19 giugno 2009

Donne

Quelle di un minuto e quelle di sempre

Il profumo del suo sesso mi afferra le narici appena un passo prima del semaforo. Come ogni notte lei staziona lì o qualche metro più avanti, nell'attesa che qualcuno paghi il suo amore. Il vestito nero che le fascia i fianchi, se ce ne fosse bisogno, evidenzia il chiarore delle lunghe gambe e i capelli biondi che scendono sulle spalle scoperte. L'ho notata almeno cinquanta metri fa. Se distolgo lo sguardo dai suoi occhi, faccio la figura dello stupido; ma fissandola mi bucherà con quell'imbarazzante domanda, pronunciata con tono burocrate e resa vera solo dall'accento della sua terra slava. In tutta risposta le offro un sorriso finto e un patetico “No, grazie”, nemmeno mi avesse proposto di comprare l'ultimo numero di Lotta Comunista.
Anche se spergiuro che non pagherei mai per il corpo di una donna, al corpo di questa donna non sono indifferente. Ma è già l'una passata da un pezzo, la mia morale e la mia dignità hanno solo voglia di fare le scale in fretta e buttarsi sul letto senza slacciare le scarpe. Infilo la chiave nella toppa.
Cazzo. Si, si può essere così scemi.
Per non portarmi dietro tutto il mazzo, avevo tolto solo le chiavi necessarie e le avevo cacciate in tasca. Peccato che ora ne manchi una, l'unica davvero importante, e che io sia sul pianerottolo, a fissare la porta di casa mia. Per questa notte rimarrà sbarrata.
Rifaccio al contrario la strada dedicata a Madama Cristina. Questa volta, però, cambio prospettiva e decido di percorrere il marciapiede opposto.
È davanti a me, piantata nel bel mezzo del marciapiede, impossibile evitarla. Sembra che stia facendo una danza, ondeggiando lentamente il fondo schiena davanti alla vetrina di un negozio. Non so come faccia, in una serata tanto afosa, a coprirsi dalla testa ai piedi con un cappotto in maglina scura come la sua pelle nera. Si risveglia quando le passo a fianco e sobbalza. Sorrido e le chiedo scusa per averla spaventata. Sgrana gli occhi e mi dice: “no, normale”. Poi borbotta allegra altre cose che non riesco a capire. Ma non ho voglia di fermarmi, ho solo voglia di raggiungere il mio rifugio notturno.
Mezz'ora prima ci eravamo salutati sotto casa sua. La serata era scivolata via davanti al Po dei Murazzi meno ruffiani, l'avevo ascoltata con un certo orgoglio nascosto per bene, mentre mi raccontava contenta e stanca la presentazione del ricorso dei magistrati onorari alla Corte di Giustizia europea. Il “suo” ricorso. Adesso Paoletta mi apre la porta con lo sguardo già assonnato e tenero di chi non prova nemmeno a domandarsi come faccio ad essere così stupido, tanto sa che non otterrebbe soddisfazione.
“Stavo per spegnere il telefono, Denis, mi hai trovata per un pelo”.
“Sarei venuto lo stesso e avrei suonato il citofono”.
Non è vero, non lo avrei mai fatto. Mentre componevo il numero del suo cellulare stavo già pensando che sarei andato a bere qualcosa fino al mattino e che poi avrei cercato una panchina per tirar almeno le 7.
Mi accascio sul futon che ha preparato per me, con lo stessa affettuosa cura che mi regalava a Roma, quando al mattino entrava piano nella stanza dove mi ospitava ogni settimana e appoggiava la tazzina sul tavolino vicino al mio letto. La sentivo appena e mi svegliavo con il profumo del caffè caldo.
Spengo l'allarme del telefono alla prima nota e cerco di non fare troppo casino in bagno, ma sono costretto comunque a svegliare Paoletta, perché la porta, uscendo, non si chiuderebbe da sola alle mie spalle. Amica mia, anche quando ti ho detto stronza mi hai lasciato aperta la tua porta.
Mentre mi trascino per l'ennesima volta sulla via di casa, in mezzo al traffico di chi corre al lavoro, mi chiedo quante volte avrò preso in giro mia mamma, dicendole che, ormai, sta diventando una di quelle vecchiette senza memoria. Questa mattina è arrivato il momento solenne della sua clamorosa rivincita, e suona quasi come la sua vittoria definitiva. La chiamo e dopo mezz'ora viene a salvarmi, portando con se le chiavi di riserva.
Sulla strada per Pinerolo, chiamo di nuovo mia madre, con una scusa qualunque, solo per sentirla.
E faccio l'unica cosa che voglio davvero fare: le dico grazie.

