24 dicembre 2009

LUI

Come diventare buoni?

Lui non direbbe le parolacce.
Gli piacerebbe spalare la neve mentre piove a dirotto. Perché la neve diventerebbe più pesante e Lui potrebbe faticare di più.
Non vedrebbe l'ora d'addobbare l'albero, dopo aver non solo dipanato la matassa delle luci, ma anche dopo averle riparate con perizia chirurgica (perché costeranno pure un'inezia le luci dei cinesi, ma l'interruttore multi funzione, al suo interno, è saldato in ogni angolo e se un filo, per mala ventura, decide di rompersi...).
Lui, adesso, non sentirebbe i morsi della fame, perché non avendo famiglia, e tanto meno una famiglia meridionale, non dovrebbe aspettare l'ora dei lupi per cenare.
E poi non potrebbe nemmeno cenare tardi, Lui, perché lo aspetterebbero le renne, e i camini e i bambini di mezzo mondo,
Ma io non sono Lui.
Le dico, le parolacce. E ne creo sempre di nuove, ché di ragioni non me ne mancano di certo.
Poi, però, vedo gli occhi di mio nipote. Sale su nella mia camera e con voce dolce mi avverte che tra un po' la cena sarà pronta, la tavola è già stata apparecchiata. Ha in testa un berretto rosso col pon-pon bianco.
So già come andrà finire.
Starò muto, e non solo per non dire le parolacce. Forse un po' bofonchierò.
Ma, alla fine, andrò a rovistare nell'armadio, e indosserò il mio vestito di panno rosso.
Ancora qualche anno e non servirà nemmeno più la barba bianca.


23 dicembre 2009

LAGGIU'

Non tutto il Mondo è paese

Laggiù, fra qualche anno, faranno le Olimpiadi.
Son pieni di contraddizioni, tanta miseria e tanta ricchezza da far schifo. Un Presidente che ha fatto davvero l'operaio, mica solo sui cartelloni pubblicitari; e la polizia che, tra le baracche, conosce solo la legge della propria impunità di fronte alle violenze commesse.
Laggiù la crescita corre ad un ritmo impressionante, schiacciando senza troppe remore i disperati che non riescono a stare al suo passo. Insieme a Russia, India e Cina, laggiù provano a dettare nuove agende economiche al resto del Mondo. E l'Europa osserva immobile.
Laggiù è appena iniziata l'estate, non sanno cosa sia la neve, l'acqua ghiacciata nei tubi, le autostrade bloccate, gli scambi dei treni gelati.
Laggiù gli aeroporti funzionano e quando fa caldo non si lamentano per l'afa.
Per cui, se un amico è appena rientrato dal Brasile per qualche giorno di vacanza e ti telefona, è meglio non iniziare la conversazione senza salutarlo e dicendogli: "Si, ora è proprio Natale".
Perché ti manderà a quel paese.
Senza sapere che tu, in quel Paese, ci sei già.


26 novembre 2009

GENERAZIONE_P

Perché uno mica se lo può dare

Il giorno in cui lo sentirò lamentarsi, sarà il segnale della fine imminente.
Osservando la sua determinazione quotidiana e silenziosa, ho iniziato ad odiare sempre più le persone che si lamentano.
Avrebbe mille ragioni per lagnarsi. E altrettante per guardare al futuro con preoccupazione.
Ma la paura sembra non sfiorarlo, preso, com'è, dal presente delle sue giornate in salita.

Forse dovremmo fare qualche passo indietro, non trovi? Non lo so, quest'idea di cambiare città, il trasloco, e gli amici, dovrei far vendere la casa di nonna. Ho sentito un tono risentito nella sua voce, sembrava avercela proprio con me, forse ha ragione mia moglie. Sono almeno tre giornate di formazione, non vorrei perderle perché lui pensa che sia una questione personale. Forse è Dio che ha voluto così. Non trovi che servirebbe un approccio meno diretto? Mia moglie forse capirebbe, ma i ragazzi? Sono vecchio, non mi puoi chiedere questo, sei sleale. Ho deciso, non posso perdere quest'occasione: riscrivo il finale, la gente vuole ridere. Se lo sapesse mio padre, sarebbero dolori. No, ancora non gli ho parlato. Chi lo sente, poi? Forse dovrei essere sincera, mio marito non lo amo più. Ma come farebbe senza di me? E' il mio destino. Ho attraversato velocemente la strada, quasi finivo sotto il tram. Spero non m'abbia vista. Cosa ne vuoi sapere tu? Tanto poi il mal di pancia me lo prendo io. Anni, e anni, e anni. Non l'ho fatto prima, adesso è tardi. E' già andato via altre volte, ma cosa potrei fare io da sola?

