25 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 13 - Last minute

"Regali dell'ultimo minuto, eh?". Sorrido alla vecchia signora che si è fermata a farmi la domanda e poi ha ripreso a tirare dritto per la corsia. Bingo, Madame. A quanto pare non sono l'unico che si è ridotto a dover cercare un regalo alle dieci di sera della vigilia di Natale.

23 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 12 - A.K.A.

Lascia perdere i ricordi delle lezioni d'inglese. Gli stessi inglesi, per dire 2012, dicono twenty-twelve, mica partono con la litania del two thousand. E ancor di più gli americani, per i quali 1600 è sixteen hundred, cosa che forse non manderebbe in crisi un laureato della Normale di Pisa ma di sicuro qualche noto parlamentare molisano (e il calcolo dovrebbe essere essere semplice: quello per individuare il parlamentare, intendo).

20 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 11 - "Merry Chrismukkah!"


Metto subito le mani avanti: il titolo di questo post l'ho rubato all'Economist di questa settimana. Christmas e Hanukkah insieme. La festa più significativa per i cristiani e una delle feste più importanti per gli ebrei: la Festa delle Luci, 8 giorni e un candelabro con 9 candele, la Menorah. Non ci provo nemmeno a spiegare come funzioni o quale sia il significato, ché poi sbaglierei in pieno. Vero è che Hannukah è finita da poco e che Natale sta per arrivare. 

16 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 10 - La tragedia di Newtown

"Rendere ciascuno di noi indifeso non è la risposta per mettere fine a tragedie come quelle della scuola di Newtown". Per noi europei questa frase è incomprensibile. E quand'anche riuscissimo a comprenderla, difficilmente riusciremmo a condividerla. In genere, noi non pretendiamo un diritto all'autodifesa, pretendiamo che sia qualcun altro a difenderci.

13 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 9 - New York State of Mind

12.12.12 Concerto per le vittime di Sandy. Le televisioni americane, stasera, ti riportano indietro di qualche decennio. La camicia di Roger Daltrey è rimasta aperta dal Live Aid, e i capelli ora sono proprio bianchi. Quanto al braccio di Pete Townshend, credo che possa perderlo se non la smette di rotearlo. Ma non è lo stadio di Wembley, è il Madison Square Garden di New York. Keith Moon, il batterista e cantante, non c'era nemmeno nel 1985, però stasera canta con loro direttamente dal mega schermo, buonanima.

09 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 8 - Art Basel Miami Beach 2012

Va avanti e indietro nervosamente. La giacca è azzurra, il cellulare attaccato all'orecchio, il pantalone nero stretto alle caviglie, le ciabatte infradito. Ciabatte infradito, a dicembre poi... Ok, fa caldo, è pure tornata l'umidità, e me ne sono accorto stamattina, perché ho lasciato il passaporto sul tavolo del soggiorno e si è accartocciato durante la notte. Ma qui basta buttare l'occhio in giro per capire che a Miami nessun uomo porterebbe con nonchalance delle ciabatte infradito. È evidente, non può che essere italiano. Anzi, sai che ti dico? Sarà un gallerista milanese, fammi sentire un po'.

08 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 7 - Darwin e il buco allo stomaco

Un buon padre di famiglia, all'una di notte, dovrebbe già essere a dormire. Ma le pratiche per l'immigrazione mi hanno stressato al punto da non riuscire a chiudere occhio. E poi abbiamo pranzato alle cinque, uccidendo la cena. E domani è sabato. Quindi, non c'è ragione per non farmi un panino.
In America il panino è una religione nazionale. 

05 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA SAN FRANCISCO - 3 - Casa mia, casa mia

Helen e Adrian hanno lasciato l'Inghilterra per la Silicon Valley. Vivevano non molto distante da Londra, dove Rachel era andata a trovarli un paio d'anni fa. Adesso vivono a Los Gatos, vicino a San Josè, perché Adrian ha trovato lavoro in Google. È un ingegnere, segue uno dei tanti filoni sui quali a Mountain View stanno investendo, cioè quello della compressione dei video per portare la tv su YouTube. A dire il vero, lui vorrebbe cambiare mestiere e non fare più l'ingegnere. Ancora non sa cosa, ma intanto ci pensa. Helen, invece, è una musicista.

02 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA SAN FRANCISCO - 2 - Strade

Mi biascica qualcosa, riesco solo a capire "buddy". Ai quattro angoli dell'incrocio ci sono negozi che vendono alcolici, i pochi ubriachi che incontro sono concentrati qui e cercano qualche moneta per la loro serata. Continuo a camminare lungo Geary Street, scendo verso Downtown. Potrei mangiare qualunque cosa: da Milan Pizza, che la offre a tranci, oppure un Mediterranean Sandwich, che poi sarebbe un ovvio kebab. Tengo stretto il mio caffè e tiro dritto. 

01 dicembre 2012

DIARIO MINIMO DA SAN FRANCISCO - 1 - Mini

La amo. Si, la amo. Forse la sposo. Ma si, me la sposo. Poi, come un pesce rosso, o come un ragazzino di 15 anni, incontri un'altra e la memoria va a farsi benedire. E dici: la amo. Si, amo lei.
Lasciata Seattle da meno di due giorni, e San Francisco ci ha già fulminati.

