29 marzo 2010

QUI

Ode alla democrazia (delirio sibillino)

C'è chi si fa incantare dagli imitatori di un cabarettista da crociera.
E c'è chi si affida al surrogato di un comico taccagno, nella speranza di fermare un treno veloce.
Il treno passerà lo stesso e l'ospedale, giusto lì accanto, sarà sempre e solo buono per le camere ardenti.
La sindrome di Stoccolma, qui, è roba da dilettanti.
Qui i derubati acclamano il ladro e gli offrono pure le chiavi di casa, in cambio del miracolo.
Qui nessuno è fesso, perché è cresciuto mangiando mozzarelle di bufale che pascolano nei prati color verde acido.
Qui sei fesso solo se ti ostini a parlare di regole, di accoglienza, di solidarietà.
Io mi tengo il mio antifurto. Tanto peggio per chi non ce l'ha.

02 marzo 2010

NON HO L'ETA'

Voci del passato remoto

Certo, le tecnologie, soprattutto quelle per non sentirmi lontano: il cellulare, le mail, e poi facebook, e poi skype, gli sms via internet. E le tecnologie che mi aiutano nella quotidianità domestica, anche se il microonde, la carne, prima la cuoce e poi la scongela. O quelle che non mi fanno perdere secondi di inutile fretta al casello autostradale e mi fanno risparmiare qualche grammo di metano nella ripresa. O, ancora, le tecnologie del tempo libero ma non vuoto, quelle che salvano l'opera omnia di Bob Marley nello spazio di un mignolo o quelle che rendono disponibili film d'essai capaci di piegare, o forse anche spezzare, la curva dell'attenzione d'un adulto di buona volontà (ma non certo la mia, di attenzione). E non mi manca nemmeno la curiosità per le tecnologie che trasformano le organizzazioni in soggetti pensanti e, con la sofisticata reportistica della business intelligence, le aiutano a prevedere quel che accadrà dopodomani.
Sono un uomo del mio tempo, insomma.
Solo che il mio tempo non è iniziato ieri.
Quando tutto ha preso inizio, le radio nemmeno sapevano cosa fossero le trasmissioni in stereo e non potevi appoggiare la cornetta del telefono sulla cassa per sapere chi suonasse quel brano.
Carosello non era una frode fiscale sull'IVA, ma semplicemente lo spazio di quel quarto d'ora che, dopo cena, ti divideva dal bacio della buonanotte. Solo la caduta di uno degli ultimi denti da latte avrebbe costituito un valido lasciapassare per rimanere alzati e vedere Giochi Senza Frontiere.
Il gettone non era quello di presenza ad un talk-show, ma solo quel simulacro di moneta intagliata che regalava telefonate interminabili e poi, via via, sempre più brevi, al gelo di un marciapiede buio.
Il confessionale non era una poltrona davanti ad una telecamera, ma solo un mobile angusto, dall'interno del quale un sacerdote somministrava le penitenze ai peccatori che avessero voluto considerarsi tali ai suoi occhi.
Tra le poche cose che mi degno di spolverare con dedizione, ci sono alcune consuetudini che erano già ampiamente in uso al tempo del mio Big Bang.
La moka.
I jeans a vita alta.
Il pennello da barba e poi il Floid a fine rasatura.
Le candele.
Le lettere scritte a mano.

“Mi scusi. Dove ha comprato quel giubbotto?”.
Osservo il ragazzino che mi ha fermato per strada mentre sto pagando il parcheggio.
Guardo il mio chiodo di pelle nera, il tempo non l'ha sfiorato.
Dicembre 1992, New York, settima Avenue.
E' proprio il momento di farlo tornare di moda.