01 gennaio 2014

Bill De Blasio e la Tempesta [ NYC #23 ]

"I tuoi sindaci sono sempre alti", dico al piccoletto mentre insieme fissiamo il televisore sintonizzato sul canale locale della televisione pubblica. "Fassino è alto, e anche De Blasio non scherza". Pochi minuti dopo la mezzanotte del nuovo anno, Bill De Blasio ha giurato davanti alla sua modesta casa di Park Slope a Brooklyn, con la sua famiglia a fare da cornice. Sarà il 109esimo sindaco di New York. A mezzogiorno, davanti alla City Hall, il discorso di inaugurazione e secondo giuramento per le telecamere davanti all'ex Presidente Bill Clinton.
La giornata è stata introdotta da Harry Belafonte, che dal podio non ha perso tempo e, senza giri di parole, ha parlato di disparità razziali, della pratica dello "stop and frisk" che ha colpito soprattutto gli afroamericani e di un sistema di giustizia nazionale che sarebbe simile a quello raccontato di Charles Dickens.
Dickens sarà ricordato come l'involontario fornitore dello slogan che ha permesso a Bill De Blasio di sbaragliare i suoi concorrenti, prima alle primarie democratiche e poi nell'elezione di novembre. Il "racconto delle due città" ha fatto breccia nell'elettorato che ha deciso di andare a votare. Perché non dobbiamo dimenticare che in questa nazione si reca alle urne solo una minoranza della popolazione, quella che ancora non ha perso fiducia non tanto nei partiti politici quanto nella politica in senso lato.

Prima del sindaco, hanno giurato il controller Scott Stringer, ex presidente del distretto di Manhattan, con lo stesso immancabile cappotto nero e sorriso accogliente che gli avevo visto quando lo avevo salutato davanti al supermercato di Bensonhurst dove facevo volantinaggio elettorale; e Letitia James, nuova Public Advocate, avvocato ed attivista del Working Families Party. Insieme a De Blasio rappresenta lo spostamento dell'asse della città verso Brooklyn, la richiesta degli altri distretti cittadini di una politica meno centrata su Manhattan e quello che in un Paese poco avvezzo ai candidati di sinistra viene chiamato, non senza un tono che oscilla tra l'elitario sarcastico e l'infastidito o il dispregiativo, populismo, verso il quale il Partito Democratico deve orientarsi se non vuole perdere la Casa Bianca alle prossime elezioni. 
De Blasio, dopo aver giurato nelle mani di Bill Clinton, con il suo discorso ha ripercorso tutti i temi che hanno caratterizzato la sua campagna elettorale, dall'aumento delle tasse per i ricchi (finalizzato all'estensione delle scuole materne pubbliche per tutti i bambini della città) alla costruzione di case per i poveri, passando per le pratiche discriminatorie di fermo e perquisizione adottate dalla polizia e che sono state oggetto di critiche anche da parte della magistratura locale. De Blasio ha promesso che agirà da subito su questi temi. E già dalle prossime ore sarà sotto osservazione e difficilmente gli verra perdonato qualche errore. La prima sfida sarà l'imminente tempesta di neve che domani arriverà su New York. Sono attesi tra i dieci e i venti centimetri di neve e, come in Italia, i sindaci sono chiamati a  rispondere se la città si blocca e non riesce a fronteggiare l'evento. Mai dimenticare che fu anche a seguito della grande tempesta di neve del 1888 se questa città decise, senza più dubbi, di iniziare a rendere sotterranea l'allora metropolitana in sopraelevata. 