30 novembre 2012

DIARIO MINIMO DA SEATTLE - 3 - Navigare è preciso

Sarà pure uno stereotipo, ma Michael sembra un perfetto comico ebreo.
Anche se poi, io, pensando alla comicità ebraica, non ho in testa molto più che Woody Allen e Moni Ovadia. "Colpa di tutto quel caldo nel deserto. Gli Arabi sono matti, e gli Ebrei sono matti pure loro!".
Ha una risata contagiosa, Michael. La mole e l'andatura lenta, causa un intervento alla gamba, lo rendono ancora più simpatico. Per anni il suo lavoro lo ha portato in giro per il mondo a vendere sofisticate apparecchiature mediche.

27 novembre 2012

DIARIO MINIMO DA SEATTLE - 2 - Welcome to "Caffè Torino"

"Il prossimo anno farò domanda per la cittadinanza. Meno male, me la firmerà Obama!".
A Seattle da 12 anni, per Andrea gli 8 anni di Bush sono stati davvero troppo.
"Tu sei sposato e hai un figlio", mi dice, "per te sarà più veloce". Vero, ha ragione.
Arrivato da Torino, seguendo l'amore per la musica, per il grunge e dintorni, non se n'è più andato. "L'amica che era con me, invece, è tornata in Svizzera, e ora lì è una rockstar".

25 novembre 2012

DIARIO MINIMO DA SEATTLE - 1 - Radar

Ogni guida per turisti a Seattle prevede: che in città il cielo sia coperto, che dal tuo albergo si veda la Space Needle, che accendendo la radio tu possa ascoltare i Nirvana. Io, nel mio primo giorno, non solo ho infilato anche Pike Place Market, ma pure la sede di Real Player e un vero nerd che armeggiava con il cubo di Rubik camminando sulla Western Avenue.
E poi tanto caffè, ma ancora non quello scontato di Starbucks, che qui è nata e ha la sua sede, bensì quello delle moltissime caffetterie sparse lungo il nostro tragitto tra Belltown e Downtown, dove trovi i ragazzi con i loro portatili o gli uomini che giocano a domino.
A parte Jimi Hendrix, tutte le icone  di questa città lontana più di cinquemila chilometri da Miami.

21 novembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 6 - Late Show

Hai comprato una casa pignorata e quando apri la porta ci trovi dentro una ragazza colombiana che da tre mesi ha un contratto d'affitto?
Per tenerti sveglio al lavoro, invece di farti una bella tazza di caffè, ti fai prescrivere un farmaco contro la narcolessia e scopri che questo "Viagra per il cervello" ha fastidiosi effetti collaterali?

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 5 - E se avessero ragione loro?

Black Friday. E poi: Small Business Saturday, Sofa Sunday, Cyber Monday e Green Tuesday. C'è anche Wrong-Size Wednesday, e qualcuno parla pure di Black Thursday, perché alcune grandi catene decidono di anticipare le offerte già al giorno di Thanksgiving. Ovviamente, a parte il Giving Tuesday, che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe essere dedicato alla beneficenza, c'è chi cerca di opporsi al consumismo che regge l'economia di questo Paese.

16 novembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 4 - Too Much


Sapevo che sarebbe finita così: non solo bevo molto più caffè che in Italia, ma ne sono quasi dipendente. "Si, vabbé, ma quella è brodaglia". Non scherziamo, per favore, non scherziamo. Forse da Mc Donald's, certo non nelle caffetterie. E pure in alcuni Starbucks puoi trovare miscele dall'aroma intenso e dal gusto forte. Il fatto è che qui, è risaputo, il caffè si beve a tutte le ore del giorno, potendo accompagnare pressoché qualsiasi piatto.

06 novembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 3 - Election Day


Nel parcheggio del Community Center di Uleta fa caldo e tutto è muto, non c'è folla. Non quella che i telegiornali locali raccontano da altre zone della Greater Miami. Dal guardiano, agli elettori in coda, alle addette alle postazioni per il voto elettronico, la maggioranza qui, in questo quartiere popolare di North Miami Beach, è afro-americana o, al massimo, centro-americana con prevalenza di giamaicani e haitiani. Siamo tra i pochi bianchi presenti in questa grande palestra adibita a seggio elettorale, a parte alcuni ebrei riconoscibili per la loro kippah. 

02 novembre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 2 - Colpirne cento per educarne cento


No, non credo che ad Hollywood, Florida, abbiano in mente il Grande Timoniere. Eppure i principi di base cari a Mao Tse Tung funzionano in ogni dove, soprattutto se applicati ai bambini. E qui sono applicati a tutti, senza distinzioni d'età.
Lo studio pediatrico è molto grande, come qualunque cosa quaggiù: se l'unità di misura è il miglio, non puoi stupirti che il tubetto del dentifricio o il tubo delle patatine sembrino bastoni. Per questo, anche un semplice studio medico può essere più grande di molti uffici di multinazionali presenti a Milano.
Dietro il bancone della reception c'è la stanza dello schedario. La nostra dottoressa ci dirà, poi, che ormai tutto è computerizzato; ma quella è ancora la memoria di qualche migliaio di bambini passati da qui negli anni.
Il salone d'attesa è diviso in tre zone distinte: quella per i bambini che devono fare un semplice controllo, quella per i bambini con qualche malattia in corso e quella per i neonati. Nulla da eccepire, soprattutto per i neonati, perché respirano qualunque cosa e la fanno propria come niente. In ogni zona c'è un televisore acceso sullo stesso canale per bambini. E se anche provi a spostarti in modo che il piccoletto tra le tue braccia non lo veda, lui proverà lo stesso a girarsi, seguendo le voci. Forse anche perché a casa non l'ha mai visto un televisore.
Sullo schermo ci sono dei piccoli pirati e un pesce, parlano di un tesoro. Sono folgorato, non riesco a staccare lo sguardo. Il cartone animato è costruito per insegnare nuove parole ai bambini. Il pesce formula le domande e, dopo qualche secondo di pausa, i piccoli pirati rispondono.
Mi distraggo per qualche minuto e quando torno con gli occhi al televisore vedo che i piccoli pirati si sono tolti le bende nere. Ora sono dentro un supermercato. Viene spiegato loro dove possono trovare la frutta e la verdura, il latte e il formaggio, e così via. Parte una musica, e li vedi ballare e cantare tra le corsie, come un perfetto musical. Alla cassa impari quante banane puoi comprare con le monete che hai in tasca. E poco importa se anche mia moglie, che pure è nata e cresciuta in Florida, strabuzzi gli occhi all'idea che tre banane possano costare tre dollari.
Cambio di scena, i piccoli ex pirati si trasferiscono nel cortile di una scuola. Ma arriva il nostro turno con la pediatra, e non sapremo mai che hanno mangiato per la merenda.

