09 agosto 2014

Direzione Washington D.C. [ NYC #36 ]

Ho provato a fare meno rumore possibile e a darle un bacio quando ancora era a letto. Ma la Ragazza Dai Capelli Rossi ha voluto comunque salutarmi sulla porta di casa prima che partissi.
Alle 6 del mattino davanti alla stazione della metropolitana c'è già una montagna di carta, bottiglie di plastica e rifiuti vari. Non perché la Chinatown di Brooklyn sia già iperattiva alle 6 del sabato mattina. No, semplicemente perché nessuno è passato a raccogliere la spazzatura ed assai difficile che lo farà durante il resto della giornata. Se pensi di vedere questa scena solo quando sei lontano dalla New York immaginaria che ogni film o video musicale ti propina, sei fuori strada. Attorno a Herald Square, quaranta minuti più tardi, il panorama igienico non è poi così diverso. Solo che il turista punta beato sempre il naso all'insù, anche a quest'ora, perché a ragione vuole godersi tutte le punte dei grattacieli. Se abbassasse un po' la testa potrebbe contare gli scarafaggi sui marciapiedi prima che la folla li nasconda. Get outta the way.
Il turista a New York può essere mattiniero, perché non vuole perdere un solo minuto della sua esperienza in città. Oppure può essere semplicemente un turista europeo appena arrivato, il cui jet-lag lo costringe a mettersi in marcia già all'alba perché il suo fisico pensa che qui sia mezzogiorno. Io faccio parte della terza categoria. Oggi sono costretto ad essere mattiniero e non soffro alcun fuso orario. Ho solo un autobus che parte alle 7.30 da Midtown e non posso perderlo. Prima che Antonio si trasferisca per sempre da Torino a Berlino (perché io scommetto che sarà così), vado a trovarlo a Washington D.C., dove sta per finire il suo lavoro di tre mesi alla biblioteca shakespeariana. La levata antelucana oggi non mi pesa.
Puntando la sveglia alle 5.20 so già che arriverò all'autobus in largo anticipo pur muovendomi da Brooklyn. Ma durante il weekend affidarsi alla regolarità della metropolitana non è consigliabile, perché è il momento in cui si concentrano tutti i cantieri che nei giorni lavorativi tradizionali bloccherebbero milioni di pendolari. Per risparmiare sul viaggio verso la Capitale prenderò uno dei cosiddetti Chinatown Bus, la cui economicità in passato ha fatto dubitare della loro sicurezza, per usare un eufemismo di fronte alla mezza dozzina di incidenti mortali che ne hanno fatto la storia. Adesso pare che siano migliorati e che gli autisti abbiano anche il privilegio di potersi riposare tra un viaggio e l'altro. Certo questi autobus hanno il wi-fi a bordo, che ormai è fondamentale quanto l'aria condizionata e ben più importante dello spazio per allungare le gambe.
Mentre aspetto l'autobus, che a quest'ora immagino stia risalendo da Canal Street per arrivare fino al Madison Square Garden, faccio ancora una passeggiata e cerco un caffè aperto. Sono il primo cliente. Bicchiere grande, non si discute. Guardo l'orologio e prima di tornare indietro faccio ancora il tratto che mi separa da Times Square. Quando è semi deserta credo sia uno dei pochi momenti in cui si faccia disprezzare meno con i suoi famosi e giganteschi cartelloni pubblicitari illuminati 24 ore su 24. Ci arrivo a passo lento, buttando lo sguardo al marciapiede. Non per contare gli scarafaggi, ma per provare a leggere le targhe metalliche che coprono la 7th Avenue nel Garment District. Se cerchi il distretto della moda più alla moda devi andare a SoHo, non vieni certo qui. Ma se hai in mente la sobrietà di alcune strade parigine o la noia elegante del quadrilatero milanese, fatichi a capire perché questo posto sia ancora chiamato Fashion Avenue, se non forse per onorare la memoria di quanti hanno lavorato e ci hanno anche lasciato la vita nelle fabbriche che qui attorno facevano vestiti prima del declino industriale. Se solo riuscissi a vedere uno scarafaggio camminare sulla targa dedicata a Calvin Klein, la cartolina sarebbe perfetta.
Partiamo puntuali e dopo appena qualche minuto il telefono mi avverte che anche il Piccoletto si è svegliato. Vuole sentire la mia voce e io gli ho promesso che più tardi proverò a videochiamare, cosa impensabile per un padre di vent'anni fa. Tanto mi immergo nel ruolo di padre contemporaneo che, sapendo di farlo felice, lascio alla mamma i link ad alcune canzoni che gli piacciono di sicuro e lo fanno ballare, e ad altre che credo potrebbero piacergli in mia assenza, dai Beastie Boys di "An open letter to NYC" agli House of Pain di "Jump Around". Ho voluto pure mettere Tupac Shakur, per la sua "Dear Mama".
Quando l'autobus lascia Manhattan e sbuca dal tunnel, il New Jersey mi sembra così familiare anche se noi ci mettiamo piede raramente. Paesaggio che riconosco da sempre, gli scheletri delle fabbriche abbandonate e i vetri rotti. Una coppia di turisti giapponesi cerca di fotografare la Statua della Libertà, che da qui ci da le spalle. Io vorrei fotografare alcuni condomini che sono un misto tra le Vele di Napoli e i casermoni da comunismo reale che trovi ancora a Berlino Est.
La mia vicina dorme e conquistare il bracciolo non mi sarà facile. La ragazza seduta alla mia destra, invece, è intenta a farsi i riccioli ai capelli con dei bastoncini di gomma rossi e blu.
Passiamo lungo sesto Borough di New York, Philadelphia, dove la fermata è solo per andare in bagno e arriviamo puntuali pure a Baltimore, dove invece qualcuno finisce il suo viaggio.
"Pack it up, pack it in. Let me begin". Amico mio, sono per strada.

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