifestanti, induca Erdoğan a scendere a qualche compromesso". 
Una galleria degli scatti di Delizia da Istanbul è stata pubblicata da "D la Repubblica" (qui la pagina). Per altre fotografie dalle manifestazioni di Taksim, Beşiktaş e  Kabataş, basta seguire questi link: Istanbul1. e Istanbul2.

23 maggio 2013

Welcome to New York [ NYC #6 ]

"È un agente?", mi chiede fissandomi attentamente. Davvero non so che rispondergli. Capisco con un attimo di ritardo, quell'attimo che mi ha raggelato il sangue, che c'è stato un fraintendimento. "No, dicevo che ho l'iPad nella borsa. Che faccio? Lo lascio lì?". Ride. Tutto risolto. Va bene che la mia pronuncia non è ancora perfetta, ma non so per quale ragione abbia creduto, invece, che io avessi un un coltello con me. Si scusa per il malinteso e io tiro un sospiro di sollievo. Non sono affatto teso, figurati. Siamo solo all'ingresso dell'USCIS di New York, l'ufficio per l'immigrazione, e il poliziotto pensa che io abbia un coltello nella borsa. No, no, non sono teso. Per niente.
A Miami, per prendermi le impronte digitali, la fila era stata ben più lunga. Qui, dopo essere saliti all'ottavo piano ed esserci registrati agli sportelli dell'accoglienza, l'attesa è poca cosa. Aspettiamo seduti in un salone largo e lungo. Dobbiamo tenere le orecchie ben aperte per sentire il nostro numero, PA-135,  perché il monitor che dovrebbe aiutarci non funziona. Funziona, invece, l'onnipresente televisore, sintonizzato su Fox News e sulle notizie della tragedia creata dal tornado a Moore, vicino Oklahoma City.

10 maggio 2013

البحر - 是 - Sea - Mare [ NYC #5 ]


La voce dell'Imam arriva dall'altoparlante. Non credo che la Quinta Avenue, a Bay Ridge, sia rivolta verso la Mecca, ma decine di uomini, come ogni venerdì, stanno pregando sul marciapiede, inginocchiati e con la faccia rivolta a terra. Qualche anno fa, a Roma, vidi una scena simile davanti alla Moschea di Centocelle, troppo piccola per ospitare tutti i fedeli. Cordiale, l'imam di Centocelle mi aveva accolto alla fine della preghiera. Ma, altrettanto cordialmente, mi aveva spiegato che non avrebbe risposto ad alcuna mia domanda circa il desiderio, espresso da molte comunità islamiche italiane, di creare scuole per i propri giovani. Erano ancora troppo recenti le polemiche sollevate dalla presunta presenza, nella loro Moschea e in quella di San Salvario a Torino, di fanatici inneggianti alla Guerra Santa. Loro, come a Torino, erano convinti d'essere caduti in una trappola, orchestrata ad hoc per le telecamere nascoste di giornalisti a caccia di scoop e volta a dimostrare la pericolosità dei musulmani. La risposta che ricevetti a San Salvario fu pressoché la stessa, e il mio desiderio di scrivere qualcosa sul tema delle scuole a guida islamica morì lì.

02 maggio 2013

I rastrelli libertini [ NYC #4 ]

Da "Pies 'n Tights" la cucina è onesta, anche se il soul food e i piatti della tradizione del sud non sono quelli che abbiamo trovato da "Sylvia's". Ma lì eravamo ad Harlem, nel tempio della Regina del Soul Food, che in vita fu venerata da Mohammed Alì, Bill Clinton e pure da Barack Obama durante la sua campagna elettorale. Qui, invece, siamo a Williamsburg, il quartiere di tendenza a Brooklyn, e per gli alternativi locali (o hipsters, come dicono gli americani) i gusti sono più edulcorati. La trippa, per esempio, non la trovi. Un po' come andare al Pigneto a Roma e cercare i rigatoni alla pajata.

30 aprile 2013

Non tutto il Mondo è paese [ NYC #3 ]

Avocado, innanzitutto, e anche hummus. Poi sushi, magari prestando attenzione al pesce crudo, ché forse è un po' presto, ma i roll vanno bene e sono facili da afferrare. Anche il pad thai è perfetto, perché no, e pure l'aceto balsamico sulla frutta. Un bambino di nove mesi può mangiare questo e altro, certe regole alimentari sono fuori dal tempo e insensate, te lo dice il pediatra. Sul blog dei centri medici dove portiamo pure il nostro piccolo. E che ti aspettavi a New York?