31 ottobre 2012

DIARIO MINIMO DA MIAMI - 1 - Lavorare ad Halloween


Non è facile fare il cameriere o la commessa il giorno di Halloween. Se hai fortuna, ti basta indossare una maglietta arancione, ripetere continuamente "Happy Halloween" a chiunque ti passi a tiro di saluto, e tutto finisce lì. In caso contrario, come minimo, devi truccarti e aspettare che arrivi la fine del tuo turno. Il trucco da gatta non ha rivali tra le cameriere, almeno a Coral Gables.Impossibile evitare questo destino, in generale, per chi lavora a contatto con la clientela. Nel grande studio ginecologico o nella piccola caffetteria francese, alle pareti troverai le stesse decorazioni a base di zucche, pipistrelli e teschi. Ma nello studio ginecologico ho contato: una segretaria vestita da gatta, una col grembiule e un grande cappello da ortolana, un'altra con finti dreadlocks e berretto da rasta con la scritta "Peace". Il bambino che accompagnava la mamma tutto vestito da piccolo ninja, l'ho tolto dalla contabilità del giorno.Happy Halloween.


09 agosto 2012

QUIZ

"Pali e traverse sono più rammarico che rimpianto". Lo ammetto, vado in crisi: e dove sarebbe la macroscopica differenza? Ma forse il telecronista Rai è pure accademico della Crusca e l'ignorante sono io. Lana caprina, comunque.
"E la sassata di Figlioli!".
Questa è intelligibile, e nemmeno serve essere esperti di pallanuoto per capire che ha segnato l'Italia.
Sei a cinque per il Settebello contro l'Ungheria, detentrice del titolo olimpico da tre edizioni.
A bordo vasca, con un gigantesco teleobiettivo, c'è una fotografa che indossa il velo. Evidentemente mussulmana, chiaro.
Quando segna l'Italia, oltre alle nostre bandiere, anche gli americani sventolano le loro; quando segna l'Ungheria, si vede anche la Union Jack. No, questa non l'ho capita.
Pianto improvviso, che rompe la prima nanna della sera. L'orologio della cucina dice che il piccolo ha mangiato da meno di due ore. Non può; essere che cacca, chiaro.

04 agosto 2012

BEL PAESE


Gabrielle Douglas, sedici anni.
Per i giornali del suo Paese, gli USA, è soprattutto "la prima donna nera", come scrive il New York Times, a vincere un oro olimpico in una gara individuale di ginnastica. 
Per tutti i media statunitensi, lei è un'afro-americana. 
Per "La Stampa" (e non credo che per il resto dei giornali italiani sarebbe tanto diverso), è soprattutto la prima "gazzella nera". Certo, poi nella didascalia della foto si dice che è afro-americana: probabilmente, uno sforzo per non essere ripetitivi e non essere cazziati dal caporedattore. Ma il titolo, quello che deve rimanere impresso in chi legge, va dritto alla pancia, perché con la pancia è stato scritto e con la pancia è stato approvato.
Non riesco davvero a pensare che sia razzismo, almeno non quello conclamato, che dalla sua ha pur sempre la dignità minima del coraggio delle proprie idee. Forse questo è solo un retaggio linguistico da libro "Cuore", e non ci ricordiamo manco più di quanto eravamo razzisti nel nostro recente passato di italiani brava gente.
Semplicemente, siamo banali.
Siamo maledettamente banali,  se non volgari.
Scordiamocelo, non moriremo democristiani. Sarebbe già un privilegio, di questi tempi men che mediocri.
Non ci ammazzeranno case crollate per terremoti che altrove le lascerebbero in piedi, o per colpa di fabbriche inquinanti, mazzette per costruire autostrade deserte, scambi di flebo, attentatori con le bombole del gas. Tanto meno ci ammazzeranno la disoccupazione, il costo del denaro, il deficit, la de-industrializzazione, l'assenteismo o le Università mignon.
Moriremo, invece, travolti da forme di parmigiano, oppure accecati dalla corda spezzata di qualche mandolino o per il diabete da panettone con l'uvetta più dolce del Mondo.
Ci ammazzeranno i luoghi comuni più banali, quelli della bontà italiana, gli stessi che ci impediscono di vedere quanto sia cambiato il resto del Mondo in appena un quarto di secolo, mentre noi vogliamo ancora fare la colazione al bar a metà mattinata e pretendiamo il premio di produttività se siamo stati assenti un mese dall'ufficio.
Si, probabilmente verremo tutti soffocati da un delizioso pistacchio iraniano andatoci di traverso appena abbiamo scoperto che ce lo hanno venduto come pistacchio di Bronte.
O forse avremo fortuna, ce la caveremo e il Bel Paese rimarrà almeno un formaggio. Tra i più banali, ovvio.