Paure.
Paure.
Sempre e soltanto paure.

Lo capisco, qualcuna ce l'ho pure io.
E' un'altra la domanda che mi faccio.

Com'è possibile che tra noi nuovi adulti il coraggio sia diventato una merce così rara?


13 novembre 2009

CYNARA SCOLYMUS

Incontri

Vado per la mia strada.
Guido un caterpillar.
Potrei tirare dritto, invece la curiosità mi ferma.
Un campo di carciofi.
Scendo.
Ne prendo uno.
Inizio a togliere le foglie, facendo attenzione.
Lo sapevo.
Dentro è diverso.
C'è il cuore.

Si, potrebbe essere un buon soggetto per un sogno.

07 novembre 2009

RIEN NE VA PLUS, 2

Scegliere è una scommessa

Certo e incerto, si.
E poi?

Penna / Tastiera
Autostrada / Provinciale
Roma / New York
Spaghetti / Risotto
Sagra / Mostra
Neve / Sabbia
Camicia / T-shirt
Film / Libro
Giarrettiera / Gambaletto
Vino / Birra
Cerchio / Quadrato
Televisione / Radio
Sopra / Sotto
Auto / Bici
Luna / Sole
Doccia / Vasca da bagno
Più / Meno
Lettera / Telefono
Rock / Soul
Cintura / Bretelle
Ieri / Domani

Insomma: rosso o nero?
Prego.
Ma che sia il vostro, di gioco.

03 novembre 2009

RIEN NE VA PLUS

Fare il proprio gioco

Basta alzare lo sguardo di pochissimo per notarla, è sempre lì, proprio davanti al naso. Non serve particolare sforzo per prenderla, occorre solo allungare la mano.
Calda e accogliente al tatto, la sua forma rassicurante e la sua sola presenza potrebbero già rappresentare una sicurezza duratura.
Oppure si può rimanere ad occhi chiusi, e girare su se stessi per provare a capire da dove arrivi quel suono appena percettibile, domandarsi cosa sia. Aprire un poco gli occhi e intravedere prima una sagoma dai contorni sgranati, poi un'immagine nitida, pronta a scomparire l'istante successivo. Non è facile intuire se dietro quegli spigoli (perché erano degli spigoli), si nasconda una linea morbida. Si può solo scommettere che sia anche in grado di trasmettere calore, poiché a quella distanza i raggi non bucano l'aria.
Perché, allora, respingere una cosa certa per una incerta?
Per la stessa ragione per cui tifo Toro.

31 ottobre 2009

A VOLTE, RITORNO

Case sparse

Che poi io, a Roma, c'avrei anche una casa.
No, non ad Anzio, dove pure ha messo radici una piccola ma significativa testimonianza della diaspora familiare.
No, proprio dentro i confini della cinta daziaria. E senza nemmeno l'obbligo di presenziare alle assemblee condominiali: ci va il padrone di casa, e non mi dice cosa s'è deliberato.
Quanto odio, per Roma. E quanto amore, non corrisposto, per la città che potrebbe essere ma proprio non vuole. Non mi si venga a parlare di contraddizioni della metropoli, ché mica vengo dalla campagna e qualunque città, ontologicamente (lo posso dire?), è lo scatolone dove trovi tutto e il suo contrario. La mia amante dorme e io vorrei scuoterla dal suo torpore. Come ogni innamorato che non conosce ragioni.
Se muore un Papa, e si buca una gomma prima del Raccordo invaso da autobus di fedeli in lacrime, posso essere certo che il padrone di casa non si sveglierà per il mio arrivo nel bel mezzo della notte, ché tanto ho le chiavi e non devo suonare il citofono.
La mia stanza sta al primo piano. Devo solo sperare che non ci sia vento, altrimenti dovrò convivere col suono di qualche fottuta campana tibetana.
Da qualche tempo, nella mia casa, è arrivata una donna importante. Ha portato con se alcuni gatti, si è accucciata tra le braccia del padrone, diventandone la sua Regina, e attende, con la rassegnazione che si concede ai matti, le mie invasioni improvvise.
Jako, amico mio, sto arrivando.
E' un po' che non parliamo, io e te.

