02 gennaio 2016

Come in un film [ NYC #56 ]

Grandma is coming to town


"Parlate inglese?", ci chiede la signora che continua a passeggiare mentre si accosta a noi. La mia risposta, ancor più delle parole che lei stava prima origliando, lascia zero dubbi sul mio passaporto: "ii-ee-ss", rispondo sorridendo. A quel punto, mentre tutti noi proseguiamo a camminare senza nemmeno per un istante modificare il ritmo dei nostri rispettivi passi, la signora ci spiega il perché della domanda: "Mi piace molto ascoltare l'italiano, sembra d'ascoltare un film". Ringrazio, le dico che lei è davvero gentile e poi, scherzando, aggiungo: "Chi lo sa? Magari siamo proprio noi un film...". Si mette a ridere. E, mentre si allontana: "un bellissimo film. Pasolini!".
Botanical Garden, The Bronx

Quando ci saluta, la signora che ama Pasolini è praticamente già arrivata a casa, un tradizionale brownstone sulla 3rd Street di Park Slope. Guardo il numero civico del suo palazzo, sembra un perfetto conto alla rovescia, di quelli che il nostro Piccoletto inizia giusto in questi giorni a praticare quando gioca a lanciare nel suo Spazio qualunque oggetto che nella sua testa è parente di un razzo. La mia mamma ha la faccia perplessa. Le traduco il breve siparietto che abbiamo avuto con la signora. Chissà se la mia mamma adesso sta pensando che magari qui a New York la vita sembra davvero un film. 

Ancora non è chiaro come siamo riusciti a convincerla a prendere l'aereo per la prima volta nei 76 anni della sua, di vita. Era sempre stata terrorizzata all'idea di volare. Il mio sospetto è che qualche volo ultraterreno e perenne tra i suoi amici l'abbia persuasa a non perdere più tempo e a godersi il presente senza pensare d'inabissarsi nell'Atlantico.

Forse, più che ad un film, la mia mamma sta pensando ad un telegiornale. I grattacieli, almeno per ora, non l'hanno impressionata particolarmente, se non quando li ha visti una sera dall'autostrada lungo l'East River. Al Rockefeller Center, di fronte all'albero, le sono venuti in mente Giovanna Botteri e Giovanni Zucconi. Iniziò a credere sia vero che il Natale faccia magie e renda più buoni. Non l'abbiamo impressionata, invece, quando un giorno a pranzo le abbiamo fatto notare che al ristorante belga eravamo seduti a due passi da Lester Holt, giornalista pure lui e volto noto della NBC. 
Più che ad un film, la mia mamma starà pensando per quale strana ragione ci sia gente, qui a New York, che spende per un vero albero di Natale un quarto di quello che lei ha speso per il suo biglietto aereo o che paga un dollaro per una piccola testa d'aglio al mercato di Union Square, il parente americano del mercato dei contadini di Porta Palazzo. Quasi certo che la mia mamma si starà chiedendo perché, tra quella gente, ci siano anche suo figlio e sua nuora. 
Kwanzaa al Museo con Doug E Fresh

Magari non sarà un film, ma il dicembre quaggiù sembra una festa senza soluzione di continuità, un lunghissimo "Love Actually" senza accento londinese: qui dopo il giorno del Ringraziamento non si smette mai di celebrare. Ebrei e cristiani monopolizzano il calendario e spingono le vendite dell'ultimo mese dell'anno. La nonna, arrivata il 14 dicembre, ha saltato la fine di Hannukah giusto per misere 24 ore. Ma quaggiù non serve per forza un credo religioso per trovare una buona occasione per  festeggiare. 40 anni fa un esponente del nazionalismo nero e membro del movimento del Black Power ha creato una nuova festività, Kwanzaa, per celebrare l'eredità culturale africana e aiutare gli afroamericani a non perdere le loro lontane radici. Sette giorni, sette candele e altrettanti principi di vita da onorare di volta in volta. Così è vero che Nonna ha saltato le candele e i doni di Hannukah, ma l'abbiamo portata al Museo di Scienze Naturali, dove la 37esima annuale festa per Kwanzaa prevedeva danze tradizionali e il primo concerto rap della sua vita, con Doug E. Fresh. 

Con l'anno nuovo è arrivato anche il giro di boa del suo viaggio, ultimi quindici giorni di fitta improvvisazione. Mancano ancora alcune mete imperdibili, tipo l'High Line o il battello per Staten Island, ma il vero obiettivo ultimo è portarla a mangiare i ravioli tibetani, prima ancora che i ramen, dopo che lei ci ha preparato, uno ad uno, i suoi leggendari ravioli per Capodanno. Nel carnet delle cose già realizzate, oltre al su citato acquisto di aglio in Union Square: partita a basket con il nipote, spettacolo di marionette al cottage svedese di Central Park e trenini al giardino botanico nel Bronx. 

