22 agosto 2013

UN GIORNO D'ORDINARIO PRIVILEGIO

L'amica Barbara, a proposito del nostro piccoletto, dice: "Vive a Nuova York e va in vacanza in Florida. Minchia, però!". In effetti, messa giù così, suona da vero privilegiato e forse lo è pure. Di certo, lui non lo sa. Tra qualche anno saprà semplicemente che quando era piccolo è stato sballottato a destra e manca per benino, senza che nessuno gli abbia mai chiesto il permesso. Quel giorno, per fortuna ancora lontano, non sarà proprio semplice dirgli: "no, lì non ci vai perché non sei ancora abbastanza grande". Lui ti guarderà con l'aria di quello che vuole fare il ragazzo educato perché sa che tu, invece, sei già abbastanza vecchio e potresti schiattare d'infarto se ti metti a litigare pure con lui, ché già sai essere bilioso di tuo, quando vuoi. Con quella stessa aria, prenderà il suo telefono, che sarà ultra tecnologico, capace di miliardi di operazioni al secondo, capace di trovare qualunque traccia, anche la più piccola, anche quella che hai provato a cancellare, di tutte le memorie, pure le più ambigue, che ti sei ostinato a seminare in quelli che lui chiamerà i social network preistorici. E troverà, in quelle centinaia di impronte, la prova che tu, quando forse lui voleva starsene a casina, e dormire nel suo letto, tu lo hai costretto a seguirti nei tuoi viaggi senza sosta, a dormire quasi ogni sera in un posto diverso, in una roba che non puoi nemmeno chiamare letto, e infatti qui la chiamano "pack 'n play". Per non parlare, poi, dei traslochi cui lo hai costretto nel suo primo anno di vita. E in questa allegra violenza, lo hai pure immortalato con un'ossessione che forse lui non avrà gradito. Ce ne sarà abbastanza per non dirti una parola che sia una, afferrare le chiavi di casa, lo zaino, il suo maledetto ultra tecnologico telefonino, e andarsene dove meglio vorrà. E sarà peggio per te.
Mentre aspetto questo momento, lo blocco nel seggiolino al fianco della mamma, metto in moto la macchina, accendo l'aria condizionata al massimo, faccio un cenno di saluto all'ozono e mi dirigo lentamente verso la A1A (ehi-uan-ehi). Con la parte solida della colazione da poco nella sua pancia, si addormenta come un sasso dopo appena qualche minuto, cullato dal movimento lento della macchina e dal rumore bianco della ventola del condizionatore. Anche se non lo vedi, perché coperto dagli altissimi condomini che si snodano da Hollywood a Sunny Isles, e poi Aventura e sempre più giù sino a Miami Beach, la ehi-uan-ehi corre praticamente lungo il mare, che puoi intravedere solo tra le piante dell'Haulover Park. Devi fare attenzione a non addormentarti pure tu, perché il limite di velocità oscilla al ribasso, dalle 35 miglia orarie sino alle 25: tradotto, cinquanta chilometri all'ora quando ti dice bene. E ci fosse mai qualcuno che si azzardasse a superarlo. Solo qualche pazzo, incurante della polizia e delle multe astronomiche che ti possono toccare per eccesso di velocità. Il giorno in cui siamo arrivati a Miami, percorrendo la I-95 (ai-nàini-faiv), solo per un miracolo la pattuglia sbucata dagli alberi ha fermato il tizio davanti a me e non il sottoscritto. E nemmeno eravamo gli unici a superare di 10 miglia orarie il limite dei settanta. Se consideri che multa si dice "ticket", ma anche "fine", sa tanto di presa per i fondelli.
Dal finestrino scorrono le poche architetture art deco che hanno resistito alla furia dei palazzinari nella parte di South Beach diversa da Ocean Drive, le ville dei super-ricchi a Palm Island, che solo la lunga striscia d'asfalto del MacArthur Causeway separa dalle grandissime navi da crociera e dai container scaricati al porto. Il traffico di downtown Miami ci rallenta giusto quanto basta per far dormire ancora un po' il piccoletto. Il risveglio avviene poco prima del nostro ingresso a Villa Vizcaya. Completamente immersa nella foresta tropicale e affacciata sulla costa, Vizcaya è stata costruita quasi cent'anni fa da un uomo d'affari che desiderava replicare in Florida una villa italiana con tanto di giardini rinascimentali. Non so se il piccoletto abbia preso il suo latte sotto qualche mangrovia, ma di sicuro avrà apprezzato l'ombra. E avrà apprezzato anche le scale fatte in braccio a papà, perché i passeggini devono stare fuori dal palazzo. Tra le regole sceme che provano a rovinare lo spettacolo di Vizcaya, c'è anche il divieto di fare fotografie. Fossi in loro, mi preoccuperei un po' di più dei rifiuti che arrivano a riva e vengono trattenuti da una poltiglia indistinta di alghe, quasi a formare un tappeto, davanti a quella che era la zona di imbarco della villa. Si, quella scena rischia di rovinare tutto il resto, che invece vale molto.
Poco prima delle due, arriviamo da Michael's Genuine, il nostro ristorante preferito a Miami, dove abbiamo prenotato un tavolo per "two and half". Il quartiere è quello di Wynwood, dove c'è anche il Design District. A guardarli, immagino che alcuni dei clienti siano gli stessi che entrano anche nei negozi a fianco: Prada, Hermes, Dior, Cartier. Poco importa, noi siamo concentrati sul nostro pasto, ottimo come sempre in tutte le visite che abbiamo già fatto qui. Anche il piccoletto sembra apprezzare. Ma quando il velocissimo temporale ci costringe a riparare all'interno, si spazientisce e dobbiamo fare a turno per finire pranzo e portare lui a spasso.
Cambio di pannolino e, dopo qualche sosta tra i magazzini ricoperti di graffiti, si addormenta di nuovo nel suo comodo (si fa per dire) seggiolino. Per tornare ad Hollywood, ripercorriamo lentamente quasi la stessa strada dell'andata, questa volta passando come lumache da Ocean Drive. Sosta al supermercato a North Beach, tanto il pisolino è stato breve e stasera abbiamo i suoceri a cena. Quando arriviamo a "casa", la tabella di marcia dice che abbiamo la bellezza di mezz'ora ancora tutta per noi. Il tempo di salire a metterci il costume e siamo di nuovo in corsa verso la spiaggia. Il mare è agitato, il vento è forte. Disdetta, dobbiamo ripiegare sulla piscina del condominio, che confina direttamente con la spiaggia. Capienza 150 persone. A parte due bambini, ci siamo solo noi tre. Il piccoletto ride quando metto la testa sott'acqua e faccio le bolle. Maledizione, non posso nemmeno fargli una foto da rinfacciargli in futuro...

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