31 maggio 2015

Fa così tanto New York [ NYC #48 ]

Il Sole tra i grattacieli? Meglio il tramonto nel Queens


Manhattanhenge! L'ho dimenticato anche questa volta? No, non è un'imprecazione. È il nome di quel fenomeno per il quale, due giorni all'anno, il sole durante il tramonto è esattamente allineato con le strade che a Manhattan vanno da est a ovest. Se ti metti al centro della 14th o della 42nd Street, per esempio, vedrai il sole calare all'orizzonte esattamente in mezzo ai grattacieli. E pare che tu possa vederlo nonostante la folla di turisti e newyorchesi che da anni si accalca sempre più numerosa lungo le strade, brandendo soprattutto telefonini per arrivare prima di tutti gli altri con una foto su Instagram e Twitter. Il nome Manhattanhenge è stato coniato nel 2002 da Neil deGrasse Tyson, astrofisico e divulgatore scientifico reso famoso dalla TV pubblica americana. Il riferimento è allo Stonehenge inglese e al suo asse rivolto al Sole durante il solstizio d'estate. Sabato 30 maggio e domenica 12 luglio sono i due giorni da segnare sul calendario per il Manhattanhenge 2015. Il primo giorno l'ho già perso, e non solo per colpa del cielo parzialmente coperto. Perché se è vero che ho deciso che prima o poi devo farla pure io 'st'sperienza tutta newyorchese, è altrettanto vero che per il mio ultimo sabato di maggio avevo già preso anche un'altra decisione: all'ora del tramonto sarei stato da tutt'altra parte, a Sunnyside. E aspettando la metropolitana che mi avrebbe riportato a casa, guardavo all'orizzonte le nuvole arrivare proprio sul cielo di Manhattan, per il dramma di migliaia di macchine fotografiche.


Se noleggi un'automobile in città, a meno che non utilizzi un servizio di car-sharing, pagherai una tariffa decisamente più cara di quella che puoi ottenere se vai a recuperare l'auto in uno dei tre aeroporti dell'area metropolitana. Detto, fatto. La nostra scelta era caduta su La Guardia, quello che il vice-presidente Biden ha definito uno scalo da città del terzo mondo, non curante del fatto che quell'etichetta fosse già finita nella tomba con il maresciallo Tito e che, al massimo, si sarebbe offeso qualche permaloso Paese in cerca di visibilità. Certo non ci si sarebbe offesi qui a New York, perché ben altri sono gli indizi dell'immanente e perpetua decadenza cittadina; e, comunque, sono un segno di vanto nei confronti del resto del mondo. Chessò, voi a Londra come anche a Roma e persino a Torino (a Torino!) avete biglietti della metropolitana che è sufficiente avvicinare ad un sensore perché le porte si aprano? Ignavi. Noi a New York abbiamo una scheda che devi strisciare dentro le labbra del sensore e lo devi fare alla velocità giusta. Troppo lento o troppo veloce e il tuo tornello non si aprirà. Che vuol dire lento o veloce? E te si vede che non sei di New York, te. Get the f*** outta here.

Arrivare a La Guardia per noleggiare l'auto della nostra breve vacanza era già stato un viaggio in se e per se, che avevamo pure spezzato con pranzo in un tradizionale diner americano ma con prevalenza di piatti greci, perché eravamo pur sempre ad Astoria, enclave greca per eccellenza in tutta la città e non solo nel Queens. Dalle vetrine del ristorante, poi, era pure possibile vedere dei ragazzi giocare ad hockey sul cemento di un giardino pubblico, cosa non così frequente nemmeno qui e nemmeno in stagione di playoff per le glorie locali, i Rangers. Avevamo deciso di noleggiare da Payless, perché le tariffe erano davvero basse. Dove stava la fregatura? Nella mail di conferma non c'era scritto che, in quanto abitante dello Stato di New York, avrei dovuto portare con me almeno una bolletta o un estratto conto che certificasse la mia residenza in città. E l'auto era a mio nome, quindi nemmeno la patente della Ragazza Dai Capelli Rossi ci avrebbe tirati fuori dalla melma. Come non bastasse il Piccoletto stava pure male, causa allergia. E nonostante l'impiegato solitario (capito perché Payless?) cercasse di aiutarmi, davanti a me passavano sistematicamente tutti quelli che avevano una macchina prenotata o erano a fine viaggio. Ciliegia sulla torta? Quando sembrava che attraverso un cosiddetto "credit check" sulla mia carta di credito avremmo avuto il via libera, non vado a dimenticarmi il numero della social security? S**t!! Mi creda, Vice Presidente, lei non ha la benché minima idea, non ha. Comunque, la soluzione stava nell'ufficio della porta accanto, dove quelli di Budget, in meno di un quarto d'ora ci consegnavano auto e chiavi, senza necessità di prenotazione.


