05 luglio 2013

Buon Compleanno, America [ NYC #10 ]

Max non voleva crederci, ma Giampi aveva bevuto tutto il bicchiere, come da scommessa. I rimasugli della cena erano finiti li dentro, insieme a liquidi vari. Tutto edibile, ma abbastanza schifoso a vedersi. Per questo, appena Giampi aveva messo il bicchiere alla bocca, Max aveva avuto un conato di vomito solo a guardarlo. E aveva perso i cento dollari della scommessa. Oggi, per un istante, mi è tornata in mente quella scena, vissuta a Praga nel 1990, durante una cena qualche giorno prima di capodanno. E mi è tornata alla mente quando la telecamera ha continuato ad indulgere sulla bocca di Joey Chestnut, alle prese con il suo 48° hot dog di fila. Ho quasi avuto un conato di vomito pure io e non sono più riuscito a guardare la televisione. Chestnut, per la settima volta consecutiva, ha vinto quello che qui è il famoso "Hot Dog Eating Contest", la gara per mangiatori di hot dog organizzata ogni 4 Luglio a Coney Island dall'altrettanto "World famous" Nathan's. Chestnut ha stabilito il nuovo record, superando quello che già gli apparteneva: 69 hot dog divorati in 10 minuti. Quasi non riesco nemmeno a scriverlo, ché mi riparte il conato.