When I was sick as a little kid
To keep me happy there's no limit to the things you did

And all my childhood memories

Are full of all the sweet things you did for me

(You are appreciated...)

[technorati tag: , , , ]

18 giugno 2009

Divieto di sosta

Quando testa e fisico non si parlano

Certo, stamane la sveglia alle 7.30 è stata un po' pesante. Per carità, mica mi lamento, c'è gente che vuole alzarsi alle 6 per vedere le prime ore del giorno e chi deve svegliarsi alle 4 per andare a lavorare lontano che più lontano puoi solo partire il giorno prima. Al confronto alle 7.30 io avrei già perso metà mattina. Però la birra media a cena e le altre due a chiaccherare, la passeggiata di un'ora con le gambe molli e pesantissime, il crollo sul letto che erano già le tre passate. E poi la giornata trascorsa praticamente in macchina, per fare trecentotrenta banalissimi chilometri. E poi la riunione che ha rispettato in pieno il suo copione ed è sforata di quell'ora abbondante. Si un po' mi sento stanco, però sento che dovrebbe essere così ma non lo è davvero, no, non mi sento stanco. Anzi, forse sono anche un po' su di giri, e ho anche deciso che dopo cena esco e raggiungo degli amici a ballare. Ma si, la settimana non è finita, però le energie di ci sono, tanto vale che...
Ehi, ehi, ehi! Mi hanno fregato lo zerbino! No, dico, ma si può?! Sono venuti davanti alla mia porta di casa e si sono fregati il mio zerbino.
Aspetta. Ma io non abito al terzo piano.
Forse è meglio che scenda.

Blinded by the light,
revved up like a deuce,
another runner in the night



[Ma ci sarà mai su Technorati un tag sul ? No, eh?]

13 giugno 2009

Oggi è un altro giorno

Perchè dopo la cena c'è il dopocena

Copione rispettato nei minimi dettagli, fino all'ultimo istante sul pianerottolo.
Ciao ciao ciao a presto grazie alla prossima divertitevi ciao ciao ciao notte.
Sono felice per la serata, credo l'abbiano capito. C'ho provato a farlo capire, con tutti i mezzi possibili, ma proprio tutti, e almeno uno potevo pure evitarlo.
Mi sincero che l'abbiano capito. Come facevamo senza sms?
La finestra è ancora spalancata, sento sferragliare il tram. Come da copione, mi sono addormentato ancora vestito, ho fatto in tempo solo a togliere gli occhiali e a liberare il telefonino dalla stretta della mia mano prolissa. Poi sono crollato e l'abuso di vino bianco mi ha fatto vedere stanze immense piene di grandi divani e donne in preda ai dolori del ciclo mestruale consolate dai loro premurosi compagni.
Mi levo i pantaloni, un po' di dentifricio tra i denti e mi butto sotto il lenzuolo.
Secondo risveglio, ma questa volta senza le scorie oniriche della fase rem.
Sperando che la notte abbia portato qualche novità, guardo i resti sul tavolo. Zero.
No, non sarebbe dignitoso.
Devo aver già lasciato un solco tra il tinello e la camera da letto, passando per l'ingresso.
Non bastano le mie mani e forse nemmeno le mani di un'altra dozzina di persone per contare quante volte ho camminato avanti e indietro. Vediamo se per wikipedia è autismo.
Non sarebbe affatto dignitoso, però potrei alzare il volume della musica. Sono pronto anche a litigare con i vicini, se serve.

We're gonna Stomp
All night
In the neighbourhood
Don't it feel all right
Gonna stomp
All night
Wanna party
'Til the morning light

Avanti e indietro, avanti e indietro, calpestando questo pavimento impotente.
Mi avvicino al cucinino e scosto piano piano la tenda.
Perché mai di qua le cose dovrebbero essere diverse? Infatti non lo sono.
Resti di cibo, pentole incrostate, piatti impilati, bicchieri di tutte le forme, tazzine segnate da fondi di caffè, coltellacci, mezzelune.
No, non sarebbe dignitoso.
Ma io ora ho solo voglia di piangere.