26 luglio 2012

LA VECCHIA SIGNORA

"Scusi...", mi dice mentre sto per svoltare l'angolo.
Si tiene stretta alla sua stampella ed è appoggiata al muro del supermercato. A terra ci sono due sacchetti della spesa. Guardo l'orologio per capire se sono in ritardo. Anni fa una signora mi chiese se potevo aiutare suo nipote a portare una lavatrice al terzo piano. Questa volta mi è andata di lusso.
"È qua vicino, facciamo presto... Deve andare al Valdese? Se vuole c'è mio figlio che ci lavora...".
Afferro le borse e le dico che non è il caso.
Trecento metri sono sufficienti per riassumere una vita, soprattutto se il passo non è veloce.
Ha 88 anni e, dopo ben più di mezzo secolo a Torino, parla ancora in calabrese, anche abbastanza stretto. Il marito era piemontese, però, e faceva il trasportatore. Appena il bell'uomo la vide, vicino Rosarno, s'innamorò di lei e ne chiese la mano ai fratelli, sottoponendosi pure al vaglio d'un loro amico carabiniere.
La signora non ne vuole sapere d'andare a vivere a Pecetto, dove uno dei suoi figli ha un bel ristorante. Certo, a suo dire, la nuora è una ragione sufficiente per non spostarsi; ma lei, comunque, ha sempre vissuto nel quartiere e qui vuole rimanere.
Poco prima d'arrivare a destinazione, la signora incrocia una ragazza slava. Non ho capito bene, forse fa le pulizie nel suo palazzo. Di sicuro, manco a dirlo, non le sta proprio simpatica.
Il portone, maestoso e in legno, è di quelli capaci d'ingannare, forse anche per la vicinanza con dimore di gente ricca davvero. Ma appena nell'androne, la modestia è dappertutto. La signora saluta una donna in cortile e, un secondo dopo, mi dice che non le piace, perché spesso se ne sta sul balcone in mutande e viene a farle visita il suo mantenuto.
Sembrano almeno sei, ma sono solo quattro piani senza ascensore. Mentre la signora si riposa in cortile, porto su le borse e le lascio sul pianerottolo.
Quando scendo, non la vedo più. Dopo qualche istante, sbuca con una mezza sigaretta accesa e mi ringrazia per averla accompagnata a casa.
Prima di salutarla, le raccomando di prestare attenzione a chi chiede aiuto, ché non si sa mai. Mi squadra, ride e, agitando la stampella, mi dice che lei è ancora forte.
Certo, mai avuto dubbi.

APRITI SESAMO

Il preparato è di quelli per il risotto. Che differenza fa se voglio usarlo con gli spaghetti? Nessuna: alla fine, sempre di pesce surgelato si tratterà.
Peccato che la nostra dispensa sia priva di spaghetti, a parte quelli integrali, che non puoi chiamare davvero spaghetti.
Quindi, si torna al riso, ché almeno quello è in abbondanza, come nelle cascine lungo il Ticino o lo Yangtze.
Forse, prima, avrei dovuto preparare un brodo, magari con quei gusci di gamberi che teniamo in freezer proprio per queste evenienze. Non l'ho fatto, amen.
Ad ogni mestolo d'acqua, si capisce che il riso non si accontenterà del sale che gli sto buttando dentro. Allora apro di nuovo il frigo, e giù con zucchine e qualche pezzo di pomodoro.
Il colore ora è più convincente; ma di sapore, manco a parlarne.
Il peperoncino della zia? Bene. Il prezzemolo? Pure.
Nuovo assaggio.
A parte che siamo lontani dalla cottura, predomina l'insipido.
"Senti... com'è che si chiama quella salsa di coso... si, dai... quella di soia, ma col nome... Tamiami?".
Ah, no, era tamari.
Almeno la soia giapponese sarà salata? Si, ma ancora non va.
Cassetto, ecco quello che ci serve: goju karu. "Questa roba coreana è potente, eh?".
Abbondare.
Sorpresa dal frigo: goju jang. "Guarda il colore... Fichissima questa marmellata".
Abbondare.
"Che ne dici? Altra tamari? Ma si...".
Lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo...Acqua, acqua, acqua, ché si sta attaccando in ogni dove!
Salvo, per puro miracolo.
Tavola.
Il piatto è bollente, ormai è un parente lontano del risotto ai frutti di mare.
Dev'esserci qualcosa di metaforico in tutto questo, si, sarà un segnale.
È piccantissimo, in puro stile asiatico imbastardito alla maniera di San Francisco.
Dell'olio di sesamo non potrà che rinfrescarlo.