26 ottobre 2009

ANTROPOLOGIA DA DUE SOLDI

Perché, in fondo, vogliamo tutti la stessa cosa

Osservi da lontano, e pensi: non abbiamo niente in comune.
Certo, l'educazione vi porta a salutarvi, soprattutto in presenza di amici comuni. E poi qualche parola di circostanza, magari sulle condizioni meteo o, ancor peggio, sui vostri rispettivi lavori.
Così decidi che stavolta vuoi giocare, tanto nemmeno se ne accorgerà (e lo dici tra te e te, con quella spocchia presuntuosa che irrita i tuoi migliori amici, figurati gli altri).
Per piccina che essa sia...
E ascolti respirando profondamente, socchiudi un poco gli occhi, fai cenni con la testa, appena percettibili.
E' fatta. Hai bucato lo schermo e ora il suo cuore respira attenzione.
Per piccina che essa sia, è pur sempre empatia.
Esperimento riuscito. I vostri mondi rimarranno lontani anni luce, nulla avrete davvero da condividere. Sarà pura illusione ottica. O inganno.
Prima o poi dovrò uccidere il piccolo venditore di kapok che tengo prigioniero sotto lo sterno.

24 ottobre 2009

PASSIONI AL BUIO

Due amori nella stessa sera

Mille e uno i validi pretesti per odiare.
Ma c'è una cosa, sopra tante altre meritevoli, che odio con furore cieco: entrare in sala al cinema quando il film è già iniziato. E non parlo mica di minuti. Figurati, mi basta perdere anche solo i primi titoli di testa per provare un reale fastidio.
Benedico il semaforo dietro casa, mi dà il via libera appena gli passo accanto. E mi compiaccio del mio intuito di cacciatore d'asfalto, per aver scovato la scorciatoia libera dal traffico. Mancheranno ancora 500 metri e un quarto d'ora alla proiezione. La pianto di stressare l'acceleratore e divento improvvisamente sereno: in genere, quando arrivo da 'ste parti, riesco sempre a trovare un buco per parcheggiare. Dopo un paio di chilometri la serenità non ricordo più nemmeno cosa sia. Si, vabbé, chiaro che è giovedì sera, epperò è ancora presto e non sono così vicino al girone di Piazza Vittorio, non riesco proprio a capacitarmi di tutto 'sto casino. Capacitarmi? No, balle, sono proprio incazzato. Arrivo in via Rossini e la mia rabbia monta. Ora m'è tutto più chiaro: sono andato a sbattere contro la fottuta congiunzione che ha riempito, nella mia serata, l'Auditorium della Rai e il suo dirimpettaio Teatro Gobetti. Si, ora hai voglia a cercar parcheggio dalle parti del Massimo. M'allontano, ma non c'è verso. Torno su Corso San Maurizio, sfido pure la paura di fare incontri imbarazzanti, che non saprei come gestire, a maggior ragione stasera, quando il mio unico desiderio è quello di non incrociare anima conosciuta e godermi nella pace più totale un film che ho già amato e che ora posso finalmente apprezzare con le sue voci originali.
Due ore e un quarto di pellicola convincono i gestori della sala a programmare l'ultimo spettacolo alle 21.30, orario assai apprezzato da chi finisce di lavorare tardi e vuole rientrare a casa prima che la carrozza ritorni zucca. Ed è pure apprezzato, in genere, perché ti evita le corse da infarto.
Niente da fare, l'orologio avverte che mancano tre minuti all'ora X e io sto ancora battendo i pugni contro il volante, manco la colpa fosse sua. Mi vergogno, i miei principi iniziano a vacillare: ma inizio a pensare che, per un volta, potrei mettere da parte il mio snobismo di maniera ed entrare in sala a film iniziato, ché tanto questo l'ho già visto. Non saprei come chiamarla, se non disperazione, e forse è proprio lei a lanciarmi il segnale atteso. Eccolo lì, bello e servito il mio parcheggio. E proprio nella zona rossa degli incontri non graditi. Al diavolo, adesso ho solo voglia di correre.
Maledico pure a via San Massimo, ché la salita l'avrei evitata volentieri. C'è la fila, ma quando chiedo alla cassiera il mio biglietto sto ancora ansimando. La guardo e vorrei sotterrarmi, perché è pure carina.
Faccio le scale di corsa, sono le 21.35.
Miracolo.
Le luci in sala sono ancora accese, mi tolgo la giacca e prendo posto.
Il piede inizia a battere, partenza.


