10 maggio 2013

البحر - 是 - Sea - Mare [ NYC #5 ]


La voce dell'Imam arriva dall'altoparlante. Non credo che la Quinta Avenue, a Bay Ridge, sia rivolta verso la Mecca, ma decine di uomini, come ogni venerdì, stanno pregando sul marciapiede, inginocchiati e con la faccia rivolta a terra. Qualche anno fa, a Roma, vidi una scena simile davanti alla Moschea di Centocelle, troppo piccola per ospitare tutti i fedeli. Cordiale, l'imam di Centocelle mi aveva accolto alla fine della preghiera. Ma, altrettanto cordialmente, mi aveva spiegato che non avrebbe risposto ad alcuna mia domanda circa il desiderio, espresso da molte comunità islamiche italiane, di creare scuole per i propri giovani. Erano ancora troppo recenti le polemiche sollevate dalla presunta presenza, nella loro Moschea e in quella di San Salvario a Torino, di fanatici inneggianti alla Guerra Santa. Loro, come a Torino, erano convinti d'essere caduti in una trappola, orchestrata ad hoc per le telecamere nascoste di giornalisti a caccia di scoop e volta a dimostrare la pericolosità dei musulmani. La risposta che ricevetti a San Salvario fu pressoché la stessa, e il mio desiderio di scrivere qualcosa sul tema delle scuole a guida islamica morì lì.
La Islamic Society di Bay Ridge confina con la multisala del quartiere, il cinema Alpine, dove si proiettano solo i grandi film da cassetta. A poca distanza, quasi all'angolo con la 69esima Strada, due poliziotti controllano con discrezione tutta la scena della preghiera lungo il marciapiede. Sullo stesso angolo si trova la palestra dove si allena Sadam Ali, conosciuto anche come World Kid Ali. Pugile professionista, peso welter, 16 incontri vinti, di cui 10 per k.o., Ali è stato il primo americano d'origine araba a partecipare alle olimpiadi con la maglia degli Stati Uniti, a Pechino 2008. Nato a Brooklyn nel 1988, cresciuto in una famiglia yemenita e formatosi nelle palestre di Bedford Stuyvesant, Sadam porta lo stesso impegnativo cognome di Mohammed Ali e qualcuno gli assegna anche l'impegnativo compito di fare da esempio per i sempre più numerosi arabo-americani presenti nel Paese.

Nonostante la 69esima Strada attraversi il quartiere in orizzontale (e proprio questo, nella mia concezione, è il motivo per cui viene chiamata "Street"), in realtà è conosciuta anche come Bay Ridge Avenue, e pure i cartelli stradali riportano questo nome. La 69esima nasce a Bensonhurst, quartiere a tradizionale presenza italiana, attraversa Dyker Heights, altra zona ad alta densità di italo-americani, per poi finire a ridosso della Baia di New York.
Come altre strade qui a Bay Ridge, la 69esima mantiene memoria delle trasformazioni che il quartiere ha vissuto negli anni, soprattutto nella zona più a nord-est. All'angolo con la Sesta Avenue, sui lati opposti della strada, si guardano due negozi: Teddy's, una lavanderia, e Mike's, una bottega di alimentari. Nomi tipicamente americani, come americani sono i gestori, ma di una più recente ondata migratoria: Teddy's è gestito da una famiglia cinese, Mike's da una famiglia araba.
La preghiera termina. Tra gli uomini che si allontanano con i loro tappeti sotto braccio ci sono anche tanti ragazzi che indossano il berretto con visiera larga, accessorio maschile tipico tra gli americani di tutte le età, censo e religione (a parte gli ebrei hassidici, chiaro). Una parte della piccola folla sciama sulla 69esima, e io con loro. Punto verso il mare. Dopo la Quarta Avenue, la strada ha un aspetto più ordinato e pulito, anche le piccole case in mattoni a due piani sono più curate in quest'area. Un barbiere ha chiuso il suo negozio e un cartello annuncia che si è trasferito sulla 86esima, che è un po' come dire: avendo fatto i soldi, mo' me ne vado ad aprire nella principale via commerciale del paese, yeah. Poco dopo la Terza Avenue, davanti al palazzo della Gateway Church and Academy (che una volta ospitava la New Hope of Felloship), tra le tante mamme che aspettano l'uscita da scuola dei loro figli, ce ne sono molte con il capo coperto dall'hijab. Sul marciapiede opposto, davanti alla moschea Oulel Albab, sfreccia una ragazza che fatico a non guardare, appena uscita dalla vicina palestra con mini pantaloncini e mini top. All'angolo con Colonial Road, una ferramenta confina con uno studio legale, e in questo Paese è assolutamente normale, a meno che tu non sia una Law Firm tanto importante da meritarti almeno un cinquantaseiesimo piano a Lower Manhattan. Poco più in là, un signore col vistoso turbante tipico dei sikh aspetta che il tassista gli dia il resto (e se vivi a Brooklyn sai per certo che quella Lincoln nera, senza insegna alcuna, non può che essere un taxi). Da un balcone, solitaria, sventola una bandiera polacca: forse perché molti, in questo tratto della strada, espongono orgogliosamente la bandiera americana. Sotto una Star-Spangled Banner appesa ad un albero di casa propria, una signora cinese è seduta su una panchina e parla al telefonino. Quella che sembra essere una nipote, almeno così penso io, sta appoggiata alla palizzata in legno e armeggia anche lei con il suo cellulare.
Inizio ad intravedere il mare. Supero la Shore Road, imbocco il sottopasso della Belt Parkway, supero la pista ciclabile e mi fermo all'inizio dell'American Veterans Memorial Pier. Sul molo ci sono panchine, ma è difficile stare fermi, il vento soffia forte. Continuo a camminare. Alla fine della lunga banchina c'è un gruppo di pescatori che ha appoggiato un ombrellone a terra, lo ha bloccato non ho capito come e lo usa per proteggersi dalle folate. Partendo da sinistra, è possibile vedere il Ponte di Verrazzano, Staten Island, il New Jersey, la Statua della Libertà e poi Manhattan, con quello che nei prossimi mesi sarà il suo nuovo One World Trade Center, che dovrebbe svettare su tutti gli altri grattacieli americani. Sul molo, dal 2005, c'è anche un monumento in bronzo: un faro, per ricordare le vittime degli attentati alle Torri Gemelle l'undici settembre 2001.

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