25 luglio 2012

GRANA GROSSA

Avrà sei anni o giù di lì.
Credo sia il figlio dei ragazzi nigeriani della videoteca, o forse della donna del saloon afro.
Inforca la sua bicicletta con foga da scattista e si schianta a terra, giusto davanti ai miei piedi, evitando per un soffio il palo della sosta lungo il marciapiede.
"Vuoi una mano", gli chiedo.
Mi guarda e non risponde.
Mi allontano, ridendo all'indirizzo di uno che fa pure lui il palo poco più in là.
Sento alle mie spalle qualcosa che si avvicina velocemente.
"Non avevo bisogno d'aiuto!".
E mo' che gli dico? Niente, ragazzino, sai il fatto tuo.
San Salvario è assonnata, come ogni pomeriggio d'estate. A parte gli spacciatori incollati alle auto e un gruppo di rumeni nel dehor improvvisato d'un bar, sembra che ci sia nessuno in giro. Penso che anche gli alpini davanti alla sinagoga vorrebbero abbandonare il blindato e cercare un albero.
Io, invece, cerco del bulghur e in tasca tengo i soldi come i bambini che vanno a far le commissioni. Devo prenderne due chili, si sarebbe meglio.
Il negozio bio è chiuso. Meno tre.
Il ragazzo del Bangla Market nemmeno capisce cosa gli sto chiedendo. Tranquillo, gli faccio con la mano, cerco da me tra gli scaffali. Nulla, solo cous-cous. Meno due.
Al negozio indiano stanno scaricando la merce. Fagioli e lenticchie di tutti i colori, ma il bulghur non c'è. Meno uno.
Vabbé, è destino, devo allungare la mia strada di almeno duecento metri.
Il maghrebino ha tutto, anche la carne o il formaggio che arriva da Parigi. Ovvio, c'è anche il bulghur.
Il prezzo sui pacchi dice due euro. Non so perché, ma batte uno scontrino da tre e sessanta.
Non ho la forza per chiedere, e nemmeno mi interessa così tanto.
Non farò la cresta, adesso voglio solo la mia acqua frizzante.

01 maggio 2012

PECORE

Niente pietra o marmo, le colonne perimetrali sono in semplice cemento grezzo. Come le pareti, interrotte da ampie vetrate giallo opaco.
La croce, sorretta da lunghe catene, è sospesa in mezzo alla sala. Essenziale, con le sole barre di metallo necessarie a disegnarne i contorni.
La gente vestita a festa si accalca, cerca di farsi spazio per vedere qualcosa. Qualcuno cerca spazio per farsi vedere, i più rumoreggiano in continuazione, anche dopo gli inviti al silenzio. Telefonini, telecamere e tutto quello che serve per rivedere a casa tutto quello che non ci si è fermati a guardare qui.
I bambini e le bambine, in tunica bianca, ascoltano l'uomo che parla dal pulpito. Sembrano gli unici davvero attenti, pronti a rispondere alle sue domande, preoccupati di non fare la mossa sbagliata davanti agli occhi di parenti e amici.
L'uomo parla di pecore e pastori. Soprattutto dei pastori mercenari, che non amano le loro pecore e le lasciano appena sono in pericolo.
Parla di pecore che si sono smarrite.
Ricorda che tra pochi giorni sarà la festa dei lavoratori.
Dice che le persone che non hanno più un lavoro sono come pecore smarrite.
Dice che la logica del profitto e del pareggio di bilancio ha dimenticato che vengono prima le persone.
All'ingresso c'è un banchetto per raccogliere fondi. Vestiti usati per bambini, pennarelli, libri. Bastano due euro per comprare tre paia di collant.

12 aprile 2012

NON-LIEU

I marchi sono quelli famosi e globali, qualche locale sembra fresco d'apertura, in una zona tradizionalmente commerciale ma meno snob e pretenziosa di altre. Le vetrine sono piene di luce anche sul lato della strada che all'ora di pranzo si ritrova più in ombra. Qualcuno punta sullo stile impeccabile dell'esposizione, altri sul prezzo concorrenziale dei prodotti. Qualcuno proprio non riesce ad accontentarsi del suo semplice nome italiano e lo accompagna con un evitabile "bags and shoes". 
Non credo che questi negozi siano flagship, come li chiamerebbe chi col marketing ci lavora più di me; ma a parte uno che già dal nome racconta di vendere accessori per ragazze, tutti gli altri sono praticamente deserti, e le commesse sono pure costrette a stare in piedi, per non creare l'impressione dell'abbandono. Uno ha pure la scala mobile che si affaccia quasi sulla strada e gira in continuazione senza anima viva da trasportare. Bella cosa l'orario continuato, gli affari sono una cosa diversa, però. Chissà se è per questo che, al fondo della strada, ci sono pure alcuni spazi sfitti.
Finalmente passo accanto a due persone che stringono le borse dei loro acquisti. Una è stata in una catena spagnola; l'altra nella catena italiana che, mai lo sospetteresti, vuole provare a farle concorrenza. Le osservo bene: sono due turiste.
Magari è una mia impressione, ma neppure i bar mi sembrano pieni. In compenso i marciapiedi, che sono ben più larghi della media di una qualunque città italiana, sono affollatissimi, soprattutto da ragazzi e impiegati. Fa caldo, e c'è anche un tizio che riesce a girare col piumino chiuso fino al collo.
La via (anche se si chiama Corso) è molto lunga. Nulla interrompe la prospettiva, se non qualche semaforo sospeso ed un enorme striscione giallo che pubblicizza un porno shop lì vicino.
Mi infilo in una strada laterale. Sembra isolata acusticamente, le macchine non si sentono più. La via porta il nome di un patriota che non conosco. Dopo un ristorante italo cinese e un bar chiuso, arriva l'incrocio con la via dedicata ad un naturalista, e pure di lui ignoravo l'esistenza. Sul lato di un palazzo annunciano il concerto dei Soundgarden. All'angolo c'è un piccolo giardino pubblico.
Mi fermo su una panchina e ascolto due piccioni che tubano.