No, New York non sarà un film ma anche nonna, portandosi con la fantasia all'autunno, capisce che vivere in un palazzo a Brooklyn Heights, in una delle sue vie alberate o dei suoi vicoli ciechi, sarebbe più facile se uno guadagnasse come un attore. Noi ci accontentiamo di una semplice passeggiata per il quartiere, mentre siamo diretti giù al parco con vista sul Ponte più famoso del Mondo. Dopo pranzo, la Ragazza Dai Capelli Rossi prende sottobraccio la suocera. Ci salutano e s'incamminano verso la metropolitana, direzione pettinatrice. Anche io e il Piccoletto abbiamo la nostra missione da onorare. 
Pier 2, Brooklyn Bridge Park

Al Pier 2 del Brooklyn Bridge Park i campi da basket sono quasi tutti liberi. Nella baia il vento gelido non trova ostacoli se non la nostra faccia. Pochi minuti e rinunciamo a fare i fighi: meglio rimettersi la giacca, ché siamo pure nel mezzo della digestione (hai visto mai la vicinanza dell'acqua, le due ore prima di bagnarsi e tutto il resto c'entrassero qualcosa). Il Piccoletto non si capacita che qui non sia proprio come la palestra della YMCA di Park Slope. Non tanto per l'aria semi-polare quanto per l'assenza di canestri regolabili alla sua altezza di tre anni e mezzo. Si ostina a farmi cambiare campo. Li proviamo tutti, fino a quando non si arrende di fronte all'evidenza: in questo parco ultra-attrezzato i gagni sono banditi dallo esercizio dello gioco dello basket. Non ci arrendiamo. Tiriamo fuori dalla sacca l'altra palla che ci siamo portati dietro, quella da calcio. Sull'erba sintetica siamo solo io e lui, con lo sfondo dei grattacieli di Lower Manhattan a destra e della Statua della Libertà a sinistra. Starnutisce in continuo e corre senza fermarsi. Non ci sono segni apprezzabili di un mio ravvedimento: il buon padre di famiglia deve forgiare le ossa del figliolo fino a quando non si spezzano contro la bronchite. La nostra perfetta solitudine è compromessa dall'arrivo di una famiglia con ragazzino. Lui e il suo papà si mettono a giocare a freesbee mentre la mamma li guarda. Il mio Piccoletto decide che dobbiamo spostarci dall'altra parte del campo, per riguadagnare terreno tutto per noi, e non sembra interessato al fatto che stiamo andando a cacciarci dentro un cono d'ombra assoluta quando anche il sole pallido faticava a scaldarci. Stoici ai limiti dell'intervento degli assistenti sociali.
Coney Island

La mente adesso sarà pure sana ma non sono così persuaso che lo sarà anche il nostro corpo nel passaggio dal sudore al surgelamento. Piazzo il Piccoletto nel suo nuovo micro-passeggino defatigante e vado a passo veloce verso York Street. Sul marciapiede, vicino ai sacchi della raccolta differenziata, qualcuno ha abbandonato un pesapersone. Una signora si ferma e decide di testarlo, e pare anche soddisfatta. Il Manhattan Bridge, con i suoi treni che qui a Dumbo sferragliano quasi senza sosta, non è più un test per il nostro udito. Appena in metropolitana, il Piccoletto si addormenta. Potremmo scendere alla nostra fermata di Prospect Park, decido invece di lasciarlo cullare dal dondolio della carrozza e proseguire fino al capolinea della linea F. Guardo le cinque donne che sono sedute sul sedile di fronte al nostro. Non è per niente raro in questa città, ma loro sembrano davvero un piccolo manuale di geografia del Mondo. A Coney Island la nostra corsa finisce. Il Piccoletto si sveglia e insiste che dovremmo andare a vedere il Cyclone. Mi spiace, ma papà ha altri piani. Prendiamo il treno sulla banchina opposta e torniamo verso casa. Dai finestrini vediamo il Luna Park e il Ponte di Verrazano in lontananza. Scorrono all'infinito i tetti di Brooklyn. Sopra uno di questi, i ragazzi di una scuola giocano a basket. Sotto, in un giardino pubblico lungo la strada, altri ragazzi si esercitano con i guantoni da boxe. 

Non sarà un film, New York. Ma Pasolini avrebbe potuto farne uno.

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