27 marzo 2012

DUE

Devo avere la faccia feroce. Gli occhi quasi chiusi, anche perché l'albero davanti a me non basta a tenere il sole a bada e, se mi sposto ancora un po', finisce che cado dalla panchina. Se qualcuno mi sta guardando, penserà che sono accigliato, che un pensiero mi tormenta. No, sto solo aspettando che arrivino gli occhiali nuovi. Segno dell'età, dice che me ne serve un altro paio per leggere. Così chiudo gli occhi ancora di più, per provare ad affaticarmi di meno. Me ne devo fare una ragione, avrò due paia d'occhiali. Proprio come i...
Mi sforzo, ma oggi pomeriggio l'idea brillante non vuole arrivare. Le scadenze sono chiare, l'obiettivo anche. Eppure, non mi smuovo da quelle due righe, che mi convincono pure poco.
Vorrei alzarmi e fare pausa. Un caffè al bar del parco s'imporrebbe sovrano, ma è l'ora più pericolosa per abbandonare la panchina: se ti alzi la perdi, e nessuno è così pio da starsene, come il sottoscritto, confinato in un angolo, giusto per lasciare spazio a qualche anima errante.
Si, la pausa serve. Ma ci sono anche i due vecchi sulla panchina vicina, che dopo un lungo silenzio innaturale, hanno rotto gli indugi e, alla buon'ora, si son messi a parlare. Maledizione, non ci riesco a farmi gli affari miei.
Per favore, Iddio Santissimo. Anche se ti reclamo praticamente mai, per via della schiavitù da materialismo dialettico, Iddio Santissimo, dimmi che non diventerò così lamentoso. Mica chiedo di non lamentarmi, idiozia. Dico semplicemente di poter mantenere almeno una parvenza di tolleranza verso il resto del Mondo prima dello stato cinereo.
La loro litania parte verso i bambini. A parte i cani e i piccioni, qui sono l'unica cosa che si muove ad un'andatura non ospedaliera e che abbia un suono decisamente vitale. Ma il lamento numero uno è verso i Bambini con la B maiuscola: rompono tutto. Il lamento numero due colpisce il mondochecambiaenoipurtroppodobbiamoadattarci. Meno male, direi, pena l'estinzione anticipata. Ma mi sembrano in gran forma, buon per loro.
Sembrano quasi la fotocopia l'uno dell'altro, ma si passano 7 anni. Quello che ne ha 79 non smette di parlare un momento, quello di 86 non sembra così rassegnato. Il più giovane è anche quello che filosofeggia e si lagna di più, è un vero leader. Sventola la tessera che gli consente di viaggiare gratis in tutta Italia, sembra essere fiero del fatto che non paga una lira. Ma dice d'avere una casa con salone doppio. Nessuno dei due è stato sposato, e alcune cose inizio a spiegarmele. Il più vecchio ha la badante, la paga 1150 euro e le versa pure i contributi. Forse avrà pensato che sono della Finanza.
"Ah, lei ha l'ora per ritirarsi", dice il più giovane, mentre il più vecchio si alza e lo saluta augurandogli di rivedersi. Passa qualche minuto e pure il più giovane se ne va.
Accidenti, fine del film. Mi tocca lavorare, penso.
Non è vero.
Arrivano con passo sicuro e si conquistano la panchina. 
Se i vecchi mi sembravano due fotocopie, questi due ragazzetti sembrano gemelli siamesi. Capelli scuri a spazzola, identici. Jeans, identici. Gilet nero, uno col cappuccio, l'altro senza. Occhiali da sole con lenti a specchio, identici. Uno ha la maglietta viola a righe orizzontali, l'altro ha una personalità sicuramente spiccata, perché ha scelto una maglietta viola a righe verticali. Orecchino identico, e solo a sinistra. Se ne stanno stretti stretti uno accanto all'altro. Se non riconoscessi la risata scema e lo sguardo malizioso con cui accompagnano il fondoschiena della signora che spinge il passeggino, direi che sono fidanzati.
Maledizione, parlano una lingua che non conosco, sembra slava.
E il sole se n'è pure andato dietro i tetti.

01 marzo 2012

FUTURA

A 12 anni mi sembrava immensa, Torino. Quando d'estate mio padre mi portava con lui a Mirafiori Sud, per consegnare i materassi a fine giornata, già quel viaggio da via Frejus era una gita e arrivare nelle strade attorno a via Togliatti era come cacciarsi dentro un labirinto.
Quella domenica di metà settembre, però, la gita a Italia '61 l'avrei ricordata a lungo.
Il pomeriggio non finiva mai e ad ogni ora il parco si riempiva di gente. C'era la Festa Nazionale dell'Unità ma non era quella la vera attrazione. Io mi stringevo fiero alla mia piccola sacca rossa e blu da marinaio, con i panini e tutto quello che mi sarebbe servito per sopravvivere lontano da casa. Ricordo che la  sopravvivenza era anche legata alla presenza di mia sorella: con i suoi diciott'anni compiuti da pochi giorni, e con i suoi superpoteri, riuscì a difendermi da alcuni bulli. Insomma, mi sentivo al sicuro, anche quando la mia sacca, nella calca della folla, si allontanò pericolosamente da me e io a stento la trattenni per la corda come se fosse la mia ancora. 
Forse è stato quel giorno di settembre che ho perdonato sul serio mia sorella. A maggio Bob Marley se n'era andato per sempre, ed era colpa di mia sorella se mia madre, l'anno prima, mi aveva impedito d'andare al Comunale per il suo concerto: "mamma! Non sai cosa si fumano a quei concerti!". Aveva fatto il suo lavoro, mia madre, e mi aveva detto che ero troppo piccolo.

Ma quella domenica era finalmente arrivato il giorno del mio primo concerto.
Era il 13 settembre del 1981.
E Lucio Dalla cantava solo per me.