Rientrati il venerdì sera dalla regione dei Finger Lakes, sabato 30 maggio era il giorno della riconsegna della macchina, entro le 16:59 del pomeriggio (orario che già comprendeva 29 minuti ventinove di possibile ritardo). Alle tre e venti stavo ancora nel mezzo della mia pennica, quando la Ragazza Dai Capelli Rossi mi ha fatto gentilmente notare che forse avrei dovuto darmi una mossa. Il tempo di lavarmi la faccia e decidere la strada da prendere. Non avrebbe dovuto esserci dubbio alcuno, perché la Brooklyn-Queens Expressway ti porta fino all'aeroporto di La Guardia. Ma uno sguardo alla mappa su Google segnalava la bellezza di due incidenti e traffico bloccato. Fidarsi di Google? Mmmm... Spesso toppa che è 'na meraviglia o, comunque, amplifica le tue paure quando vedi interi tratti rossi e non pensi che il traffico è solo rallentato. Dice che in tre quarti d'ora sono a destinazione ma io non ci credo. E, quando ancora devo imboccare l'autostrada, decido di andare dritto verso nord e passare da Williamsburg. Che dice adesso Google? Cosa??! Un'ora e mezzaaa...? Ma po**a pu****a di quella maremma maaa!!! Respira profondo, peggio di così non può andare. Ora, senza pensarci, svolta a sinistra e... autostrada. Vedi, lo sapevo, mai fidarsi di Google: si viaggia. Un po' a passo lento, certo, almeno fino al ponte Kosciuscko, dove il Newton Creek separa con liquami e tossine Brooklyn dal Queens. Ma a New York non puoi pensare che il sabato pomeriggio un'autostrada sia libera per te. E già chiamarla autostrada è una di quelle dichiarazioni d'amore di chi questa città la abita. La stessa dichiarazione d'amore per corsie strette, asfalto sconnesso e sobbalzi che puoi condividere con il Franklin Delano Roosevelt Drive che corre lungo l'East River a Manhattan o la Belt Parkway, soprattutto in quel tratto che da Coney Island va a JFK. Se c'è qualche turista italiano con la fregola di guidare quaggiù, mi scriva e posso dare tutte le dritte necessarie. Sono quasi in grado di riconoscere anche quando un tassista è alle prime armi.


Arrivo nella zona di La Guardia alle quattro e un quarto, come previsto. Peccato che mi distraggo e sbaglio uscita. Così sono costretto a ritornare in autostrada e poi a uscire di nuovo e poi sono dentro all'aeroporto e vanno tutti piano perché non vogliono ammazzare pedoni e se ne fottono se io mi innervosisco e poi tento di uscire ma non c'è l'indicazione per Budget perché è fuori dall'aeroporto e perdo l'uscita e non faccio in tempo a chiedere a Google e quando vedo la mappa, eccola, la 23rd Avenue e mi basta tirare dritto alla rotonda per arrivare fino alla 89th Street e vedo pure l'insegna di Budget e cerco di entrare ma vedo che a terra c'è una specie di pista chiodata e mi spavento e po**a di quella Marianna pu****a (scusate, Marianne) posso mica bucare adesso, dove c***o è l'entrata e allora giro a sinistra e poi la strada è a senso unico e devo tirare dritto e al semaforo svolto di nuovo a sinistra e poi subito dopo non posso girare a sinistra perché c'è il cordolo e devo andare avanti per altri due isolati e poi riesco finalmente a fare una svolta ad U e poi dritto e girare finalmente a destra sulla 89th Street e accelerare e... NOOO... Aspetta un po'... Bellissimo. Meraviglia. C'è un piccolo tempio indiano e stanno celebrando un matrimonio, vedo gli ospiti sparsi tra la strada e il marciapiede, mentre rallento per non trasformare la festa in un funerale. Supero il tempio e pigio il piede sull'acceleratore, perché voglio sbrigarmi e tornare al matrimonio. Maledizione! Da qualche parte lungo 'sta cancellata ci sarà pure l'ingresso. Ritorno sulla 23rd Avenue e punto dritto su quella specie di pista chiodata che mi sbarra la strada. Freno, mi fermo, scendo dalla macchina e finalmente vedo un impiegato che forse stava già sbracciandosi prima che io circumnavigassi tutta l'area: posso passare, si, proprio su quelli che a me sembrano chiodi. Cretino che non sono altro. Certo che sono chiodi! Ma basta vedere come sono inclinati per capire che si abbassano quando ci passi sopra con le ruote, ma se sei dentro ti impediscono di uscire, a meno di volerle bucare per davvero, quelle ruote.




