A New York come a Parigi
"Me siento muy contento, me siento muy feliz", cantano in coro i quattro musicisti. Potrebbero essere messicani, ma a parte il pregiudizio non ho altri motivi per pensarlo. Scendono a DeKalb Avenue, l'ultima fermata di Brooklyn prima di arrivare a Manhattan. La metropolitana riparte. Ho trovato posto a sedere al fondo della carrozza e sento che potrei addormentarmi da un momento all'altro, anche se è solo metà pomeriggio. Si apre la porta che dà sulla passerella che connette i vagoni. Quella porta che, secondo i moniti terrorizzanti scritti per i genitori sul retro delle metrocard, non si dovrebbe mai aprire per non rischiare di finire sui binari. In mancanza di bagni pubblici nelle stazioni, quella passerella è non di rado usata come orinatoio.
Guggenheim Museum |
Dal vagone a fianco arrivano due ragazzi. Uno ha in mano uno stereo portatile, l'altro annuncia che è "showtime". Iniziano a ballare. Nonostante il volume della musica sia decisamente alto, Shazam non mi aiuta a riconoscere quel giro ossessivo che mi sta entrando piano piano nella testa. Il treno adesso corre in superficie lungo il Manhattan Bridge. Giusto il tempo di guardare su Internet le ultime notizie dalla città. A Midtown un isolato si sta riempendo di fumo. Pare sia solo un incendio, niente di grave. Qui gli attacchi terroristici di Parigi, freschi di nemmeno 24 ore, trovano nervi allenati alla minaccia permanente: è una consuetudine la voce in metropolitana che ti ripete "if you see something, say something". Ma non sorprende che molti abbiano iniziato a pubblicare immagini via Twitter e a chiedersi cosa stia succedendo in mezzo a quel fumo. Si torna in galleria e non c'è più segnale. Un pensiero in meno.