29 giugno 2016

IMPERIALE

L'Impero Ottomano, l'Impero Britannico e quello di Gianfranco Bianco



Per le nostre vacanze d'agosto in Italia avremmo anche potuto scegliere di fare scalo all'aeroporto di Istanbul. La Torino che dice di guardare al Mondo, quella della Fiat che si è letteralmente mangiata la Chrysler (anche se i torinesi e gli italiani tutti non lo capiranno mai), non ha un collegamento diretto con New York, e nemmeno con Detroit, se è per quello. Il governo americano da mesi sconsiglia ai suoi cittadini di andare in Turchia, troppo pericolosa, a rischio continuo d'attentati. Un Paese spezzato in due dall'ultraconservatore Erdogan e in cui la guerra civile pare non essere un orizzonte così improbabile. Un'amica italiana che vive ad Istanbul da 8 anni mi ha scritto poche ore fa che è tristissimo vedere da mesi le zone turistiche svuotarsi. Istanbul non è solo una delle città principali d'Europa, è anche uno degli scali più importanti al Mondo. Quindi poteva esserci chiunque di noi all'aeroporto Ataturk. Ed è tristissimo ora leggere le storie di alcune delle vittime dell'attentato terroristico di ieri, l'ennesimo di una lunga serie che da un anno ha colpito la Turchia. 

Faremo invece tappa a Londra, e ci fermeremo lì per due giorni. Pochi per capire come nella Capitale inglese vivano il risultato del referendum sulla Brexit, ma sono curioso di vedere alcuni segni di questo periodo comunque cruciale per il Regno Unito. Quando arriveremo in Italia so già che verrò sommerso di domande. "E Trump? Vincerà le elezioni? Tutto il Mondo è Paese, eh?". Nessuno ha la bacchetta magica per fare previsioni. Nessuno si azzarda a farne, pena perdere faccia e magari pure la pagnotta. Ci sono valide ragioni politiche, demografiche e di meccanismi elettorali che rendono difficile una vittoria di Trump contro Hillary Clinton, sebbene nessuno dei due candidati alla Presidenza USA sia particolarmente amato. Per non entrare troppo nello specifico, mi limiterò a ripetere agli amici italiani che Europa e America son tanto diverse. Che americani e inglesi condividono la lingua e poco altro. Che in un Mondo dove tutti commerciano con tutti, dove tutti imparano a fare tutto, e dove la tecnologia fa aumentare la produzione e rende irrilevanti molti mestieri del passato, per alcuni c'è solo da perdere e per altri c'è solo da guadagnare. Se poi qualcuno vorrà sapere del presunto declino dell'Impero Americano gli dirò: sfortunatamente quaggiù non abbiamo un Impero e fortunatamente non abbiamo un declino. E spiegherò loro, per l'ennesima volta, che se c'è un centro nell'Universo quel posto è New York. Per essere ancora più specifici, è Brooklyn. Anche se son tempi grami per fare la maionese artigianale, con 'sti affitti che vanno sempre più alle stelle. 

A Torino c'era un uomo che, almeno due decenni fa, aveva un'idea molto chiara di "Impero".
Era l'estate del 1989. Tempo d'esami di maturità. Dopo un anno, con alcuni amici, ero tornato davanti al mio ex liceo. Non eravamo gli unici. C'erano anche un paio di giornalisti, in attesa dell'uscita dei primi maturandi. Posto perfetto per raccontare una storia, perché nello stesso isolato convivevano uno dei licei più importanti della città, lo scientifico Galileo Ferraris, e uno degli istituti tecnici più importanti sempre a livello locale, il Sommeiller. Uno dei due giornalisti era Gianfranco Bianco, per la RAI di Torino, l'altra una ragazza che lavorava da poco per la cronaca cittadina di Repubblica. Era carina. Volevo parlarle, fare colpo. Per questo, dopo aver trascorso un bel po' di tempo a parlare con Bianco, gli avevo chiesto in prestito il suo microfono e, con tutta la faccia tosta dell'epoca, mi ero presentato alla giornalista, fingendo di volerla intervistare. Chiunque abbia mai visto un telegiornale della regione Piemonte sa che sullo schermo Gianfranco Bianco era un professionista impeccabile, serio. Ebbene, quello stesso giornalista scherzava con noi e mi aveva ceduto il suo microfono come niente fosse. 