Ormai ho la testa al matrimonio indiano. L'impiegato è veloce e io in pochi minuti rifaccio a piedi la strada che mi porta davanti al tempio. Adesso ci sono alcune macchine parcheggiate in doppia fila e, se non ho capito male, gli sposi hanno già finito. Mi torna in mente una festa di matrimonio a Lisbona e ancora rimpiango che io e miei due compagni di Inter-Rail dell'epoca non ci fossimo fatti avanti, almeno per un bicchiere di vino. Qui oggi c'è solo la cerimonia. Dopo aver chiesto se posso fare un paio di scatti, scambio alcune parole con una signora tra gli invitati. Nel cortile adiacente il tempio ci sono alcuni musicisti con dei tamburi. Sento il suono alle mie spalle, quando ormai ho preso la discesa che va in direzione della mia fermata. Fa caldo, si sente l'umidità e io ringrazio l'aria condizionata dell'autobus. Quando arriviamo all'incrocio tra la 82nd Street e Roosevelt Avenue decido che devo scendere almeno qualche isolato prima della fermata della metro. Sono nella zona di Jackson Heights, dove c'è la più grande comunità indiana di tutta New York. I turisti che arrivano in città, se vogliono annusare un minimo di atmosfera indiana (comunque non paragonabile a quella che scoprono a Londra), vanno a "Curry Hill", nomignolo affibbiato a parte del quartiere di Murray Hill a Manhattan. Li trovano almeno una ventina di ristoranti e negozi vari gestiti da indiani. Ma se vogliono davvero vivere l'esperienza della numerosa comunità indiana, è nel Queens che devono venire, dove si trova anche il più grande e importante tempio indù della città. A Jackson Heights la comunità asiatica è folta e non si limita ai soli indiani. Qui, nel raggio di cento metri si possono trovare alcuni tra i principali ristoranti tibetani, uno dei quali, ospitato al primo piano di una casa, è il nostro preferito e facciamo un'ora di metropolitana per venire a mangiare quaggiù. La scorsa domenica ci siamo imbattuti per puro caso in una fiera dedicata ai prodotti del Bangladesh, dall'abbigliamento femminile ai libri. Credo fossimo l'unica famiglia non-bengalese presente nella scuola che ospitava questa festa per gli immigrati. Un giovane giornalista della comunità si è avvicinato a noi mentre vedeva che stavamo cercando un libro anglo-bengalese per il Piccoletto. Siamo stati anche intervistati e davanti alla telecamera mi sono lanciato a raccontare che venivo da Torino, la città che ospita il più importante Salone del Libro italiano. Credo che il nostro intervistatore fosse felicissimo. Un po' meno felice la poliziotta a guardia della scuola. Però dobbiamo averle fatto simpatia, perché prima di andar via ci ha fatto dono di quella che doveva essere la confezione-regalo a lei destinata, un mix di prodotti alimentari e bevande bengalesi, tra cui biscotti e snack piccanti vari. E se anche non le stavamo simpatici, ha capito che eravamo comunque le persone giuste per riciclare il pacco.


Ho tutto questo e molto di più nella mia mente quando in questo ultimo sabato di maggio decido che voglio continuare a passeggiare per un po' lungo Roosevelt Avenue invece di prendere la metro e tornare subito a casa. Faccio una telefonata e verifico che il Piccoletto e la Ragazza Dai Capelli Rossi possano resistere un tardo pomeriggio senza il sottoscritto. Entrambi stanchi, la mia assenza pare non influenzare il loro programma di riposo intensivo.