Ovviamente, la sfida maggiore per il nuovo sindaco, che non ha mancato il suo "grazie" per gli amici e familiari italiani presenti, sarà quella di rendere di nuovo New York davvero una città per tutti e non solo per i più ricchi. Le disparità economiche non sono una novità, e come ha ricordato Clinton, sono anche un freno alla crescita, un freno che colpisce tutti i Paesi del Mondo e non solo questa città. Ma in questa città è avvenuto qualcosa che forse non sarà nuovo ma richiederà attenzione da parte della politica. Considerare New York un laboratorio per la politica nazionale è un errore, che spesso fanno molti osservatori poco consapevoli della complessità che caratterizza la società americana e questo immenso Paese. Questa volta, però, la città ha mandato un segnale forte: non sono i ceti più poveri quelli che hanno determinato l'elezione di De Blasio, ma la classe media, anche quella benestante. De Blasio, in campagna elettorale, ha parlato di una città che si è progressivamente impoverita a dispetto delle statistiche e che in pochi decenni ha visto crescere le disuguaglianze sociali; ha parlato di quanti, pur avendo due lavori, a causa del basso salario fanno fatica a pagare un affitto e sono costretti a rivolgersi ai servizi sociali per ottenere i buoni pasto e alloggio di rifugi per i senzatetto. Ma le sue parole sono arrivate soprattutto all'orecchio di quella borghesia newyorchese che lavora nelle tante professioni, dalle più tradizionali nel settore finanziario a quelle dei settori più innovativi, e che ha visto diventare sempre più complicato vivere in una delle città più care del pianeta. È anche la classe media benestante quella che inizia a patire i costi per l'abitazione e la "gentrificazione" della città. Se nel tuo quartiere, al posto di un vecchio magazzino, costruiscono un condominio di lusso alto quaranta piani, i cui appartamenti vengono acquistati da fondi internazionali per la loro clientela mondiale, e tutt'attorno fioriscono negozi o supermercati che vendono prodotti si di qualità ma a prezzi esagerati, prima o poi anche la casa dove vivi tu diventerà inaccessibile al tuo portafoglio e dovrai cambiare quartiere. In questo modo, così come i nuovi ricchi e super-ricchi avranno spinto te fuori dal tuo quartiere d'origine, tu farai la stessa cosa con qualcuno che è più povero di te e trasformerai per sempre il suo quartiere. È la classe media, anche quella normale e non particolarmente benestante cui appartengono le famiglie come la nostra, che ha sentito forte e chiaro il messaggio di De Blasio, si è riconosciuta in quella descrizione e ha deciso di dargli credito.
La cosa forse più sorprendente non è però questa. Ciò che lascerà il segno, anche se non si potrà dire, è la ormai certificata incapacità dei media di cogliere gli umori dell'elettorato. È nato prima l'uovo o la gallina? La gente non segue più l'informazione perché non riesce ad identificarsi o i media non riescono più a parlare alle persone comuni e quindi nemmeno a condizionarle? Negli Stati Uniti i canali di informazione pura come la CNN o FoxNews o MSNBC hanno meno seguito di quel che tendiamo a credere. Nel cosiddetto primetime serale, per esempio, si parla di una media che oscilla dai 300mila spettatori per la CNN al milione e mezzo per la conservatrice FoxNews e al mezzo milione per il canale liberal MSNBC. Su un Paese di 315 milioni di abitanti queste cifre sono irrisorie, e non potrebbe essere diversamente. Per i telegiornali serali dei canali generalisti come ABC o CBS o NBC i numeri sono ovviamente più alti, tra i 6 milioni e mezzo e gli 8 milioni e 700mila spettatori. Se poi è vero che milioni di persone sono abbonate alla tv via cavo, l'offerta è talmente ampia e variegata, dallo sport ai film, che il frazionamento estremo dell'audience è inevitabile. E la competizione dei videogiochi non fa che peggiorare il quadro. Per la carta stampata, poi, le cose sono ancora più complicate. Il sito del  New York Times, per esempio, ha si 48 milioni di visitatori unici a livello mondiale, ma la diffusione dell'edizione cartacea a livello nazionale americano è di sole un milione e 600mila copie giornaliere (che sono comunque un gran numero vista la condizione pessima di altri quotidiani). Questi numeri, molto semplificati, possono però aiutare a capire in parte perché nessuno dei media cittadini newyorchesi avesse previsto la vittoria di Bill De Blasio. Se la tua audience è già scarsa di per se, forse tu non sei nemmeno in grado di ascoltare cosa pensa chi non ti segue. E se rimani ad osservare la città dal tuo ufficio a Manhattan, allora le probabilità di capire cosa stia avvenendo  nel Queens o a Brooklyn sono legate alla lettura del collega che lavora al magazine famoso, che si è spostato a Sunnyside per recensire un nuovo ristorante o Williamsburg per raccontare cosa bevono gli hipster al concerto della nuova rockstar che arriva da Portland. Tutti i media newyorchesi, dal Times al Post al Daily News avevano appoggiato apertamente, durante la campagna elettorale per le primarie democratiche, Cristine Quinn, la speaker del Consiglio comunale. La Quinn da mesi era praticamente data per vincente. Il New York Magazine, con un anno di anticipo, le aveva dedicato una copertina. Insomma, non era un semplice "endorsement", con il quale i giornali della città davano il loro suggerimento all'elettorato. No, era la convinzione di sapere cosa l'elettorato avrebbe davvero voluto, e cioè una continuità con l'azione politica di Michael Bloomberg.
