17 agosto 2006

Bambini dell'82

La canzone originale non è male; una semplice chitarra e una batteria, rock classico, insomma. Ho scoperto che alcuni remix le danno anche maggiore potenza (tipo quello degli Hard-Fi).
Sono milioni d'italiani, dalle piazze ai cessi pubblici, che la fanno odiare.

"Seven Nation Army", questo è il titolo
La metà di noi avrebbe mai sospettato che potesse essere il brano di un onesto duo americano che risponde al nome di White Stripes?
Come noi, anche l'altra metà avrebbe comunque pensato: 'zzo! l'ennesima nenia dell'estate...
Poò-popopopopo-pooò, poò-popopopopo-pooò....
E via così, confidando almeno nell'azzeramento della saliva di chi la canticchia.

Con questo tormentone ancora bello fresco nelle orecchie, io e P. abbiamo deciso di salire a Villar Perosa.
Non in un giorno qualunque. Il giorno dopo la vittoria dell'Italia a Berlino sulla Francia.

Era da almeno un paio d'anni che nelle mie orecchie il vero tormentone era la sua richiesta: andiamo su a Villar.
E perchè proprio Villar Perosa? Perchè il "piccino" ci ha passato l'infanzia.
E dove si trovava quando Nando Martellini ha urlato Campioni del Mondo - Campioni del Mondo - Campioni del Mondo?
Ma a Villar, ovviamente.
Così, complice un pomeriggio di lavoro più breve del solito, ci siamo messi in macchina verso le quattro, con il sole a picco.
L'autostrada fino a Pinerolo rende davvero un'inezia il viaggio.
Ma noi eravamo intenzionati a dargli un minimo di epicità.
Per me e P. questo vuol dire due sole cose: cibo e bevande. Stop.
E così, prima di uscire da Torino, sosta in un supermercato di Borgo Cina per comprare della birra.
Poi, appena usciti dalla tangenziale e varcato il casello di Beinasco, sosta alla stazione di servizio. Caffè e patatine (rectius: polentine).
Finalmente, alle cinque, la sagoma della SKF ci dice che siamo arrivati. Dopo (ben) 50 km.

[Nota per chi non abita o non è di Torino e dintorni:
Villar Perosa è il luogo d'origine di quella che è stata e forse è ancora la Principale Famiglia di torino. E scrivo in minuscolo il nome della città, perchè per lungo tempo è stata un Loro Feudo. Tempo fa ho rivisto un vecchio manifesto del PCI. A sinistra l'Avvocato; chino verso di lui, stringendogli la mano, Valerio Zanone. Sotto la foto, la scritta: "il Sindaco è quello a destra"]

Parcheggiamo la macchina e ci dirigiamo verso il cimitero. Sappiamo che la tomba della Famiglia è sicuramente chiusa, ma il cimitero si appoggia dolcemente alla montagna e vale la passeggiata interna. Certo, quello di Amalfi è un'altra cosa, ma tant'è.
Usciti dal cimitero, attraversiamo la strada e andiamo verso la chiesa. L'ingresso è rivolto verso la vallata.



Giusto il tempo per un paio di scatti e prendiamo le scale nascoste tra l'erba che conducono giù verso una strada.

Lungo questa stretta strada si affacciano, a destra, una casa a due piani la cui facciata color ghiaccio è quasi completamente ricoperta d'edera; a sinistra una casa colonica, in rosso pompeiano. La casa colonica ha il cancello aperto, sul citofono c'è scritto Umberto G. [per privacy ometto il cognome].

Proseguiamo lungo la strada e osserviamo il giardino all'interno della casa con l'edera. Spettacolare. Prato all'inglese e una piccola fontana-laghetto. La guardiamo estasiati. Poi notiamo che, poco più avanti, il cancello d'ingresso è spalancato.

"Ma è la Casa?", chiedo a P. "La casa della Famiglia?".
"Mah, che io sappia si... però.... non si vede nessuno..... il portone è aperto. Forse è diventato un parco; forse ora aprono il giardino al pubblico".
La strada è deserta, ormai da parecchi minuti.
Ci avviciniamo al cancello. Entriamo.
Il vialetto è separato dalla strada solo dalla siepe e dalla cancellata. Lo percorriamo circospetti, anche perchè è ricoperto di ghiaia, che amplifica il rumore dei nostri passi.
Il vialetto si allarga e ci conduce all'ingresso della Villa. La porta è aperta.
P. suona il citofono ma non ottiene risposta. Entra in casa. "C'è nessuno?". Silenzio.
Lo seguo.
"Dai P., non ci posso credere...".
Davanti a noi un ingresso, con un piccolo salottino, suppellettili varie, mi sembra vi sia anche una statua di tigre o qualche altro felino.
Una scala sulla sinistra e, in fondo, una finestra aperta che lascia intravedere un altro giardino.
Ci guardiamo attorno e usciamo.
"Mi fai una foto? Voglio una testimonianza...".
"E vai gattaccio, mettiti in posa!".



Scatto la foto con il cellulare. Mi giro e cerco di scattarne un'altra, che riprenda la fontana e il prato inglese. Non faccio in tempo.
"Scusate... desiderate?"
"Ah, si... buongiorno...". E mentre rispondo all'uomo che ci ha fatto la domanda mi avvicino verso di lui. Affettando indifferenza del tutto fuori luogo.
"....Si... buongiorno.... abbiamo visto il cancello aperto e pensavamo...".
"E voi quando trovate un cancello aperto pensate sia un invito ad entrare?".
E' alto, corporatura robusta, carnagione scura. Sgrana gli occhi ma sotto i baffi si intravede un sorriso indulgente.
E' un signore, non solo nel portamento. Avrebbe potuto urlarci dietro, cacciarci in malo modo, minacciarci di chiamare la polizia. Invece si ferma davanti a noi, in attesa di vedere cosa ci inventiamo.
"No guardi, non siamo della zona; siamo qua solo in vacanza e siamo entrati dal cancello perchè pensavamo avessero aperto al pubblico... e poi abbiamo fatto di tutto per farci vedere... non siamo stati proprio circospetti....".
E , tanto per rafforzare il concetto, P. aggiunge: "Abbiamo anche suonato il campanello e chiesto se c'era qualcuno! Ma questa è la villa....?".
"Si, è questa. Ma voi non potevate entrare".
"Ha ragione, abbiamo un po' esagerato... Vogliamo sperare che lei, guardandoci, capisca... non c'era alcun intento...".
Meno male, capisce.
Da quel momento la chiaccherata assume toni rilassati e piano piano ci avviamo all'uscita.
Ci presentiamo. Lui si chiama Umberto, è il maggiordomo della Famiglia.
Racconta che non è infrequente che il cancello sia aperto e che qualcuno si introduca in casa, con intenzioni peggiori delle nostre. Ci spiega che tenere aperto al pubblico, anche se la Villa è spesso deserta, avrebbe costi enormi.
Gli raccontiamo cosa facciamo noi e che quel giorno siamo in vacanza.
Prima di andarcene cerco di spaventarlo: "Magari un giorno torniamo a trovarla per prendere un caffè!".
Ride. Non lo abbiamo spaventato.
E' tempo di rientrare a Torino.
Anche questo Mondiale è andato.

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