18 aprile 2013

Il Babbeo e Bonaventura [ UNA STORIA TUTTA ITALIANA ]

"Non ci posso credere... Non ci posso credere!! Non ho alzato nemmeno un dito e ho vinto di nuovo...!!! Ha fatto tutto il Babbeo!!". Questa sera, Bonaventura è il Milanese più felice a Roma. Il Babbeo gli ha servito la Vittoria su un piatto d'argento. La scelta era così facile che a Bonaventura sembrava fosse uno scherzo. Adesso è talmente felice, Bonaventura, che il cuore potrebbe scoppiargli. Chissà, forse il Babbeo spere almeno in questo, di vederlo schiattare dalla gioia. O forse è così Babbeo da non pensarlo nemmeno. Poco importa, a Bonaventura. Lui, questa sera, gongola e basta.

01 aprile 2013

Sennò, desisti [ NYC #2 ]

L'album era quello delle figurine della Storia, quella con la S maiuscola. Ogni settimana andavo in edicola, compravo il mio pacchetto, tornavo a casa, prendevo il mio album e ci appiccicavo sopra le figurine. Ma non usavo il loro adesivo. Per mantenerle integre, prendevo una punta di colla, la piazzavo giusto al centro del retro della figurina e con delicatezza appoggiavo la reliquia all'album. Così, sarei sempre stato in grado di staccarle dalle pagine, semplicemente alzando poco poco gli angoli e senza rovinarle. Un giorno mio padre mi fece una sorpresa. Mi portò a comprare le figurine, tutte quelle che ancora mi mancavano per completare la raccolta. Tante. E, fra tutte: il Pitecantropo, Cleopatra, gli Assiri, lo Ziggurat, Mazzini, Mao Tse Tung, il Dott. Sabin e l'ultimissima, i Caschi Blu dell'Onu. Ma non andammo in edicola, come facevo io il sabato. No, andammo direttamente alla casa editrice, che per mia fortuna stava a Torino, in via Sansovino, nella zona industriale a nord della città. Meraviglia. Come vedere una partita della tua squadra del cuore dalla panchina, come ascoltare un concerto del tuo gruppo preferito dal retropalco, come mangiare nella cucina di un ristorante. Lo stesso pensiero ho avuto qualche giorno fa, quando abbiamo oltrepassato l'ingresso di "Gustiamo", al 1715 di West Farms Road, nel Bronx.

27 marzo 2013

Jerusalem [ NYC #1 ]


Sta seduto su una poltrona e mi osserva senza dire parola. Ho appena chiuso la porta e pronunciato il saluto d'ordinanza da queste parti: "Hi, how you doing". Niente: braccia conserte, muto, immobile. Prima d'entrare, avevo il sospetto che non sarei stato il benvenuto. Lo stesso sospetto, a dire il vero, ce l'avevo anche a Crown Heights, quando passando davanti ai barbieri afro-americani immaginavo che non avrebbero grad... capito un cliente bianco, ecco. Per questo avevo resistito alla tentazione di varcare la soglia di uno di quei tanti negozi su Nostrand Avenue.
Spiego che sono lì perché vorrei tagliarmi i capelli e lui, come se fossi un matto: "vuoi tagliarti i capelli?". Mi indica la poltrona nera e, mentre io mi siedo, lui prende il telecomando e cambia il canale del televisore.
"Non ho richieste particolari, li vorrei solo corti", dico io, fingendo una nonchalance che è davvero l'ultima delle cose che provo in questa situazione surreale. Mi chiede se il taglio a tre va bene e quale sia il mio sport preferito.
O rompiamo il ghiaccio adesso o mai più.
"Beh, sai, venendo dall'Italia... mi piace il calcio".
È fatta, il Muro è caduto.
"Ah, Italia! Dove?".
Il fiume scorre e non lo fermiamo più. Si, la Juventus è la squadra più famosa di Torino, ma io tifo per la squadra che porta lo stesso nome della città. Sono in America da quasi cinque mesi, ma quattro li ho passati a Miami, perché mia moglie è nata lì, anche se io e lei ci siamo incontrati a Torino e a Torino è nato nostro figlio.