4 Luglio, Independence Day, 237° compleanno per l'America. The Atlantic si chiede cosa accadrebbe se i cittadini americani dovessero rispondere alle stesse domande cui devono sottoporsi gli immigrati naturalizzati per ottenere la cittadinanza. E la domanda non è oziosa, perché nel dibattito sull'immigrazione c'è chi propone l'abolizione del diritto alla cittadinanza per chi, figlio di immigrati, nasce in territorio americano. La risposta è facile: molti americani fallirebbero l'esame. Pare, peraltro, che secondo un'indagine effettuata nel 2011 dall'istituto di sondaggi Marist Poll, meno di un terzo dei cosiddetti Millenials, cioè dei giovani nati tra il 1980 e il 2000, saprebbe dire con esattezza l'anno della Dichiarazione di Indipendenza, cioè il 1776. Provo a rispondere a qualche domanda del test. Finché si tratta di descrivere, tra le ipotesi proposte, il processo legislativo americano, me la cavo (una laurea in giurisprudenza servirà pure a qualcosa). Fino a quando devo riconoscere alcuni dei più famosi monumenti, mi salvo: il Golden Gate Bridge di San Francisco è banale, il Gateway Arch di St. Louis l'ho imparato in questi mesi, Alamo ci arrivo al volo e quella ennesima replica del Pantheon (ce n'è una pure a Torino) non può che essere, in mezzo alle possibili alternative, il Jefferson Memorial. Ma quando arrivo alle frasi famose, azzecco solo quella arcinota di Kennedy su cosa devono domandarsi gli americani. E quando devo riconoscere le facce dei giudici della Corte Suprema, mi  arrendo: passi che nelle ultime settimane, grazie al Wall Street Journal, ho soddisfatto tutte le mie perverse curiosità sulle dispute tra il Chief Justice John Roberts e il Justice Anthony Kennedy, ma ad associare volti e nomi, proprio non ci riesco. Non so come, riesco però ad intuire chi possa essere il Justice Antonin Scalia. Bah, vai a capire.
Comunque, messe da parte le ragioni per riflettere sui significati storici, riprese anche dal famoso quotidiano cittadino, questa è soprattutto una giornata di festa popolare, fatta di barbecue, bandiere nazionali e fuochi d'artificio, le tre voci che reggono davvero l'economia americana nelle ore precedenti il 4 Luglio.
Con la stampante riesco a preparare una bandiera per il mio piccoletto, e a pranzo, al fresco dell'aria condizionata, ci cimentiamo tutti e tre nella nostra gara familiare di abbuffata di hot dog, accompagnata da insalata greca e da un dessert a base di canederli (si, si, proprio loro) con gelato, secondo l'adattamento di una ricetta di Santa Lidia Bastianich (si, si, perché è ancora viva e vegeta, nonna Bastianich, ma secondo noi dovrebbero già farla Santa). Alle 6 del pomeriggio mettiamo finalmente il naso fuori di casa e per strada il profumo delle grigliate è ancora intenso. La metro N ci porta dritti a Coney Island. All'esterno della immensa stazione capolinea, tra la folla che attraversa Surf Avenue per tornare verso la città, si aggira un uomo che indossa una maglietta di "Occupy Wall Street" e sventola un cartello su cui c'è scritto: "Occupy R Us", riprendendo il logo di una famosa catena di negozi per bambini. Davanti a Nathan's, il primo locale della catena, l'originale, quello dei famosi hot dog (o frankfurters o franks, come sono chiamati qui), gli operai stanno smontando il palco che all'ora di pranzo ha ospitato la gara e sulla facciata è già ripartito il conto alla rovescia sul prossimo 4 Luglio. Roba da perdere il sonno. 
Coney Island, dopo gli immensi danni subiti con l'Uragano Sandy, ha riaperto il suo luna park e il suo lungomare in legno a fine maggio, per il Memorial Day. Ma oggi è forse la giornata più importante dell'anno, la prova per capire se tutto funziona. Da settimane volevo venire qui, e ora sono contento come i bambini che affollano le giostre. Mi piace. Ci sono poliziotti un po' ovunque, ma la presenza è comunque discreta. La spiaggia e il lungomare sono ancora stracolmi di gente. Sembra che almeno Brooklyn si sia concentrata tutta qui. Ma non solo, perché al capolinea di Coney Island arrivano anche i treni dal Bronx e dal Queens, dopo essere passati per Manhattan. Questo è un posto popolare, per le famiglie normali, quelle che vengono in spiaggia riempiendo di ombrelloni e borse frigo i caratteristici carrelli in metallo che durante la settimana vedi in giro per i supermercati. Qui la Pabst Blue Ribbon, la PBR, è ancora roba per gente comune e non la birra degli hipster di Williamsburg, che avendola eletta a loro bevanda d'ordinanza ne stanno facendo pure aumentare il prezzo, maledetti loro e la loro settima generazione.
Il piccoletto vuole scendere dal passeggino. Lo attrae la musica hip-hop che esce dalla piccola radio portatile di un ragazzo seduto su una panchina. A dire il vero, lo attrae anche la sabbia che si deposita tra le fessure delle lunghe liste di legno della passeggiata.
L'unico che riesce a farsi un minimo di spazio tra la folla è un ragazzo che porta sulle spalle un serpente. Ma siamo a New York, quindi nessuno ci fa caso più di tanto. Ai bagni e alle docce c'è la coda, così come davanti ai ristoranti che sfornano pizza, hamburger e patatine. La battaglia di Bloomberg contro le bevande gassate e zuccherate qui non è arrivata e non arriverà. Arriva invece altra gente, per vedere i fuochi d'artificio.
Davanti alla stazione della metropolitana il flusso ininterrotto di chi entra e di chi esce è praticamente lo stesso. C'è ancora il tizio con il cartello "Occupy R Us" e c'è pure una ragazza con un lungo vestito nero e un altrettanto lungo spacco nero frontale che lascia libere le sue gambe. Gli addetti al controllo lasciano passare le famiglie con i passeggini senza far timbrare il biglietto. Sebbene la stazione sia aperta su due lati, e arieggiata, la lunghissima rampa che conduce alle banchine puzza di piscio. Per vedere un ragazzino che fa acrobazie con la sua bici in strada, rischio di travolgere la vecchia davanti a me.
Arriviamo a casa giusto in tempo per accendere la tv e vedere i fuochi d'artificio organizzati da Macy's. Uno spettacolo di venti minuti, accompagnato da musica. Si parte con l'inno nazionale, lo "Star-Spangled Banner" nella famosissima ed emozionate versione di Jimi Hendrix e si finisce con la "New York New York" di Frank Sinatra e con il nuovo inno locale, l'immancabile "Empire State of Mind" di Jay-Z e Alicia Keys.
Cena leggera, prosciutto e melone. Il piccoletto va a dormire e la mamma lo segue dopo poco. Temo che per me, questa notte, sarà un po' più lunga.

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