30 marzo 2007

Tempi moderni

Domenica scorsa a "Che tempo che fa", la trasmissione di Fabio Fazio, era ospite Letizia Moratti, sindaco di Milano. Ad un certo punto, Fazio le ha domandato come mai Torino stesse riuscendo a trasormarsi in una metropoli post-industriale e Milano no. La Moratti ha tentennato solo per qualche istante, poi ha iniziato a dire che Milano non era più una città industriale, e che i servizi e le...
Poco interesse per quello che ha detto dopo: la domanda era poco intelligente e la risposta che ne è seguita non poteva essere da meno (che vuol dire post-industriale? cos'è l'industria oggi? forse negli occhi di Fazio c'è ancora la Fiat di 20 anni fà? o pensa che a Torino, come in altre grandi città italiane, non esistano più fabbriche? e che tutto quello che compra e mangia sia prodotto in Cina? mah...).
La cosa interessante era un'altra. Sta cambiando quello che si dovrebbe chiamare "immaginario collettivo": Torino è una città che si muove, che cambia, che guarda al nuovo; Milano no. Questo sta entrando nella testa di alcuni italiani.
I torinesi più lamentosi dovrebbero essere contenti e ringrazieranno le mitiche Olimpiadi invernali per questo miracolo.
E' facile intuire che le cose siano un po' più complicate, che il processo di trasformazione parta da più lontano.
Sarà sicuramente poco significativo ma ricordo quando, una decina d'anni fa (o forse più), aprì in Via Roma la boutique di Hermes.
A Torino, in pieno centro, non s'era mai visto qualcuno osare vendere una polo a cifre simili allo stipendio d'un operaio.
Quell'ostentazione era qualcosa di nuovo, la città stava per perdere la sua aria sovietica, un po' grigia, dove non c'erano molti soldi.
Ma dove in una mattinata di primavera non avresti visto un disgraziato dormire davanti alla vetrina della Nike, coperto da un cartone pubblicitario di Repubblica, mentre all'interno le donne delle pulizie sono alle prese con gli ultimi ritocchi prima dell'apertura del negozio.
O, forse, non lo avremmo semplicemente notato?


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