Di studenti in uscita non c'era ancora traccia. Gianfranco Bianco ci raccontava storie del suo lavoro e noi gli facevamo domande. Volevamo sapere chi fossero le giornaliste più belle in RAI. Volevo sapere di Carmen Lasorella. Lui, senza scomporsi, serio: "Carmen Lasorella? Una figa imperiale".

Gianfranco Bianco, che la terra ti sia lieve.

15 febbraio 2016

Vi presento la mia "Guida Inutile NEW YORK" [ NYC #59 ]

Venite a spasso nella mia (nuova) città


"Guida Inutile NEW YORK" di Denis Spedalieri

FREEZER esiste dall'agosto del 2006. Un semplice diario. Un blog anomalo, perché non faccio vita nella blogosfera. E in questo modo il mio FREEZER continuerà la sua esistenza.

Però, dopo tre anni di vita trascorsi qui a New York con la Ragazza Dai Capelli Rossi e il nostro Piccoletto, ho deciso di aprire anche un altro progetto.

In questi tre anni tanti amici sono passati in città. E con il tempo tutti mi hanno ripetuto la stessa domanda: "perché non scrivi una guida?". Tra questi, anche l'amico e fotografo Sandro Pisani. Arrivato a Brooklyn nel giugno dello scorso anno, mi ha chiesto di accompagnarlo in giro per il suo lavoro. Quando gli ho spiegato che avrei preferito scrivere un nuovo blog, lui mi ha regalato la sua idea: "un blog su tutto quello che conosci di New York, una 'guida inutile' della città".

Dopo mesi di pensieri, quel blog è nato. Il suo nome è "Guida Inutile NEW YORK", www.guidainutile.nyc è il suo indirizzo.

Ho aperto anche una pagina su Facebook: www.facebook.com/guidainutilenyc
E un profilo su Twitter: @guidainutilenyc
E non volevo farmi mancare Instagram: guidainutilenyc

Come si dice dalle mie nuove parti: Welcome to New York!
 

12 febbraio 2016

FREEZER

Che se poi questo blog si chiama FREEZER, la ragione sta tutta qui sotto. E nel mio amore per Carlo Verdone. (Gattaccio Pietrone, so che apprezzerai pure tu.)



25 gennaio 2016

Liber [ NYC #58 ]

Vivi e lascia vivere

Il meteo italiano non fa notizia a New York. Le unioni civili, si
Il mio vicino in biblioteca legge il New York Times fresco di giornata. Riuscire a trovare la copia del giorno è quasi una mezza impresa. Ed è una gara per gli anziani, che giustamente se lo contendono. In biblioteca i giovani ci vanno per il collegamento internet, quelli di mezz'età per cercare lavoro, i più fortunati si portano dietro computer e lavoro. Ci sono poi quelli che vanno davvero per i libri. Sembrano una minoranza solo perché noi con il computer alziamo poco la testa e non li notiamo. Ci sono quelli che vanno per trovare un posto caldo d'inverno e fresco d'estate. Dopo la bufera di appena due giorni fa, con i marciapiedi scivolosi e gli incroci ancora colmi di neve che non ne vuole sapere di sciogliersi, anche due passi tra gli scaffali di una biblioteca non sono da scartare. Mangiare in biblioteca è proibito. Così com'è proibito molestare, usare un linguaggio offensivo, portare coltelli, pistole o altre armi. Almeno pare sia così dal due novembre scorso e nelle biblioteche qui a Manhattan, secondo quanto riporta un avviso presente su ogni tavolo. Dormire è ancora più complicato: appena appoggi la testa al tavolo, o anche solo chiudi gli occhi, arriva un impiegato a svegliarti. Nessuna pietà. Nemmeno quando ti addormenti per colpa della biblioteca. A Soho, in Jersey Street, ce n'è una che sembra fatta apposta per annientarti. A parte i due piani interrati, con quasi totale assenza di luce naturale, il piano terra ospita delle poltrone vicino alle finestre lungo la strada. Quando ti siedi su una di quelle poltrone dopo pranzo, anche se hai mangiato una banale fetta di pizza, sei spacciato. Come tanti altri ho scoperto solo di recente che a due passi da quella biblioteca, proprio dietro l'angolo, abitava David Bowie. Pare che chi lo incontrasse per strada non lo importunasse mai, anche riconoscendolo. Nella migliore delle tradizioni newyorchesi: c'è spazio per tutti, ognuno è libero di vivere la sua vita come meglio crede. Puoi passare inosservato anche se sei famoso, ma non per l'indifferenza.