10 aprile 2012

ALTRIMENTI CONOSCIUTA COME ELUCUBRAZIONE

L'insegna, su campo giallo, è seria: "Ottica Amica". Praticamente, non lascia scampo all'immaginazione, che è defunta insieme al suo copywriter. Ma lei, almeno, ha lasciato un vuoto. Lui, poveraccio, non poteva prevedere che l'ennesimo punto vendita, un bel giorno, sarebbe finito al fianco di un cinema porno. E nemmeno poteva immaginare che in quello spazio sarebbe riuscito a creare una perfetta associazione di idee tra la più famosa leggenda catechistica sulla cecità maschile e la nota mano amica.
Mi fermo ancora un attimo prima di chiudere l'ombrello e imboccare le scale della metro.
Dal cinema esce un uomo che non avrà cinquant'anni. Abbottona il suo giubbotto sportivo e si allontana a passo tranquillo.
Certo, la comodità del computer di casa è innegabile. Ma vuoi mettere il fascino del grande schermo?

27 marzo 2012

DUE

Devo avere la faccia feroce. Gli occhi quasi chiusi, anche perché l'albero davanti a me non basta a tenere il sole a bada e, se mi sposto ancora un po', finisce che cado dalla panchina. Se qualcuno mi sta guardando, penserà che sono accigliato, che un pensiero mi tormenta. No, sto solo aspettando che arrivino gli occhiali nuovi. Segno dell'età, dice che me ne serve un altro paio per leggere. Così chiudo gli occhi ancora di più, per provare ad affaticarmi di meno. Me ne devo fare una ragione, avrò due paia d'occhiali. Proprio come i...
Mi sforzo, ma oggi pomeriggio l'idea brillante non vuole arrivare. Le scadenze sono chiare, l'obiettivo anche. Eppure, non mi smuovo da quelle due righe, che mi convincono pure poco.
Vorrei alzarmi e fare pausa. Un caffè al bar del parco s'imporrebbe sovrano, ma è l'ora più pericolosa per abbandonare la panchina: se ti alzi la perdi, e nessuno è così pio da starsene, come il sottoscritto, confinato in un angolo, giusto per lasciare spazio a qualche anima errante.
Si, la pausa serve. Ma ci sono anche i due vecchi sulla panchina vicina, che dopo un lungo silenzio innaturale, hanno rotto gli indugi e, alla buon'ora, si son messi a parlare. Maledizione, non ci riesco a farmi gli affari miei.
Per favore, Iddio Santissimo. Anche se ti reclamo praticamente mai, per via della schiavitù da materialismo dialettico, Iddio Santissimo, dimmi che non diventerò così lamentoso. Mica chiedo di non lamentarmi, idiozia. Dico semplicemente di poter mantenere almeno una parvenza di tolleranza verso il resto del Mondo prima dello stato cinereo.
La loro litania parte verso i bambini. A parte i cani e i piccioni, qui sono l'unica cosa che si muove ad un'andatura non ospedaliera e che abbia un suono decisamente vitale. Ma il lamento numero uno è verso i Bambini con la B maiuscola: rompono tutto. Il lamento numero due colpisce il mondochecambiaenoipurtroppodobbiamoadattarci. Meno male, direi, pena l'estinzione anticipata. Ma mi sembrano in gran forma, buon per loro.
Sembrano quasi la fotocopia l'uno dell'altro, ma si passano 7 anni. Quello che ne ha 79 non smette di parlare un momento, quello di 86 non sembra così rassegnato. Il più giovane è anche quello che filosofeggia e si lagna di più, è un vero leader. Sventola la tessera che gli consente di viaggiare gratis in tutta Italia, sembra essere fiero del fatto che non paga una lira. Ma dice d'avere una casa con salone doppio. Nessuno dei due è stato sposato, e alcune cose inizio a spiegarmele. Il più vecchio ha la badante, la paga 1150 euro e le versa pure i contributi. Forse avrà pensato che sono della Finanza.
"Ah, lei ha l'ora per ritirarsi", dice il più giovane, mentre il più vecchio si alza e lo saluta augurandogli di rivedersi. Passa qualche minuto e pure il più giovane se ne va.
Accidenti, fine del film. Mi tocca lavorare, penso.
Non è vero.
Arrivano con passo sicuro e si conquistano la panchina. 
Se i vecchi mi sembravano due fotocopie, questi due ragazzetti sembrano gemelli siamesi. Capelli scuri a spazzola, identici. Jeans, identici. Gilet nero, uno col cappuccio, l'altro senza. Occhiali da sole con lenti a specchio, identici. Uno ha la maglietta viola a righe orizzontali, l'altro ha una personalità sicuramente spiccata, perché ha scelto una maglietta viola a righe verticali. Orecchino identico, e solo a sinistra. Se ne stanno stretti stretti uno accanto all'altro. Se non riconoscessi la risata scema e lo sguardo malizioso con cui accompagnano il fondoschiena della signora che spinge il passeggino, direi che sono fidanzati.
Maledizione, parlano una lingua che non conosco, sembra slava.
E il sole se n'è pure andato dietro i tetti.