Girl I want to be with you all of the time
All day and all of the night


Benvenuti sulla nave dell'amore, Radio Rock...


14 ottobre 2009

MONDI INTORNO A UN TAVOLO

La sera prima di un esame

Hai voglia a dire che non sono nervoso. Ho inseguito questo appuntamento per mesi e ora il momento è arrivato, non c'è più tempo per scherzare. Certo, non mancano le ragioni per essere ottimisti, abbiamo argomenti validi a sostegno della nostra proposta. E non manca una certa dose di incoscienza, il desiderio di spiazzare tutti con la finta ingenuità del teorema che andremo a dimostrare passo dopo passo. Ma adesso posso negare di sentirmi gli occhi addosso e di avvertire il peso reale della responsabilità? Io, che non brillo per indole diplomatica, che cerco cause perse in partenza per poterle difendere senza successo; io che ho buttato all'aria impieghi tranquilli solo per non aver saputo ricacciare la lingua in gola e non essere stato capace di vegetare fino al ventisette del mese senza far sentire i miei capi dei coglioni in situazioni importanti? Dovrei essere io quello che va a far esercizio di moderazione? Io, che vedo re nudi dappertutto, dovrei essere quello che imbastisce la trattativa per arrivare al compromesso e portare a casa un risultato magari modesto ma tangibile? Avanti miei prodi! E, se indietreggio, fucilatemi! Oh, si fa per dire, miei prodi... Che è 'sta mania di prender tutto alla lettera??
“Prof... si, io ho preso la sufficienza per tutto l'anno... si, a me è piaciuta eccome la biochimica... si, certo, eravamo solo in tre su ventitré ad avere la sufficienza... e tra gli altri venti ci sono delle belle teste, gente che ha 7 e 8 in tutte le materie... si, insomma... forse hanno ragione anche loro, no? Forse anche lei prof, forse avrebbe dovuto...”. Meno di dieci giorni e la tabella degli scrutini dice che sono stato rimandato in chimica. Diamogliela un po' la lezione al pivello che non ha ancora imparato a guardare solo il suo pisello e a stare muto. Risultato di tanto sforzo pedagogico? L'anno successivo mi sono candidamente rifiutato di studiare un paio di materie a caso, e italiano e latino facevamo proprio al caso mio. “Signor Spedalieri, Denis è stato l'unico a prendere l'insufficienza all'interrogazione programmata di latino. Quella programmata, Signor Spedalieri, cioè... sapeva in quale giorno sarebbe stato interrogato...”. Nemmeno giorno il giorno del colloquio con il prof. mio padre ha trovato la forza di fucilarmi. Forse sperava che potesse levargli l'imbarazzo, di lì a qualche mese, il mio compagno Vittorio. A cinque minuti dalla campanella di una normalissima fine giornata, il prof. d'italiano ci chiama per vedere se avessimo almeno un'idea pallida di chi fosse Foscolo. Stava quasi per freddarci, quando la campanella gli ha bloccato la mano e lo ha reso clemente: “va bene, ci vediamo domattina e riprendiamo dalle Grazie”. Ricordo un piacevole pomeriggio e ricordo che Foscolo non venne a trovarmi, nemmeno in sogno. Al mattino seguente, come volevasi dimostrare, scena muta. Il prof, infuriato, manda tutti a posto, Vittorio compreso. Non era certo uno studente modello, Vittorio, tutt'altro. Ma lui, almeno quella volta, la lezione su Foscolo se l'era preparata per bene e, incolpevole, era stato sotterrato nei Sepolcri insieme a me. Meno male che negli anni successivi si è trasferito a Londra e non è diventato magistrato, altrimenti sulla mia testa ancora penderebbe un mandato di cattura internazionale.