Non è un caso se il Queens si autodefinisce, anche nei cartelli stradali, il "World's Borough". È risaputo che New York è la città che ospita milioni di persone provenienti da tutto il Mondo. Pare che almeno la metà degli abitanti parli anche un'altra lingua oltre l'inglese. Manhattan è l'isola dove tutto questo è iniziato ed ancora ospita comunità di diversi Paesi. Brooklyn, con il doppio degli abitanti di Manhattan è nota per molti suoi quartieri che sono vere e proprie enclave etniche, come quelle dei russi a Sheepshead Bay e Brighton Beach o dei messicani a Sunset Park. I portoricani sono di casa nel Bronx, insieme ad altre comunità da diversi Paesi africani. Ma se vuoi capire davvero cosa sia la diversità a New York, se vuoi letteralmente respirare l'aria del Mondo, il Queens è la destinazione. Tra i cinque Borough che compongono la città è quello che ospita il maggior numero di nazionalità. La metropolitana numero 7, che corre lungo tutto Roosevelt Avenue, è proprio conosciuta come una specie di treno che ti porta in giro per il Mondo. Sono pochissimi, se non quasi inesistenti, i turisti che si avventurano qui. E fanno male. Perché se a Manhattan l'architettura e l'impressionante offerta culturale, soprattutto quella tradizionale da World Class City, sono il principale motivo di attrazione e non possono mancare nell'agenda del turista che arriva per la prima volta in città; se Brooklyn è dove bisogna andare a cercare le nuove mode, tendenze musicali e arte fuori dai circuiti, da Bushwick a Gowanus passando per l'arcinota Williamsburg (la cui manhattanizzazione è già in atto e l'apertura dell'Apple Store chiuderà per sempre la sua recente vita bohemienne dopo quella di quartiere portuale per italoamericani); è però il Queens quello che rende New York diversa da tante altre città. E se anche il Queens un giorno soffrirà la stessa gentrificazione che sta rendendo economicamente impossibile la vita in molti quartieri di Brooklyn, quel giorno sarà davvero uno dei più tristi per la città. Già a Manhattan il lamento è continuo per la chiusura di piccoli negozi, come nel Village, e di tutto quello che da decenni costituiva l'anima di questa parte della città, che sempre più sta diventando simile ai tanti "mall" presenti nei ricchi sobborghi di qualunque grande città americana; già a Brooklyn molti proprietari preferiscono non affittare i loro negozi, confidando nell'arrivo di ricche catene commerciali o di ristoratori con soldi da perdere, e ci sono segni che la crisi abitativa potrebbe arrivare a lambire anche fasce benestanti della popolazione, con ulteriore pressione sugli affitti che tutti noi proviamo a pagare; se anche il Queens, ultimo baluardo per le famiglie con stipendi normali, come quelli di tanti immigrati che da decenni si sono stabiliti qui, finisse per diventare l'ennesima copia di Manhattan e Brooklyn, la città rischierebbe sul serio di perdere la sua caratteristica più importante e quella che l'ha fatta crescere per due secoli: essere una casa per gli immigrati di tutto il Mondo, qualunque fosse la loro fede.


Basta mezz'ora lungo Roosevelt Avenue per sentire i profumi più disparati, per trovare fianco a fianco ristoranti colombiani, chiese coreane, banche filippine o il consolato ecuadoregno. Il passaggio della metropolitana numero 7 lungo la sopraelevata ferrata, giusto sulla testa di chi cammina per strada, è praticamente costante, un sferragliare continuo. Se hai un udito troppo sensibile, qui c'è la probabilita che tu possa tranquillamente perderlo. Mi fermo a prendere un caffè in uno dei bar della timida ondata di gentrificazione che sembra stia arrivando a Woodside, quartiere a ridosso di Jackson Heights. Proseguendo ad ovest giungo finalmente a Sunnyside, dove già in partenza avevo deciso che sarei voluto arrivare, una volta sceso dall'autobus. Sunnyside è molto pubblicizzata, soprattutto da chi ha interessi nel mercato immobiliare, anche perché si trova a poche fermate da Grand Central Terminal e da Times Square. Nonostante i prezzi degli affitti nel quartiere siano in continua ascesa, è comunque una zona perfetta per chi fa il pendolare a Midtown. Sunnyside ospita molte attività commerciali e tante di queste sono gestite da famiglie di immigrati. Ma basta arrivare qui a piedi dal caos contagioso di Jackson Heights, dai suoi marciapiedi affollati di gente che passeggia o lavora, per capire che questa è una versione più edulcorata, meno intensa per il naso e comoda per essere venduta a giovani professionisti con famiglia e alla ricerca di una vita senza troppi scossoni.

Salgo le scale che mi conducono alla stazione della metropolitana. Lascio passare il primo treno, perché tanto so che il prossimo è questione di minuti. In quel momento non mi ricordo ancora del Manhattanhenge, del tramonto e di tutto il resto. Vedo solo che all'orizzonte le nuvole stanno iniziando a coprire Manhattan. Mentre a Sunnyside, beh, a Sunnyside c'è ancora il sole.








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