28 novembre 2013

Magari non sarà tre volte Natale, ma di sicuro festa tutto l'anno [ NYC #16 ]

 27 Novembre. Davanti alla finestra vicino al televisore, c'è ancora un Jack-O'-Lantern, ma questa sera ci siamo dimenticati d'accenderlo.
Non mi bastavano i derby in famiglia durante le partite di basket NBA, visto che mia moglie è di Miami e tifa per gli Heat. No, adesso faccio i derby pure con me stesso. Ho sempre tifato per i Los Angeles Lakers quando stavo in Italia, dai tempi in cui Canale 5 trasmetteva le differite delle sfide tra Magic Johnson e Larry Bird. Ma adesso che siamo a Brooklyn, non lo posso negare, sento che devo supportare la squadra locale, i Nets. Certo, il fatto che le loro maglie siano nere e bianche o bianche e nere, non è proprio d'aiuto per un granata; ma anche loro, come noi, sono in città da poco tempo e hanno deciso di mettere radici qui dopo aver trascorso la loro vita da tutt'altra parte, nel New Jersey. Insomma, ci stanno simpatici. E quando stasera hanno perso malamente l'ennesima partita di questo penoso inizio stagione proprio contro i peggiori Lakers di sempre, non sono riuscito per niente a festeggiare.
Domani, come ogni anno il quarto giovedì di novembre, ci sarà poco da festeggiare anche per i tacchini e per i nativi Americani. Per tutti gli altri, noi compresi, Happy Thanksgiving! Buon Giorno del Ringraziamento. Per vegetariani e vegani ci sarà il "Tofurky", surrogato di tacchino al tofu, roba che fa impallidire qualunque veggie-burger. Non che sia così pubblicizzato, a dire il vero, ma basta fare un giro per i siti dei principali magazine della sinistra americana (che sono vivi e vegeti ben più di quella italiana, fidatevi), per scoprire che pure l'impronunciabile polpettone di tofu ha un suo mercato.
Domani sarà un Thanksgiving speciale, quasi unico, tenuto conto della storia giovane di questo Paese, perché coinciderà con Hanukkah. Se è vero che questa sera sono state accese le menorah, i candelabri a nove braccia, sarà comunque domani, in coincidenza con il Ringraziamento, il primo giorno pieno della principale festa per gli ebrei. La prossima volta che Thanksgiving e Hannukah torneranno a coincidere non sarà prima di almeno 80000 anni, così dicono da settimane giornali e televisioni. Per questa occasione, qui si parla di "Thanksgivukkah", mettendo per una volta nell'angolo quello che è l'ormai tradizionale "Chrismukkah" (contrazione di Christmas e Hanukkah). In genere, Hannukah e Natale cadono abbastanza vicini nel tempo, e vengono festeggiati entrambi nelle famiglie dove uno dei genitori sia cristiano e l'altro di fede ebraica o nelle famiglie ebree dove il Natale, come per tantissimi in tutto il Mondo, è solo più una festa secolarizzata. Anche a casa nostra, dove papà è decisamente secolarizzato e mamma viene da una famiglia dove la tradizione ebraica è sentita, stasera abbiamo acceso la nostra menorah, ci stiamo attrezzando per l'albero di Natale e da qualche giorno abbiamo iniziato a leggere al nostro piccoletto una bella storia scritta da un'autrice di libri per bambini che vive qui a Brooklyn: "Daddy Christmas and Hanukkah Mama", dove si racconta di una bimba che da sempre celebra entrambe le feste, unendo le diverse tradizioni del suo papà e della sua mamma. La cosa bella di Hanukkah è che si festeggia per otto giorni di fila, con doni soprattutto per i bambini. E, poiché si festeggia il cosiddetto miracolo dell'olio, l'olio d'oliva viene usato in abbondanza per preparare cibi fritti. Noi non ci siamo fatti mancare latkes ed applesauce, cioè le frittelle di patate accompagnate dal purè di mele.
Negli Stati Uniti l'elenco delle feste è lungo, non c'è mese dell'anno in cui non si festeggi qualcosa o qualcuno, da Martin Luther King Jr. ai Veterani di Guerra, passando per St. Patrick e il Groundhog Day. E a New York, per le insistenze degli italiani da sempre, anche il Columbus Day ha la sua parata di festeggiamenti. Davanti a una delle nostre finestre ci sono ancora le zucche di Halloween, anche se la festa è passata da un pezzo, perché quando fa buio al piccoletto piace la luce che arriva dal Jack-O'-Lantern. Quella illuminata dall'interno è una zucca di plastica, prodotta rigorosamente in Cina e intagliata per creare la faccia mostruosa d'ordinanza. Secondo una delle tante leggende, Jack era un ladro ed era inseguito dagli abitanti del villaggio che aveva derubato. Ad un certo punto Jack incontra il Diavolo, il quale gli dice che è giunta la sua ora e...
A proposito di festeggiamenti. Dice che il 27 novembre 2013 in Italia sarà ricordato da molti e che tanti hanno festeggiato, puntandosi l'ora esatta per non dimenticare mai più i vent'anni precedenti. Sa tanto di festa con magra consolazione.
Uh, dopo un po' Jack è morto, come tutti gli umani. Il Diavolo non ha avuto la sua anima, perché Jack per qualche tempo era riuscito ad ingannare e intrappolare pure lui. Ma alla fine Jack non è potuto andare da nessuna parte: non in Paradiso, per i troppi peccati commessi in vita, e nemmeno all'Inferno, perché il Diavolo aveva promesso di risparmiarlo. Così, ancora adesso, Jack vaga senza riuscire a trovare un posto dove avere finalmente pace.
Forse Jack era italiano, vai a sapere. Adesso è tempo di pensare al 28 novembre e al tacchino.