Penso al plotone d'interrogazione che dovrò ammaliare nelle prossime ore per portare a casa il nostro agognato progetto. Si, è una missione possibile, ma io sono nervoso e me ne sto in ascensore con il mio fascio di pensieri ingombranti. Il papà di Antonio viene ad accogliermi sulla porta di casa, lo saluto e corro subito in cucina, dove la mamma sta preparando la cena con una signora peruviana (di cui non riesco ad afferrare subito il nome) e una ragazza nigeriana, Antonia, alle prese con un piatto di riso alla maniera del suo paese. Antonia ci tiene a fare bella figura e questa cena, quasi all'ultimo minuto, è stata organizzata per presentarcela e darle la possibilità di dimenticare, almeno per una sera, i guai che una legge inumana e insensata sta creando a lei e a tante persone nella sua stessa condizione.
Lascio le cuoche ai loro affari e raggiungo Antonio in sala da pranzo. C'è Jeffrey, il figlio di Antonia, e avvicinandomi riconosco già sulle sue piccole mani il profumo inconfondibile di Silvia, che lo sta tenendo in braccio dopo una giornata di lavoro trascorsa al nido a tenerne in braccio sicuramente almeno un'altra dozzina. Non ho ben capito se Jeffrey stia per Jefferson o Jeff, e nel tentativo di seguire profumi e sensazioni mi sono perso il cognome. Forse è Mills, come uno dei padri afroamericani della musica techno. Quando non sta in braccio a Silvia per farsi grattare i capelli corti e crespi, Jeffrey corre veloce attorno al tavolo, costringendo Antonio a spostarsi in continuazione per impedire che il bimbo si stampi contro la sua carrozzella. Con tutta l'energia e l'ovvia innocenza dei suo 17 mesi, non sa che quella che ruba dalle ginocchia di Antonio non è proprio una palla per giocare. Butto l'occhio sulla scrivania e vedo uno dei libri di Shakespeare per i quali Antonio deve scrivere un'introduzione. E sorrido di nascosto pensando al pomeriggio che gli feci buttare un paio d'anni per aiutarmi a tradurre una roba ai limiti del comprensibile, che non mi serviva nemmeno direttamente, ma... lasciamo perdere.
A metà cena ci raggiunge Fernando, peruviano pure lui e presenza, che pur ridotta rispetto alle intenzioni, è insostituibile al fianco di Antonio. Sorridente, con modi sempre più aggraziati, quasi a non volersi più nascondere almeno tra persone fidate, scherza con Antonia dicendole che la sua pettinatura gli ricorda Hello Kitty. Ha con se peperoncino fresco e mais fritto. Sulla stessa tavola, oltre alle bottiglie di barbera, ci sono già il riso nigeriano, del pollo, il polpettone, l'insalata di carciofi. E poi arrivano olive, caciocavallo, uva e torta.
Jeffrey passa tutta la serata sulle gambe di Silvia, mette le mani su qualunque cosa che sembri anche solo lontanamente mangiabile, porta alla bocca la metà di quello che transita sotto i suoi occhi e l'altra metà la spalma sul tavolo o la scaraventa con precisione a terra. Nonostante le apparenze contrarie, esaurisce le pile ed entra all'improvviso nello stato semi-catatonico che precede per qualche minuto la sua nanna più profonda. Salutiamo la famiglia C. e, dopo aver incastrato il passeggino-senza-chiusura in macchina, accompagniamo a dormire Antonia e la sua creatura.
Come al solito, parcheggio la macchina distante, dalle parti del deposito dei tram, e ne approfitto per farmi una passeggiata con le emozioni che mi ha lasciato la serata. Penso che l'eterogenea tavolata di questa sera (si, è triste, ma penso proprio alla parola “eterogenea”, e poi “variegata”, o “composita”), beh si, quella tavolata avrebbe potuto sbeffeggiare la patetica famigliola del Mulino Bianco. E poi penso a delle cose politicamente scorrette e divertenti, che nonostante io faccia finta d'essere un duro, non voglio mettere qui, nero su bianco (o bianco su nero).
Quando arrivo a casa, apro il computer e cerco il significato del nome Antonia. “Che combatte, che affronta”.
Ascolto un po' di musica e aspetto che passi la nottata.