[technorati tag: ]

11 giugno 2009

Notturno

Ratatouille sonora

Mica è stata così sempre alla moda, oh no. Negli anni '80, quelli della Milano da bere, Torino era al massimo la Capitale della Marcia dei Quarantamila, quando non la città fabbrica che andava declinando senza speranze per il futuro. Non c'era la coda per Torino.
Dopo Bob Marley nell'80 e i Rolling Stones nell'82 dei Mondiali spagnoli, allo Stadio Comunale non ci veniva più nessuno. Rod Stewart diede buca, se non erro ad un concerto per raccogliere fondi contro l'aids. Gli Eurythmics, invece, avevano riportato un po' di sano entusiasmo e la convinzione che pure dalle nostre parti si potesse sentire musica dal vivo in uno Stadio. All'epoca m'accontentavo di poco, non ero ancora così affettatamente snob da frequentare solo piccoli locali alternativi di periferia.
Bob Marley. Nell'80 ero troppo piccino per andare al Comunale, appena 11 anni. Mia sorella non lo ricorda, ma appena chiesi a mia madre d'andare a vederlo, con alcuni ragazzi più grandi che bazzicavano l'oratorio, lei la dissuase e la ammonì sul fatto che a quel concerto la gente avrebbe fumato di tutto, per cui non era il caso di mandarci un bambino. Forse aveva ragione mia sorella. Ma in tutta la mia vita non ho mai messo in bocca una sigaretta che sia una...
Rolling Stones. Non lo so perché non andai a vedere una delle due date torinesi. Mick Jagger con la maglia di Pablito e Carlo Massarini che sulla prima pagina della Stampa Sera lo descriveva come "la più grande puttana da palco". Ricordo che ero a letto, con le finestre spalancate, e le note di "Start me up" rimbombarono nella mia stanza.
Eurythmics. Una giornata di sole del 1986 (ringrazio chi ha più memoria di me) e Sex Crime che dal vivo era un'esplosione.
Non ho sonno questa notte. Radio Capital, nemmeno a farlo apposta, mette in fila Rod Stewart, Eurythmics e Bob Marley. I miei dirimpettai sudamericani hanno portato le loro voci a dormire e ora sento solo la musica.
Mi sono cullato per un'ora pulendo melanzane, peperoni, zucchine e patate e adesso aspetto che affoghino per bene nell'olio di cottura. Meno male che invito gente a cena una volta all'anno, perché tre giorni di preparativi non mi bastano.
Maledetto Rod Stewart. Ma poi perché non sei venuto?

I didn't know what day it was
when you walked into the room
I said hello unnoticed
You said goodbye too soon

[You're in my heart]

[technorati tag: , , , , , ]

Ad un'amica che non c'è più



Avrei dovuto capirlo, forse era un segnale.
Appena uscito dal cinema, mentre tornavo verso la macchina, il telefono mi era sfuggito dalle mani. Uno schianto forte, non so come abbia fatto a non finire in pezzi. Avevo provato a riaccenderlo ma non c'è stato niente da fare: il monitor era andato, il telefono inutilizzabile.
Non era gran cosa, ma mi era costato una cifra, forse per via delle sue ridotte dimensioni.
Da qualche tempo mi chiedevo per quale strana ragione non si fosse ancora rotto. In genere, ho un pessimo rapporto con i cellulari, non mi durano quasi mai più di un paio d'anni. Questo aveva già sfondato ogni record.
Lo conoscevo a memoria, scrivevo i messaggi praticamente ad occhi chiusi, anche se il suo t9, quella geniale invenzione del completamento automatico delle parole, era assai deludente. Niente a che vedere col telefono attuale. Mi tiene compagnia da un mese e il suo t9 ha un vocabolario ricchissimo. Conosce i nomi delle città più disparate e si lascia addomesticare facilmente, consentendo l'inserimento di sempre nuovi vocaboli. Ha una discreta memoria, poiché si rammenta di tutte le ultime parole digitate.
Immagino che dove sei tu ora ci sia sempre la neve e immagino che tu possa sempre sciare, anche in piena estate.
Non lo so se nel posto dove tu sei adesso usiate il cellulare e, tantomeno, il magico t9.
Ma ieri, mentre stavo scrivendo "momenti", il t9 ha fatto tutto da solo e ha scritto "Mondovì".
Sono sicuro che lo avresti apprezzato, Silvia.
Lo sapevo che quella notte stava iniziando a succedere qualcosa ma non avevo voglia di pensarci. Il vecchio cellulare era volato via dalle mie mani e io non potevo più usarlo. Cazzo, lo sapevo che era un segnale.
Avevo conservato l'ultimo messaggio che mi avevi mandato, tanti mesi fa.
Dicevi: "Ti prometto che se guarirò mi innamorerò di te".
Di tanto in tanto andavo a rileggerlo e sorridevo a quel tuo scherzo, tenendomi dentro le lacrime.
Va bene una bugia innocente.
Ma perché due.
Perché...