"Scusi...", mi dice mentre sto per svoltare l'angolo.
Si tiene stretta alla sua stampella ed è appoggiata al muro del supermercato. A terra ci sono due sacchetti della spesa. Guardo l'orologio per capire se sono in ritardo. Anni fa una signora mi chiese se potevo aiutare suo nipote a portare una lavatrice al terzo piano. Questa volta mi è andata di lusso.
"È qua vicino, facciamo presto... Deve andare al Valdese? Se vuole c'è mio figlio che ci lavora...".
Afferro le borse e le dico che non è il caso.
Trecento metri sono sufficienti per riassumere una vita, soprattutto se il passo non è veloce.
Ha 88 anni e, dopo ben più di mezzo secolo a Torino, parla ancora in calabrese, anche abbastanza stretto. Il marito era piemontese, però, e faceva il trasportatore. Appena il bell'uomo la vide, vicino Rosarno, s'innamorò di lei e ne chiese la mano ai fratelli, sottoponendosi pure al vaglio d'un loro amico carabiniere.
La signora non ne vuole sapere d'andare a vivere a Pecetto, dove uno dei suoi figli ha un bel ristorante. Certo, a suo dire, la nuora è una ragione sufficiente per non spostarsi; ma lei, comunque, ha sempre vissuto nel quartiere e qui vuole rimanere.
Poco prima d'arrivare a destinazione, la signora incrocia una ragazza slava. Non ho capito bene, forse fa le pulizie nel suo palazzo. Di sicuro, manco a dirlo, non le sta proprio simpatica.
Il portone, maestoso e in legno, è di quelli capaci d'ingannare, forse anche per la vicinanza con dimore di gente ricca davvero. Ma appena nell'androne, la modestia è dappertutto. La signora saluta una donna in cortile e, un secondo dopo, mi dice che non le piace, perché spesso se ne sta sul balcone in mutande e viene a farle visita il suo mantenuto.
Sembrano almeno sei, ma sono solo quattro piani senza ascensore. Mentre la signora si riposa in cortile, porto su le borse e le lascio sul pianerottolo.
Quando scendo, non la vedo più. Dopo qualche istante, sbuca con una mezza sigaretta accesa e mi ringrazia per averla accompagnata a casa.
Prima di salutarla, le raccomando di prestare attenzione a chi chiede aiuto, ché non si sa mai. Mi squadra, ride e, agitando la stampella, mi dice che lei è ancora forte.
Certo, mai avuto dubbi.
Si tiene stretta alla sua stampella ed è appoggiata al muro del supermercato. A terra ci sono due sacchetti della spesa. Guardo l'orologio per capire se sono in ritardo. Anni fa una signora mi chiese se potevo aiutare suo nipote a portare una lavatrice al terzo piano. Questa volta mi è andata di lusso.
"È qua vicino, facciamo presto... Deve andare al Valdese? Se vuole c'è mio figlio che ci lavora...".
Afferro le borse e le dico che non è il caso.
Trecento metri sono sufficienti per riassumere una vita, soprattutto se il passo non è veloce.
Ha 88 anni e, dopo ben più di mezzo secolo a Torino, parla ancora in calabrese, anche abbastanza stretto. Il marito era piemontese, però, e faceva il trasportatore. Appena il bell'uomo la vide, vicino Rosarno, s'innamorò di lei e ne chiese la mano ai fratelli, sottoponendosi pure al vaglio d'un loro amico carabiniere.
La signora non ne vuole sapere d'andare a vivere a Pecetto, dove uno dei suoi figli ha un bel ristorante. Certo, a suo dire, la nuora è una ragione sufficiente per non spostarsi; ma lei, comunque, ha sempre vissuto nel quartiere e qui vuole rimanere.
Poco prima d'arrivare a destinazione, la signora incrocia una ragazza slava. Non ho capito bene, forse fa le pulizie nel suo palazzo. Di sicuro, manco a dirlo, non le sta proprio simpatica.
Il portone, maestoso e in legno, è di quelli capaci d'ingannare, forse anche per la vicinanza con dimore di gente ricca davvero. Ma appena nell'androne, la modestia è dappertutto. La signora saluta una donna in cortile e, un secondo dopo, mi dice che non le piace, perché spesso se ne sta sul balcone in mutande e viene a farle visita il suo mantenuto.
Sembrano almeno sei, ma sono solo quattro piani senza ascensore. Mentre la signora si riposa in cortile, porto su le borse e le lascio sul pianerottolo.
Quando scendo, non la vedo più. Dopo qualche istante, sbuca con una mezza sigaretta accesa e mi ringrazia per averla accompagnata a casa.
Prima di salutarla, le raccomando di prestare attenzione a chi chiede aiuto, ché non si sa mai. Mi squadra, ride e, agitando la stampella, mi dice che lei è ancora forte.
Certo, mai avuto dubbi.