01 marzo 2012

FUTURA

A 12 anni mi sembrava immensa, Torino. Quando d'estate mio padre mi portava con lui a Mirafiori Sud, per consegnare i materassi a fine giornata, già quel viaggio da via Frejus era una gita e arrivare nelle strade attorno a via Togliatti era come cacciarsi dentro un labirinto.
Quella domenica di metà settembre, però, la gita a Italia '61 l'avrei ricordata a lungo.
Il pomeriggio non finiva mai e ad ogni ora il parco si riempiva di gente. C'era la Festa Nazionale dell'Unità ma non era quella la vera attrazione. Io mi stringevo fiero alla mia piccola sacca rossa e blu da marinaio, con i panini e tutto quello che mi sarebbe servito per sopravvivere lontano da casa. Ricordo che la  sopravvivenza era anche legata alla presenza di mia sorella: con i suoi diciott'anni compiuti da pochi giorni, e con i suoi superpoteri, riuscì a difendermi da alcuni bulli. Insomma, mi sentivo al sicuro, anche quando la mia sacca, nella calca della folla, si allontanò pericolosamente da me e io a stento la trattenni per la corda come se fosse la mia ancora. 
Forse è stato quel giorno di settembre che ho perdonato sul serio mia sorella. A maggio Bob Marley se n'era andato per sempre, ed era colpa di mia sorella se mia madre, l'anno prima, mi aveva impedito d'andare al Comunale per il suo concerto: "mamma! Non sai cosa si fumano a quei concerti!". Aveva fatto il suo lavoro, mia madre, e mi aveva detto che ero troppo piccolo.

Ma quella domenica era finalmente arrivato il giorno del mio primo concerto.
Era il 13 settembre del 1981.
E Lucio Dalla cantava solo per me.

24 febbraio 2012

TANTO PE' CANTA'

"Le mie gambe tra le tue, le tue gambe tra le mie, fanno mille porcherie".
Jeans stretti a fasciare gambe che a me sembrano rachitiche, piumini esagerati e fuori luogo sotto il sole di questo pomeriggio, capelli corti. Qualcuno ha la pelle chiara, qualcun altro proprio scura.
Già tanto se fanno settant'anni in quattro, marciano occupando tutto il marciapiede. Ma hanno l'andatura troppo gentile per far credere che siano dei duri.
Forse è tempo di crisi anche per i b-boy, vai a sapere, o forse sentono anche loro la primavera.
Friccico ner core.

20 febbraio 2012

SQUADRA GRANDE

Certo non è la serata epica della sedia sollevata dal Mondo allo stadio di Amsterdam, ma al tifo questo non importa. E non è nemmeno la semplice vittoria, ché un pareggio non avrebbe scandalizzato nessuno. E' stata, invece, la corsa continua per novanta minuti, la traversa del capitano, il pareggio subito con un gran tiro nell'unico vero momento di distrazione. E poi quel gol finale, da non crederci.
"Te lo ricordi? Lo abbiamo visto settimana scorsa in metro".  
Non sono un tifoso modello, nemmeno riconosco i calciatori della mia squadra, quelli di adesso mi sembrano tutti uguali. Ho tante immagini in testa, ma sono rimasto fermo ai gemelli del gol. Uno dei due rischiò pure di investirmi con la sua Mercedes verde metallizzato, mentre inseguivo un autografo al termine dell'allenamento al Filadelfia.
No, non sono il tifoso modello. Ma almeno sono tra quelli che dicono "abbiamo" perso.
Mi tornano in mente alcune fredde mattinate durante le scuole medie. Il nostro insegnante d'educazione fisica si era congedato da poco dal servizio militare. Talvolta era invasato da un furore machista ai limiti della denuncia. Un giorno ci obbligò a fare le flessioni mentre lui teneva fermo un cacciavite sotto le nostro pance, per impedirci di toccare il pavimento. Quando non pioveva ci portava fuori a giocare a rugby, se così si poteva definire quella corsa selvaggia dietro l'ovale. Ma d'inverno l'unico regalo arrivava nei dieci minuti di fine lezione, quando ci faceva mettere a terra, ci divideva in due squadre, buttava un pallone nella mischia e ci faceva scannare a calcio-seduto. Un surrogato per far sfogare gli ormoni nello spazio angusto di una palestra.  Altroché calcetto, quello ancora non era nato.
L'eroe di questa serata ha segnato il gol praticamente da seduto, come facevamo noi ragazzini. E prende pure la metro.

14 febbraio 2012

UN BACIO A FIRENZE

"Antonio è un bel ragazzo, vive in una bella casa, è ricco. Potrebbe fare altro ma ha deciso di buttarsi sul gossip".
Il tavolino è squallido come il salone in cui ci troviamo. La sedia è quella che ho scartato io, perché rotta e non avevo voglia di rischiare uno strappo ai pantaloni. Ma lui riesce a sedercisi come se fosse ospite di un talk show, accavallando le gambe verso di noi. Parla, parla, parla. Il suo computer è aperto e lo usa come batteria per il telefono. Faccio fatica a sentire quel che mi interessa davvero, perché lui parla a quel volume tipico delle persone che vogliono farti sapere gli affari loro, ché se lavorano per la tivù dovrebbero interessarti ma a me proprio no. E con quella grossa sciarpa al collo non posso confidare in un improvviso mal di gola. Al tavolo a fianco si stringono alcuni vecchi, si fanno compagnia e si tengono al caldo.
La stazione di Santa Maria Novella è ancora ferma negli anni '40, con lo stile razionale tipico dell'architettura fascista. Il nostro bar si affaccia sul rinascimento ma credo sia arrivato negli anni '70, anche se la sua insegna è assai più recente. Solo il Mc Donald's, affollato di giovani cinesi delle periferie pratesi, sembra il futuro più scontato.
Anche se non c'è più sorpresa, Firenze riesce sempre a stenderti a terra: l'immensa cattedrale, l'immenso campanile, l'immensa torre di piazza della Signoria. Fosse pure un giro di poche ore, come il nostro, varrebbe comunque lo sforzo del viaggio. Per non parlare del lampredotto, da mangiare rigorosamente in piedi, al chioschetto del mercato vecchio.
Eppure, quello stesso mercato oggi mi mette tristezza: vecchio, con le stesse cinture e le stesse magliette da decenni. Nell'ombra dei palazzi che lo stringono, è l'unica zona dove senti l'aria gelida, che forse serve a conservarlo sempre uguale a se stesso.
Il nostro treno sta per partire.
Alla radio sento gli Eurythmics. Non è "1984", ma è come se lo fosse.

