11 giugno 2009

Ad un'amica che non c'è più



Avrei dovuto capirlo, forse era un segnale.
Appena uscito dal cinema, mentre tornavo verso la macchina, il telefono mi era sfuggito dalle mani. Uno schianto forte, non so come abbia fatto a non finire in pezzi. Avevo provato a riaccenderlo ma non c'è stato niente da fare: il monitor era andato, il telefono inutilizzabile.
Non era gran cosa, ma mi era costato una cifra, forse per via delle sue ridotte dimensioni.
Da qualche tempo mi chiedevo per quale strana ragione non si fosse ancora rotto. In genere, ho un pessimo rapporto con i cellulari, non mi durano quasi mai più di un paio d'anni. Questo aveva già sfondato ogni record.
Lo conoscevo a memoria, scrivevo i messaggi praticamente ad occhi chiusi, anche se il suo t9, quella geniale invenzione del completamento automatico delle parole, era assai deludente. Niente a che vedere col telefono attuale. Mi tiene compagnia da un mese e il suo t9 ha un vocabolario ricchissimo. Conosce i nomi delle città più disparate e si lascia addomesticare facilmente, consentendo l'inserimento di sempre nuovi vocaboli. Ha una discreta memoria, poiché si rammenta di tutte le ultime parole digitate.
Immagino che dove sei tu ora ci sia sempre la neve e immagino che tu possa sempre sciare, anche in piena estate.
Non lo so se nel posto dove tu sei adesso usiate il cellulare e, tantomeno, il magico t9.
Ma ieri, mentre stavo scrivendo "momenti", il t9 ha fatto tutto da solo e ha scritto "Mondovì".
Sono sicuro che lo avresti apprezzato, Silvia.
Lo sapevo che quella notte stava iniziando a succedere qualcosa ma non avevo voglia di pensarci. Il vecchio cellulare era volato via dalle mie mani e io non potevo più usarlo. Cazzo, lo sapevo che era un segnale.
Avevo conservato l'ultimo messaggio che mi avevi mandato, tanti mesi fa.
Dicevi: "Ti prometto che se guarirò mi innamorerò di te".
Di tanto in tanto andavo a rileggerlo e sorridevo a quel tuo scherzo, tenendomi dentro le lacrime.
Va bene una bugia innocente.
Ma perché due.
Perché...