07 marzo 2013

DIARIO MINIMO DA NEW YORK - 6 - Servizio Pubblico



Curioso come una scimmia. E Curious George, infatti, è proprio una scimmia. Ogni mattina scopre qualcosa di nuovo: come trasferire le fotografie con un computer, come preparare lo sciroppo d'acero a casa in 24 ore, come fare la regia di una trasmissione radiofonica. Curious George non se ne fa mancare una. Sistematicamente, prima d'imparare a fare qualcosa, sbaglia o si caccia nei guai. Ma non è mica l'unico. Anche Sally e il suo amico Nick sono invasati dal sacro furore della conoscenza e ogni mattina, sabato e domenica esclusi, se ne vanno in giro con il Cat In The Hat. Curious George, in un sogno delirante per la febbre, immaginava di fare un viaggio nel corpo umano per seguire i germi del raffreddore e i loro proibiti concerti blues? Ebbene, anche il Cat In The Hat porta i suoi amici dentro il corpo umano, con una piccola navicella, proprio come quella del famoso film, e si fa accompagnare da altre due strane creature che portano i capelli come Einstein. Dr. Seuss sarebbe contento di vedere come si è evoluta negli anni la sua creatura. La versione originale del più popolare libro per bambini degli Stati Uniti, The Cat in The Hat, prevedeva che Sally avesse un fratello, mai nominato ma presente come voce narrante. Nel nuovo cartone animato, The Cat In The Hat Knows A Lot About That, il ragazzino si trasforma nel vicino di casa di Sally. E, cosa più importante di tutte, adesso è afro-americano. La televisione pubblica americana vi augura il buongiorno, gente.

01 marzo 2013

DIARIO MINIMO DA NEW YORK - 5 - Camaleonte

"Excuse me, are you jewish?". Non sta scherzando, me lo chiede sul serio. Vista la mia carnagione, vorrei rispondergli che potrei anche essere un mediorientale, in effetti. Ma rispondo con un semplice no e abbozzo un sorriso che forse lui nemmeno avrà visto, se non seguendo la scia di me che spingo velocemente il nostro nuovo ed ultramoderno passeggino verso l'entrata della metro. Sottobraccio tiene una cartellina nera. Come nero è il suo vestito, nero il suo cappello a falde larghe, nere le scarpe e la lunga barba. Di bianco c'è solo la camicia. Non so cosa possa averlo indotto a pensare che fossi ebreo. Devo avere una straordinaria capacità di mimetizzarmi. Chiamalo istinto di sopravvivenza o magari è un eccezionale attitudine al cambiamento.

22 febbraio 2013

DIARIO MINIMO DA NEW YORK - 4 - Dushanbe, Brooklyn

È grande come Milano, ma qui a Brooklyn la popolazione è quasi il doppio. Dice che a Milano un sesto della popolazione è d'origine straniera, ma a Brooklyn questa è semplicemente la regola. Dice che nell'intera New York si parlano qualcosa come 800 lingue (e se lo dice il New York Times, citando imprecisati esperti, ci devi comunque credere sulla parola, come fanno tutti quelli che ne traducono spudoratamente interi articoli indicandolo a malapena). E tra i cinque distretti della grande città, Brooklyn è quello dove la diversità culturale è maggiore, ma dove ancora oggi è possibile trovare quartieri che sono delle vere e proprie isole etniche, impermeabili alla contaminazione che sta invece trasformando a pieno ritmo le aree di tendenza.
C'è un posto che rappresenta plasticamente il cambiamento che può arrivare dalla riqualificazione territoriale e dove questa contaminazione è visibile e scorre come un fiume che solo di tanto in tanto riesce a lasciar gli argini.

18 febbraio 2013

DIARIO MINIMO DA NEW YORK - 3 - Antipasto

Sam si è da poco laureato in informatica forense, e ci racconta che qui ci sono anche case da sei milioni di dollari, soprattutto lungo la baia. Ritchie, il padre, sgrana gli occhi quando sente che ancora per qualche settimana alloggeremo a Crown Heights. Ci racconta che appena arrivato a New York dalla Jugoslavia, Crown Heights è stato il primo quartiere dove ha vissuto, per circa due anni. E dopo poco giorni, il quartiere era già sulle pagine dei giornali, per un duplice omicidio nella metropolitana. Posto controverso, Crown Heights, dove ancora oggi la divisione tra gli isolati dove abita la comunità ebraica e quelli dove abitano gli afro-americani è netta, anche se la contrapposizione non è più quella drammatica e violenta dei primi anni '90. Adesso, però, Ritchie e la sua famiglia abitano a Bay Ridge.

14 febbraio 2013

DIARIO MINIMO DA NEW YORK - 2 - Let the music play

Grandi, piccole, bianche, nere, o colorate. Cuffie per ascoltare musica o coprire il frastuono delle carrozze, soprattutto se il viaggio è interminabile. In metropolitana la musica è ovunque, anche fuori dai treni. Nel mezzanino della stazione di Washington Square un giovane break-dancer si esibisce solamente per i suoi tre amici che lo fissano impalati e per noi che facciamo avanti e indietro col passeggino del pupo alla ricerca di un ascensore. Alla stazione di Jay Street un musicista solitario invade l'intera banchina col suono nervoso del suo sassofono, e noi nemmeno ci proviamo a proteggere le orecchie del pupo. E per quale ragione, poi. Tutto serve a dimenticare quanto sia sudicia la metropolitana della Capitale del Mondo, anche la musica non richiesta. Comunque, a me il sassofonista piaceva.