Alzo la testa e guardo oltre la vetrata. Fisso il traffico che scorre sulla 23esima, sta per iniziare l'ora di punta. Io devo tornare a Brooklyn e oggi tocca a me andare all'asilo a prendere il piccoletto. Inizio anche ad avere caldo. A quanto pare una delle impiegate ha più caldo di me, perché sta già in canottiera allo sportello del prestito libri. Attorno ci sono persone che sono sedute da tempo e non si sono nemmeno levate la giacca per il freddo. Un signore non ha abbandonato nemmeno il suo colbacco.

Intanto il mio vicino di banco se n'è andato. Afferro il giornale, che ha lasciato sul tavolo. Sulla prima pagina del New York Times si parla di Italia e delle divisioni sulle unioni civili. M'è passata la voglia di leggere. Vado a prendere la metropolitana.

24 gennaio 2016

Anno nuovo, e solo quello [ NYC #57 ]

Hai voglia a dire che non s'invecchia

YMCA Park Slope, Brooklyn

"Can I borrow you?". Si, sta proprio rivolgendosi a me. A parte lui, sono l'unico maschio adulto presente. Per il resto, solo mamme, amiche delle mamme e babysitter. Me ne sto tranquillo a bordo di uno dei tre campi da basket ospitati sotto la grande volta della YMCA di Park Slope. Quello che un tempo era un arsenale, adesso è una delle più grandi palestre di tutta Brooklyn. Questo giovedì l'allenatore deve fare a meno del suo assistente. 12 bambini, tra cui anche il Piccoletto di casa Spedalieri, sono pronti a giocare a football. Ognuno stringe la propria palla come fosse oro. Io adesso sono esattamente al centro del campo e loro mi puntano: sarò l'ultimo ostacolo prima del touchdown. Sono un adulto rispettabile, loro sono solo dei bambini che smaniano per giocare e tra questi c'è pure mio figlio. Primo pensiero? Col cacchio che li faccio segnare.

02 gennaio 2016

Come in un film [ NYC #56 ]

Grandma is coming to town


"Parlate inglese?", ci chiede la signora che continua a passeggiare mentre si accosta a noi. La mia risposta, ancor più delle parole che lei stava prima origliando, lascia zero dubbi sul mio passaporto: "ii-ee-ss", rispondo sorridendo. A quel punto, mentre tutti noi proseguiamo a camminare senza nemmeno per un istante modificare il ritmo dei nostri rispettivi passi, la signora ci spiega il perché della domanda: "Mi piace molto ascoltare l'italiano, sembra d'ascoltare un film". Ringrazio, le dico che lei è davvero gentile e poi, scherzando, aggiungo: "Chi lo sa? Magari siamo proprio noi un film...". Si mette a ridere. E, mentre si allontana: "un bellissimo film. Pasolini!".
Botanical Garden, The Bronx

Quando ci saluta, la signora che ama Pasolini è praticamente già arrivata a casa, un tradizionale brownstone sulla 3rd Street di Park Slope. Guardo il numero civico del suo palazzo, sembra un perfetto conto alla rovescia, di quelli che il nostro Piccoletto inizia giusto in questi giorni a praticare quando gioca a lanciare nel suo Spazio qualunque oggetto che nella sua testa è parente di un razzo. La mia mamma ha la faccia perplessa. Le traduco il breve siparietto che abbiamo avuto con la signora. Chissà se la mia mamma adesso sta pensando che magari qui a New York la vita sembra davvero un film.