Ain't nothing gonna break my stride

Nobody gonna slow me down, oh no
I got to keep on moving



12 ottobre 2009

PERCHE' IL DNA NON PUO' ESSERE UN'OPINIONE

Pensieri sull'ereditarietà genetica

Your captivating eyes
The clever way they smile stops him in his tracks
And add your pretty face you keep him in his place
He'd do anything you ask


Ciondolo la testa seguendo la voce cavernosa di Tom Jones e cercando qualcosa in frigo per la mia cena veloce. Se la mia tosse peggiorasse, nel giro di qualche giorno anche la mia voce potrebbe essere così sexy e le mie quotazioni salirebbero. Allora non mi spiego perché stasera sono andato in farmacia a prendere uno spray ai propoli per la gola e dello sciroppo fluidificante. Vorrà dire che mi terrò la mia voce e farò affidamento su qualche altra arma, nascosta pure a me.

They've broken the mold
More precious than gold
When you're standing there the world disappears


Broccoletti e acciughe. Uffa, mi manca l'aglio, ripiego sullo scalogno.
Si, lo so che il cuoco super figo, quello che aveva vinto pure un pulitzer quando faceva il fotografo, ha bandito dalla sua cucina il soffritto.
Ma io sono volgarmente banale e guardo con sufficienza le donne che si abbattono ai suoi piedi senza dignità. Si, non riesco proprio a capirle: non capisco perché non si abbattano davanti ai miei. Un profeta incompreso.

It would be a crime to ever let you go
He should be inclined to keep you very close
No one else compares you're a cut above the rest
He'd be such a fool if he should ever leave you


Abbozzo qualche passo sulla musica, senza esagerare, ché sto pur sempre tagliando broccoli.
Mai andata via, la mia anima da ballerino nascosto, tal e quale mia madre. E non me ne importa nulla se i movimenti sono sgraziati, conta solo quello strano brivido che sale dalla pancia appena sento per radio una canzone che mi sveglia qualche ricordo. Per radio certo, come mio padre, che la spegneva solo per andare a dormire

“Ha chiesto che musica fosse e poi mi ha detto: mamma, voglio fare danza hip-hop!”.
Oggi pomeriggio ascoltavo mia sorella al telefono e pensavo che in quel tarantolato di 5 anni c'è la tradizione che avanza.



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09 ottobre 2009

FESSO FORTE

Il futuro dell'Uomo. Nelle prossime settimane

- Bacco, Tabacco e Venere saranno dalla vostra parte. Si prevedono serate infuocate.
- Grazie a uno sguardo complice a letto non avrete nessun problema.
- Sarete abbagliati dalle performance di chi vi ama.
- Sarete abili conquistatori.
- Si prevedono serate piccanti, soprattutto nei venerdì del mese.
- Sarete un vulcano in piena eruzione.
- La sensualità sarà per voi particolarmente elevata.
- Il vostro temperamento coinvolgerà chi vi ama, si prevedono bizzarre emozioni.
- Lo stato d'animo vi impedirà d'esprimere al meglio le vostre potenzialità.
- Maggiore curiosità stimolerà il vostro partner.
- Ogni situazione stimolerà in voi impulsi erotici.
- Raggiungerete soglie di piacere immense.