L'elezione di De Blasio ha scombinato questo quadro e ha messo a nudo le debolezze della narrativa che ha circondato Bloomberg per anni, le stesse che hanno fatto perdere la Quinn rovinosamente. Per quel che ho osservato io direttamente, posso dire che almeno nell'ultimo anno, cioè da quando noi siamo venuti a vivere qui, a nessuno dei media cittadini, prima della campagna elettorale, veniva in mente di parlare di diseguaglianze economiche. Nell'ultimo mese, anche il Times si è svegliato e ha dedicato una serie di articoli al problema degli homeless. Sebbene quelli che vivano nelle stazioni della metropolitana o per strada siano solo poche migliaia, e in proporzione sono in numero inferiore rispetto ad altre grandi città americane, durante gli anni di Bloomberg il numero di quelli vivono nei rifugi è arrivato a 50mila, e più di 20mila sono bambini. Forse, se il Times ne avesse parlato prima, anche per Bloomberg e la sua protetta sarebbero stati dolori. Il che porta a pensare che magari i media newyorchesi, più che mostrare la loro semplice incapacità nel raccontare la città, hanno provato ad orientare il voto maliziosamente e hanno fallito in pieno. Cambiando fattori, e volendo pensare allo scenario più negativo per stato dell'informazione, il risultato non cambia comunque.
Ciò che ora sembra chiaro è che tutti proveranno a salire sul carro del vincitore. E non sarà solo banale opportunismo di circostanza, ma attento e freddo calcolo politico. Prima delle elezioni, i rapporti tra De Blasio e i Clinton, nonostante la sua esperienza nella campagna di Hillary, erano stati messi, da alcuni media come il Times, sotto una luce che aveva fortemente ridimensionato il suo ruolo e la loro amicizia. E i Clinton, nonostante un doveroso endorsement, non si erano dimostrati particolarmente caldi verso De Blasio. Ma gli ultimi mesi, con l'emergere di personaggi repubblicani in grado di parlare alla pancia dell'elettorato degli Stati in bilico (a partire dallo stesso governatore del vicino New Jersey, Chris Christie, e sempre che alcune vicende locali di presunta vendetta politica non ne minino le credenziali a livello nazionale), con le difficoltà legate alla partenza dell'Obamacare (amplificate dai media ben più del loro reale effetto) e al blocco della riforma sull'immigrazione, hanno probabilmente suggerito ai Clinton di non sottovalutare la richiesta che arriva dall'elettorato newyorchese. Perché le diseguaglianze economiche, i salari bassi, le case a costi proibitivi stanno minando la fiducia della classe media americana, che già deve combattere contro un'economia che, se non ai livelli anemici e preoccupanti dell'Europa, è pur sempre lontana dai livelli pre-recessione. Per molti economisti, questa situazione, con tanto di tasso di disoccupazione che non riesce a recuperare il terreno perduto, sarà la nuova normalità. Per non lasciare che l'elettorato finisca nelle mani del populismo dei repubblicani del Tea Party, i democratici devono apprestarsi a creare la loro piattaforma programmatica "populista". E l'elezione di Bill De Blasio fornisce giusto l'occasione per arrivare alle presidenziali del 2016 con dei risultati concreti nella lotta agli squilibri economici al livello che gli elettori sentono di più, cioè quello locale.
Forse la neve attesa nelle prossime ore bloccherà New York. Ma nei prossimi due anni qualcuno, sorprendentemente, potrebbe anche decidere di aiutare il nuovo sindaco o quanto meno di non ostacolarlo così tanto (come qualcuno pensa farà il governatore Cuomo con la richiesta di alzare le tasse). Perché se De Blasio fallisce qui, il suo tonfo risuonerebbe fino a Washintgon e il dopo-Obama dei Democratici sarebbe nero. Con buona pace delle ambizioni di Hillary Clinton.
De Blasio aveva iniziato la sua lunghissima campagna elettorale proprio qui a Bay Ridge, dove anche senza segni di "gentrificazione" il quartiere è diviso in due: da una parte le case dei ricchissimi, dall'altra quelle di noi comuni mortali. Il discorso del sindaco finisce e parte "Good Times", degli Chic. A Torino non credo che Fassino avrebbe potuto fare la stessa cosa. Guardo il piccoletto e penso al suo futuro. Come dice il suo nuovo sindaco: "non importa quale sia la tua storia, questa è la tua città".

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