09 febbraio 2013

DIARIO MINIMO DA NEW YORK - 1 - La cosa giusta

A parte la ragazza che sfreccia sulla pista ciclabile di Dean Street con tanto di caschetto, i tre poliziotti alle prese con le macchine in sosta vietata davanti al nostro palazzo, e a parte noi, per queste strade non è proprio comune trovare dei bianchi, sono una netta minoranza anche qui a Crown Heights. Prendendo Nostrand Avenue, solo due isolati per arrivare a Bedford-Stuyvesant, Harlem che va a Brooklyn.
C'è già andata da un pezzo, a dire il vero, e ora cerca sempre nuovi spazi nei quartieri limitrofi. Crown Heights e Bed-Stuy sono separate dal rumore ininterrotto di Atlantic Avenue: in alto, sulla vecchia sopraelevata in acciaio, corre la ferrovia per Long Island; in basso, provano a scorrere le auto, ore di punta permettendo. Lontani i tempi delle rivolte razziali, e nonostante la crescente gentrificazione, Bed-Stuy rappresenta ancora il centro principale della cultura afro-americana a Brooklyn. Da Notorius BIG (Biggie, per gli amici) a Jay-Z, l'hip-hop passa da qui. A Herkimer Street un murale ricorda i principali leader neri, da Marcus Garvey a Bob Marley a Malcolm X. Basta risalire Nostrand Avenue per intuire le attenzioni speciali che la polizia ha sempre dedicato a questa zona.

06 febbraio 2013

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 20 - Say Goodbye To

Le palme, dappertutto. E poi le case basse e le nuvole sospese come cuscini. La I-95, sempre. La US1, pure.
Little Saigon e Thai II a North Miami Beach. Ma soprattutto Laurenzo's, a NMB, e il giorno delle elezioni allo Uleta Center. Il taglio di capelli da Zito's, un po' meno. Flashback Diner. Le corsa dei cavalli al Gulfstream. Il lungomare di Hollywood Beach. Ocean Drive Villas. Le meduse. L'afa a dicembre. L'inverno lungo quattro giorni. La luna su Connecticut Street. Barnes & Noble a Fort Lauderdale. Il Design District. Michael's Genuine, il Ristorante. Le luci dei grattacieli di Downtown. Le strade di South Miami. L'Art Basel. Pizza Rustica a Lincoln Road. Il bowling sulla Dixie Highway. Le partite degli Heat su Sun. Il ristorante Versailles, cubano. La scuola elementare di Pinecrest. L'atollo del Matheson Hammock Park. Il piccolo lago di Palmetto Estates.
Le impronte digitali, incrociando le dita, e tutto quello che sto dimenticando,
Nelle valigie per New York c'è dentro anche Miami.

03 febbraio 2013

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 19 - Ai Ravens il Superbowl XLVII

"Oh! Ma sembra il fratello di quello dei 49ers!".
Un mese fa nemmeno sapevo che l'allenatore dei Ravens, John Harbaugh, avesse davvero un fratello, e che quel fratello fosse l'allenatore dei 49ers, Jim Harbaugh. Stasera papà e mamma Harbaugh sono in tribuna a New Orleans, tirati a festa, per godersi lo spettacolo dei loro figlioli nella partita dell'anno: Baltimore Ravens contro San Francisco 49ers, Superbowl numero 47. Ma qui, per rendere più epico il tutto, si usano i numeri romani: XLVII.
A metà partita i Ravens sono sopra di quindici punti, 21 a 6. Capisco poco di football americano, ma secondo me solo loro possono perdere questa partita. Il quarterback di San Francisco, Colin Kaepernick, che aveva fatto cose grandi durante tutta la stagione, stasera è andato in crisi dopo nemmeno un minuto, con un pessimo drive che ha regalato subito la palla all'attacco di Baltimore. Ed ha proseguito anche peggio, facendosi intercettare in momenti cruciali.
Non ho sentito Alicia "Parsley" Keys cantare l'inno nazionale (anche se dall'Italia l'amico Bit mi scrive che l'esecuzione è stata penosa). Dopo la figuraccia rimediata il giorno dell'insediamento di Obama, dove le sue labbra erano evidentemente fuori sincrono, Beyoncé è la protagonista dello spettacolo di metà gara. Ascoltando l'interminabile medley, ho capito che tutte le canzoni che ho cercato di evitare in questi anni erano sue.