A parte: gli sfigati che, con amabile eufemismo, non potranno esprimere al meglio le loro potenzialità, quelli che dovranno abbandonare le care vecchie abitudini e coloro che nella coppia rimarranno semplicemente accecati; per tutti gli altri si preannuncia un ottobre di piene soddisfazioni ormonali.
Così, alla voce “erotismo”, dice l'oroscopo di
IL, mensile per soli uomini del Sole 24 Ore. Erotismo, non sesso, ché siam pur sempre un giornale autorevole.
Nove segni su dodici non avranno problemi. E a leggere tra le righe, anche per due dei tre segni meno fortunati ci sono buone possibilità, con un po' d'impegno, di sfangarla pure stavolta.
Capito, care le nostre donne? A ottobre non saremo certo noi a fare cilecca sotto le lenzuola! Tse! Quando mai...
Ah, l'ordine in cui ho riportato le previsioni è assolutamente casuale, ché tanto la differenza è appena percettibile.

P.s. il sottotitolo di
IL è "intelligence in lifestyle". Forse sarebbe stato più onesto parlare di pugnette?

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07 ottobre 2009

LE PAROLE POSSONO PURE VOLARE, MA...

Cose che non puoi perdere

Inizi a sudare, ti agiti più del solito (e già sei quasi iper-cinetico di natura), stramaledici la tua genetica capacità di distrarti in qualunque situazione.
Ti scusi con le persone che erano lì a parlare con te e parti a razzo, corri goffo con quello stupido sacchetto pieno di carta inutile, sperando che in fondo, no, non può essere, chi mai potrebbe, e poi c'è...
E quando, con uno di quei sorrisi per i quali diventi ancora più impacciato, ti restituiscono la malconcia moleskine che avevi abbandonato sulla sedia, quasi non fosse una tua propaggine, quella in cui segni a casaccio numeri di telefono che non riporterai mai su una rubrica, perché sarebbe troppo intelligente farlo, e gli indirizzi più disparati di cose e persone, e le idee meno sensate e i progetti puntualmente più irrealizzabili...
Ecco, a quel punto rallenti il respiro e sorridi anche tu. Ed esci da quella buia sala convegno con la luce negli occhi. Sei convinto che tutto, ora, sia possibile.
Ma proprio tutto.

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29 settembre 2009

VICOLO CIECO

Quando il lavoro diventa un labirinto

Ormai è qualche settimana che ci giro attorno. Ho pure stressato a dovere la mente pensante del gruppo, l'Ingegnere con la G maiuscola, mica solo la I; l'ho costretto a trovare prove e controprove prima alle sue e poi alle nostre comuni intuizioni deliranti, a simulare gli scenari più disparati; ho vestito i panni del vecchio saggio aduso al compromesso meno confessabile e l'ho costretto a metter da parte il suo ingiustificato idealismo giovanile (“ragazzo, vogliamo lavorare nel settore più sporco che esista, i rifiuti... l'ambiente si tutela, ma a parole... su, fa' il bravo...”). Il risultato, tecnicamente parlando, è apprezzabile, ed è il frutto faticoso d'un lavoro lungo, fatto di razionalità, mera opportunità, nasi turati (e non solo per il miasma che sale dalla monnezza). Per me, uno sforzo mentale doppio: formazione (almeno teorica) giuridica, esperienza professionale da consulente per chi deve gestire centinaia di persone e da sviluppatore commerciale (detto in inglese sarebbe più cool) di servizi aziendali altrui... che c'entro, io, col biogas, i piezometri, le medie ponderate, le percentuali d'ossigeno, i cedimenti del fronte di scarico e la georeferenziazione? E chiunque osi ancora dirmi che non c'è niente di più arduo che lavorar con le persone, motivarle, organizzarle, sceglierle, per poi licenziarle, si prepari alla mia selva d'insulti. Ci provi lui a trovare il magico equilibrio tra funzionalità complessa, esigenze politiche, trasparenza, ipocrisia e semplicità di comunicazione.
E si, perché questa roba va spiegata: tutto questo polpettone indistinto deve essere reso una pietanza appetibile, possibilmente già masticata e, magari, anche digerita. Si sa, la nostra attenzione è ridottissima, al terzo minuto d'ascolto iniziamo sbadigliare; e leggendo è ancora più facile, basta chiudere il libro o cliccare la crocetta in alto a destra. Serve il miracolo, lo slogan, la sintesi perfetta. Questa missione ai limiti del sensato ha pure un nome: business writing.
La sostanza non cambia. Da giorni devo trovare quelle poche paroline che convincano i miei interlocutori a investire davvero sullo sviluppo sostenibile, sulla tutela dell'ambiente e, prima di tutto, sulla salute della gente che compra l'insalata. “Lor Signori!! Venghino a me! Ho la soluzione ai problemi che mai vi siete posti, no, nemmeno nei vostri sogni peggiori. Da oggi potrete dotarvi di meravigliosi sistemi gestionali che renderanno un gioco il vostro monitoraggio ambientale (ché lo fate, vero, Lor Signori?) e più pulita la vostra comunque lucrosa attività. Che dite? V'ho conquistati??!”.
Macché, ancora non ne vengo fuori.
Apro il frigo. Patate, zucchine, pomodori, peperoni. Ci sono delle olive, dei capperi, l'origano che non può mancare.
Hai visto mai, cambiando ingredienti...

