01 marzo 2013

DIARIO MINIMO DA NEW YORK - 5 - Camaleonte

"Excuse me, are you jewish?". Non sta scherzando, me lo chiede sul serio. Vista la mia carnagione, vorrei rispondergli che potrei anche essere un mediorientale, in effetti. Ma rispondo con un semplice no e abbozzo un sorriso che forse lui nemmeno avrà visto, se non seguendo la scia di me che spingo velocemente il nostro nuovo ed ultramoderno passeggino verso l'entrata della metro. Sottobraccio tiene una cartellina nera. Come nero è il suo vestito, nero il suo cappello a falde larghe, nere le scarpe e la lunga barba. Di bianco c'è solo la camicia. Non so cosa possa averlo indotto a pensare che fossi ebreo. Devo avere una straordinaria capacità di mimetizzarmi. Chiamalo istinto di sopravvivenza o magari è un eccezionale attitudine al cambiamento.
Sta di fatto che prima di lui, giorni addietro, nel centro vitale di Bedford-Stuyvesant, proprio dove Fulton Street incrocia Nostrand Avenue, un ragazzo afro-americano mi aveva chiesto indicazioni per una strada. E di fronte alla mia testa che ciondolava sconsolata e gli diceva che ero nuovo di Brooklyn, ha risposto di non preoccuparmi, ché anche lui era di Brooklyn eppure non sapeva dove fosse quella strada. Chiedeva indicazioni a me, capito? A uno dei rarissimi bianchi nel bel mezzo del quartiere simbolo per gli afro-americani. Un po' come quando nel centro di Napoli chiesero a me e al "Piombinese" la strada per arrivare a San Gregorio Armeno (e noi, ovviamente, fornimmo indicazioni precisissime ai "cafoni" alla ricerca dei presepi). O come quando, in coda al self service di un campeggio a Kos, il cassiere, dopo decine di persone che mi precedevano, si rivolse in greco solo a me. Una fazza, una razza.
"Are you jewish?". Penso allo Zelig di Woody Allen, che prende le sembianze di uno psicologo e si fa pagare quattro volte dalla coppia di gemelli siamesi affetta da sdoppiamento della personalità. Come gli è venuto in mente di chiedermi se fossi ebreo? Fuggedaboutit. Va bene che siamo su Bedford Avenue, ma in quel tratto di Williamsburg dove si trovano ristoranti e locali per giovani newyorchesi di tendenza, non certo ebrei hassidici. La loro numerosa comunità ortodossa, forse la più grande fuori da Israele, è concentrata sempre sulla stessa via, ma nella zona sud del quartiere, quella che confina con Bed-Stuy. Gli uomini sono riconoscibili perché oltre ad essere vestiti di nero, indossano un copricapo particolare: un colbacco di pelliccia, a forma di corona allargata, chiamato "shtreimel". Le loro famiglie sono numerose ed è normale vedere ragazzi giovani con quattro o cinque figli. Nelle giornate come queste, alla fine della festa di Purim (che grosso modo, e tanto per dare una definizione, assomiglia al carnevale per i cattolici), i bambini vanno in giro mascherati. Ma lo fanno anche gli adulti, a quanto pare, altrimenti non mi spiego lo Zorro con lo shtreimel.
Bedford Avenue è la strada più lunga di Brooklyn, dieci miglia. Il suo percorso non è proprio lineare, anche se va Nord a Sud. Da Greenpoint arriva Sheepshead Bay, il quartiere russo che è in cima alla mia lista delle priorità, e cambia molte volte pelle, attraversando quartieri con forti e precise connotazioni etniche. Decido di farlo anche in macchina, non dando retta al navigatore, che mi suggerisce una strada secondo lui più veloce. Prima di entrare a Williamsburg, giro a destra su Flushing Avenue. Maledizione, sarà pure una avenue, ma è stretta e trafficatissima. Non importa, la tariffa del car-sharing per 24 ore era vantaggiosa e ho ancora molte miglia a disposizione, posso tranquillamente puntare a Rego Park, nel Queens. Mi aspetta la catena di supermercati tedeschi con i pannolini migliori e più economici d'America. E anche di Danimarca, a dire il vero.
Via vai di autotreni, teorie di grandi capannoni, filo spinato sui magazzini, insegne cinesi di società d'import-export, mobilifici di quart'ordine, officine, industrie in disuso. Paesaggio urbano familiare, a parte la signora che vende hot-dog col suo minuscolo carretto. Il Queens si presenta con la pelle di Maspeth, quartiere dove la piccola comunità di case basse confina con il passato commerciale che ha fatto grande questa città e che ancora vive senza clamore. Le strade più interne sono attraversate da una vecchia linea ferroviaria a un solo binario e senza passaggi a livello. Al fondo della linea, s'intravede un grattacielo. Manhattan non è così lontana.

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