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 18 - Sedazione cosciente

Per i me i musical sono ancora quelli di Fred Astaire e Ginger Rogers, e lì si son fermati. Ma a scorrere la lista dei titoli disponibili, ho pensato che vedermi "Chicago" sarebbe stata la scelta migliore. Vedere si fa per dire. La visuale non era proprio libera e anche l'audio, se è per quello, non sempre arrivava all'orecchio: colpa del trapano, credo. Se poi hai il sonno facile, una poltrona comoda è quello che ti serve per non arrivare nemmeno alla fine del primo tempo. Eppure, ha avuto ragione lei: le donne belle c'erano e la musica era fuori discussione. E non ho nemmeno dormito. Completamente sdraiato sulla poltrona reclinabile e con lo sguardo fisso al soffitto, ho diviso le mie attenzioni tra Renée Zellweger e il lavoro della mia nuova dentista.

27 gennaio 2013

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 17 - Fuga dal Paradiso

Di colpo, il suo sorriso sparisce. La smorfia rimane stampata sulla sua faccia per qualche secondo che a me sembra interminabile. Esplicativa, posso dire così? Se un romano o un napoletano, ma anche un torinese, dicesse ad un proprio concittadino: "voglio trasferirmi a Milano", l'altro lo guarderebbe con la stessa smorfia che Lorenzo ha fatto a me. Siamo quasi al bordo della piscina di casa sua, la serata è fresca e io ho appena pronunciato le parole maledette: "ci stiamo trasferendo a New York".
Ci unisce la stessa regione di provenienza (Lorenzo è di Vercelli). Ci unisce un libro che non so quanti avranno letto in Italia ("Il quarto livello", di Carlo Palermo). Ci unisce lo stesso percorso di studi (giurisprudenza; ma io ho cambiato direzione, mentre lui diventava avvocato e andava a lavorare a Bruxelles, direttamente per l'Unione Europea, prima di venire qui negli USA e occuparsi di riciclaggio di denaro sporco). Ci unisce la passione per il vino e per la carne alla brace (che sua moglie, brasiliana, sta preparando per noi ospiti della festa). Ma quella smorfia dice che Lorenzo proprio non può capire chi non voglia fermarsi a vivere a Miami. E, di più, non può concepire chi voglia andare a NYC. "Guarda che clima, qui, ed è gennaio!".

21 gennaio 2013

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 16 - Remembering MLK

Era nato ad Atlanta, il 15 gennaio del 1929. Dopo anni di resistenze, soprattutto in Arizona e North Carolina, adesso è festeggiato ufficialmente in tutti gli Stati Uniti. Il terzo lunedì di gennaio, ogni anno, anche Wall Street si ferma e salta un giro: si celebra il Martin Luther King, Jr. Day, per ricordare quello che è stato il più importante attivista per il riconoscimento dei Diritti Civili della popolazione afro-americana. Ma oggi il MLK Day coincide con l'Inauguration Day, festa nazionale pure questa. Ogni quattro anni, e sempre il 20 gennaio, il nuovo Presidente degli Stati Uniti presta giuramento davanti gli americani e pronuncia il discorso di insediamento.
Il viaggio è ancora incompleto, ha detto Obama, è il momento di agire, non possiamo permetterci altri ritardi e dobbiamo ricordarci le lezioni del nostro passato, gli anni bui della povertà. Un viaggio incompleto, ha ripetuto Obama, fino a quando i fratelli e le sorelle gay non avranno uguale trattamento davanti alla legge. Lincoln, al suo secondo mandato, era stato diretto e conciso come ti aspetti che lo siano sempre gli americani: 173 parole, il discorso inaugurale più breve della storia di questo Paese, l'idea che la guerra tra il Nord e il Sud fosse il prezzo da pagare per aver offeso Dio con la schiavitù della gente di colore.
A Washington il giuramento odierno ha lasciato un mare di rifiuti e una visione ancora più liberale per l'America del futuro. Adesso l'America è ansiosa di vedere come verranno tradotte in concreto le parole uguaglianza ed opportunità.
Un'ora alla fine di questa giornata di festa. Immagino che il Presidente si sia addormentato davanti al televisore. A metà gara, nella sua Chicago, i Bulls sono sopra di sette punti con i Lakers. Mike D'Antoni ha urlato in tutti i modi ai suoi di difendere. Vorrei imprecare anch'io, ma come si fa contro uno che si chiama World Peace?

Remembering MLK.