31 ottobre 2009

A VOLTE, RITORNO

Case sparse

Che poi io, a Roma, c'avrei anche una casa.
No, non ad Anzio, dove pure ha messo radici una piccola ma significativa testimonianza della diaspora familiare.
No, proprio dentro i confini della cinta daziaria. E senza nemmeno l'obbligo di presenziare alle assemblee condominiali: ci va il padrone di casa, e non mi dice cosa s'è deliberato.
Quanto odio, per Roma. E quanto amore, non corrisposto, per la città che potrebbe essere ma proprio non vuole. Non mi si venga a parlare di contraddizioni della metropoli, ché mica vengo dalla campagna e qualunque città, ontologicamente (lo posso dire?), è lo scatolone dove trovi tutto e il suo contrario. La mia amante dorme e io vorrei scuoterla dal suo torpore. Come ogni innamorato che non conosce ragioni.
Se muore un Papa, e si buca una gomma prima del Raccordo invaso da autobus di fedeli in lacrime, posso essere certo che il padrone di casa non si sveglierà per il mio arrivo nel bel mezzo della notte, ché tanto ho le chiavi e non devo suonare il citofono.
La mia stanza sta al primo piano. Devo solo sperare che non ci sia vento, altrimenti dovrò convivere col suono di qualche fottuta campana tibetana.
Da qualche tempo, nella mia casa, è arrivata una donna importante. Ha portato con se alcuni gatti, si è accucciata tra le braccia del padrone, diventandone la sua Regina, e attende, con la rassegnazione che si concede ai matti, le mie invasioni improvvise.
Jako, amico mio, sto arrivando.
E' un po' che non parliamo, io e te.

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