25 luglio 2012

GRANA GROSSA

Avrà sei anni o giù di lì.
Credo sia il figlio dei ragazzi nigeriani della videoteca, o forse della donna del saloon afro.
Inforca la sua bicicletta con foga da scattista e si schianta a terra, giusto davanti ai miei piedi, evitando per un soffio il palo della sosta lungo il marciapiede.
"Vuoi una mano", gli chiedo.
Mi guarda e non risponde.
Mi allontano, ridendo all'indirizzo di uno che fa pure lui il palo poco più in là.
Sento alle mie spalle qualcosa che si avvicina velocemente.
"Non avevo bisogno d'aiuto!".
E mo' che gli dico? Niente, ragazzino, sai il fatto tuo.
San Salvario è assonnata, come ogni pomeriggio d'estate. A parte gli spacciatori incollati alle auto e un gruppo di rumeni nel dehor improvvisato d'un bar, sembra che ci sia nessuno in giro. Penso che anche gli alpini davanti alla sinagoga vorrebbero abbandonare il blindato e cercare un albero.
Io, invece, cerco del bulghur e in tasca tengo i soldi come i bambini che vanno a far le commissioni. Devo prenderne due chili, si sarebbe meglio.
Il negozio bio è chiuso. Meno tre.
Il ragazzo del Bangla Market nemmeno capisce cosa gli sto chiedendo. Tranquillo, gli faccio con la mano, cerco da me tra gli scaffali. Nulla, solo cous-cous. Meno due.
Al negozio indiano stanno scaricando la merce. Fagioli e lenticchie di tutti i colori, ma il bulghur non c'è. Meno uno.
Vabbé, è destino, devo allungare la mia strada di almeno duecento metri.
Il maghrebino ha tutto, anche la carne o il formaggio che arriva da Parigi. Ovvio, c'è anche il bulghur.
Il prezzo sui pacchi dice due euro. Non so perché, ma batte uno scontrino da tre e sessanta.
Non ho la forza per chiedere, e nemmeno mi interessa così tanto.
Non farò la cresta, adesso voglio solo la mia acqua frizzante.

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