26 novembre 2013

POMPEI, IL BRITISH MUSEUM E UNA LEZIONE PER L'ITALIA

A proposito di Pompei e del documentario che il British Museum, dopo la chiusura della mostra londinese a settembre 2013 ("Life and Death in Pompeii and Herculaneum"), ha iniziato a presentare in più di 1000 cinema in 51 nazioni. Dal 2015 il British Museum affronterà un taglio imposto dal parlamento inglese, pari al 24% dei finanziamenti che attualmente riceve. Il British Museum ha 60mila soci, cioè persone che annualmente pagano una consistente quota fissa per poter visitare le collezioni e le mostre temporanee. Fuori Londra, le cose sono meno semplici, ma questo schema funziona anche per la più grande organizzazione inglese di fundraising dedicata al mondo dell'arte, ArtFund, che ha 100mila soci e aiuta 700 musei ad acquisire opere d'arte: degli 11 milioni di entrate, 4 milioni di sterline arrivano dai soci. Quanto al British Museum, ogni 4 sterline ricevute dal Governo, riesce a raccoglierne 6 dai privati. Di questi numeri, a fine giugno 2013, parlava il Financial Times.
Ma crudi dati economici a parte, è il documentario sulla mostra dedicata a Pompei che dovrebbe far riflettere noi italiani. Il British apre i suoi confini e vende il suo prodotto a tutto il Mondo, rafforzando in questo modo il suo marchio. Perché quello che andremo a comprare non è Pompei o la secolare tradizione culturale italiana, ma l'autorevolezza del British, del suo brand e delle sue mostre. Quella autorevolezza nasce dalle idee, dalle intelligenze, dalla creatività.

Potremmo prendere esempio dagli inglesi. Invece di pensare solo ai finanziamenti che il Governo italiano taglia o invece di inseguire qualche effimero riconoscimento europeo, legato pure lui alla distribuzione una tantum di fondi, il mondo dell'arte e della cultura italiana potrebbe iniziare a mettere in campo un po' di fantasia in più. Con il tempo, qualche buona idea verrà sicuramente fuori e qualche progetto riuscirà a far parlare dell'Italia in termini sorprendenti. Perché per inventarsi una grande mostra su Pompei e un documentario sulla medesima, da vendere a mezzo Mondo, non serviva essere inglesi.

12 novembre 2013

DI FRONTE

Fatemi capire, per favore.
Fatemi capire, ché forse sono lontano da troppo tempo e forse ho una visione distorta proprio dalla distanza. Chiunque maneggi un minimo qualche dato economico, per interesse personale o per lavoro, sa alcune cose molto semplici. E questi dati sono pubblici, a disposizione di tutti. Li mette a disposizione l'Istat, ma se ne trovano anche di fonte confindustriale o sindacale, per non parlare, della Banca d'Italia o dei diversi ministeri. Il PIL italiano è in caduta libera da anni. La produzione industriale, facendo la media dei diversi settori manifatturieri, è in calo di quasi un quarto rispetto al lontano 2007. La produttività è sempre la stessa scarsa di prima, la disoccupazione è molto più alta e si prevede che aumenterà ancora. Dopo una lunghissima recessione, che era stata già preceduta da anni di debolezza e che solo formalmente è stata classificata in due recessioni distinte, il  reddito disponibile delle famiglie è diminuito, facendo crollare la domanda interna. Senza raggiungere più i livelli e la tendenza pre-crisi, le esportazioni tengono, un po' salgono, ma non perché recuperiamo quote di mercato, bensì perché tutta la domanda mondiale è rimbalzata. Di fronte a questo evidente, tragico e inarrestabile declino economico, con tutte le conseguenze sociali che si porta appresso. Di fronte all'incapacità di tutta la classe politica, sia composta da vecchi onorevoli di professione o da "cittadini" senza reale rappresentatività, di indicare una qualsiasi direzione di sviluppo a lungo termine, che peraltro non sia semplicemente basata sul dogma dell'austerità dei conti pubblici, pur in presenza di un debito pubblico abnorme e di un PIL anemico. Di fronte all'incapacità della classe dirigente, privata o pubblica o sindacale, di immaginare nuove prospettive e nuove relazioni industriali e di creare reale innovazione che possa interessare anche il resto del Mondo. Di fronte all'incapacità della società di ritrovare anche solo un minimo di coesione e senso di solidarietà, pur in mezzo ad un  radicato egoismo storico che non è certo nato con Berlusconi. Di fronte a una criminalità mafiosa che uccide letteralmente intere aree del Paese e ne corrompe altre, anche se non è tema che interessi più i media tradizionali o riesca a farsi spazio tra il flusso inarrestabile di quelli sociali. Di fronte a questo sfacelo di cui non si vede la fine e di cui tutti, ma proprio tutti, chi più chi meno, portiamo responsabilità, i giornali scrivono che l'OCSE e Moody ci promuovono? Sarò pure lontano, ma l'Italia mi fa ancora venire mal di pancia.