10 febbraio 2012

GRAN MILANO

"Come sta tuo sorello???", urla con voce roca mentre infila la faccia nel cestino dei rifiuti che c'è in cima alla scala della metropolitana.
"Beeeneee", gli fa eco l'altro, ciondolando e urlando pure lui nel cestino diametralmente opposto. Arrivo da Piazza del Duomo, o forse vengo da un posto più lontano.
La stazione ferroviaria più bella d'Italia si affaccia sul viale più triste e anonimo d'Italia. E dire che a due passi ci sono la sede della Regione e un importante albergo, di quelli che al bar ti presentano un conto che vale come la percentuale del business che hai appena concluso al tavolino prima di tornare sui tuoi passi e riprendere il tuo treno.
Sulle cime dei primi palazzi visibili, qualche grande insegna luminosa è stata rimossa e qualche spazio pubblicitario aspetta un compratore. Per strada ci sono ancora i cumuli della neve di settimana scorsa. A Berlino ti sentiresti dentro la storia del socialismo reale, in questo rettilineo di Milano tiri dritto e c'è poco da pensare.
Il freddo punge e mi chiedo se le coperte che nascondono due disgraziati sotto i portici siano sufficienti a riscaldarli. Nessuno può vedere le loro facce, nemmeno le poche persone che forse entreranno nella agenzia interinale a un metro dal loro riparo.
Alla prima traversa a sinistra lascio il viale. C'è un grande negozio di intimo all'ingrosso, o almeno a me sembra un ingrosso. Forse per via di quegli enormi manifesti con reggiseni pronti a scoppiare.
Bolzano, Berna. E poi altre insegne di alberghi che negli anni '70 dovevano essere moderni. Al fondo della via c'è pure una chiesa in stile neogotico schiacciata da due palazzi senza rispetto. Il cartello che riesco a intravedere, a fatica, dice che è un santuario. Addirittura.
"Pamela" ha chiuso e s'è portata via l'adesivo del suo nome, lasciando solo un'impronta sulla vetrina grigia. Non è il solo negozio d'abbigliamento ad essere morto qui intorno. Ma "Vaghissime Romantiche Donne" resiste, vai a capire perché. Forse la scritta outlet, o forse quella dei saldi.
Chi non c'è l'ha fatta è "Good Bye": dopo 43 anni cessa per sempre. E il destino forse non è stato nemmeno così avverso come si poteva presagire fin dall'atto di fondazione.
Un'impresa immobiliare della zona cerca di farsi notare e prova a vendere qualunque cosa. Appartamenti? Ce l'ho. Negozi liberi? Ce l'ho. Negozi affittati? Ce l'ho. Posti auto? Che domande.
In mezzo a questa agonizzante decadenza, c'è qualcuno che restaura un intero palazzo. In bocca al lupo, magari hai ragione tu. Io torno verso la Centrale per pranzare.
Il vecchio tram giallo sotto il Pirellone dovrebbe ricordare San Francisco. La Chinatown milanese, e adesso la chiama così pure Google, è un po' distante da qui. Ma l'amica avvocato, torinese trapiantata, mi conosce bene e, anche se oggi non può tenermi compagnia, mi indirizza verso i cinesi della zona. Non un posto qualunque, figurati, mille metri quadri di "tremendous" buffet. Perché l'è on Gran Milan.

03 febbraio 2012

TORINESI

"Scusi".
Scusi? Iniziamo bene...
"Sa dov'è l'irish pub?".
Ragazzo mio, hai proprio sbagliato il piede. Vabbé che mi avrai preso per un vecchio, perché mi vedi col berretto in testa, il collo irrigidito e l'andatura da automa. Ma è che c'è un freddo che l'altra sera c'hanno fatto pure l'igloo su 'sta piazzarossa che declina lungo il Po. Non c'è bisogno che mi dai del lei, anzi, evita.
Mmmhh, il pub irlandese. E in Piazza Vittorio, poi... Fammi guardare: di qui c'è la Gran Madre, di là la Mole; si, qui a destra c'è un pub e laggiù, sotto i portici della via, ce n'è un altro. Ma son mica irish pub, già tanto se assomigliano ad uno inglese.
"Forse in Corso Vittorio?", mi chiede con accento siciliano l'amico che è con lui.
Ah, tutto chiaro, adesso: studenti arrivati da poco a Torino. Hanno confuso piazza Vittorio (Veneto) con Corso Vittorio (Emanuele II).
Quando daranno le indicazioni per Corso Massimo e Corso Regina, allora saranno torinesi. Doc.

01 febbraio 2012

TIMING

Non che durante il giorno il vestito fosse stato proprio una tortura, soprattutto perché avevo tenuto la camicia vezzosamente senza la cravatta. Ma era il momento per qualcosa di comodo. Così, appena l'ho riconosciuta per caso nel sacchetto in fondo all'armadio, ho provato lo stesso fremito d'un bambino che ritrova un giocattolo perduto da tempo.
L'ho subito indossata e impettito mi sono parato di fronte a lei, tutta intenta a preparare la nostra cena.
"Aahhh!!!Aaaaahhhh!!!Aaaaaahhhhh!!!! Adesso sembri italo-americano davvero!".
Se ne intende, l'americana.
E' tempo che la mia tuta in acetato torni in fondo all'armadio.