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28 settembre 2009

VOLO A BASSA QUOTA

Fine giornata a zonzo

Il vecchio restauratore nella sua bottega, davanti all'ormai defunto "cimitero dei mobili", di cui non si vede ancora la resurrezione. E poi Via Cottolengo, Porta Palazzo, l'antico zona franca del "Balon" ma anche un po' Tangeri. E poi, davanti al Comune, più Digos e celerini annoiati che educatori a protestare contro Chiamparino. E le Dr. Martens basse nella vetrina in pieno centro-centro, senza cuciture gialle e senza dover cercare l'unico negozio per soli dark che le importa da Londra. Il "passage" della Galleria Subalpina, con i libri antichi rari del negozio chic, quelli vecchi "dell'ebreo" e quelli che non ci sono più a settembre in piazza Carlo Alberto. Ragazzini bianchi, neri e gialli che saltano con lo skate davanti all'immobile EmanueleFilibertoDucaD'Aosta. Un capannello silenzioso di sparute bandiere della Cisl e della Cgil davanti alla Regione, non si sa perché. Il consueto understament (ché basso profilo non rende l'idea) dell'assessore all'ambiente che fa l'aperitivo al Pastis, e avrà in testa gli scenari futuri del PD piemontese, con la mozione davvero laica che ha preso un bel po' di voti anche nella mia San Salvario meno alternativa. E poi la Chinatown di corso Regina (Margherita, ché noi a Torino i nomi delle vie siam pigri a pronunciarli per intero), solo punteggiata da qualche emporio africano, e il ristorante di cucina wok che propone Barbera d'Alba Superiore. Basta, smetto di sfogliare la città e di passeggiare autisticamente col cellulare in mano. Adesso Al Jarreau urla boogie down nell'autoradio e mi accompagna al supermercato. La Coop, ovvio.

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10 settembre 2009

NO NEWS, GOOD NEWS

Routine di settembre

Non è stato facile. Per tutto il pomeriggio ho dovuto fare i conti con improvvisi colpi di sonno. Nemmeno il quarto d'oro trascorso ad occhi chiusi e con attività cerebrale appena percettibile è bastato. Anzi, è stato come andarsene da un pranzo di nozze dopo aver mangiato due olive come aperitivo.
Non ho intenzione di attribuire colpe alla fine delle vacanze, alla ripresa del lavoro, no. Colpa del fatto che ho ricominciato a dormire cinque ore a notte? No. E' colpa dell'arancino palestinese mangiato a pranzo. Potevo accontentarmi del solo kebab, e invece...
E ora non è facile farsi spazio in questo accogliente ripostiglio che mi ostino a chiamare casa. Ci sono affezionato a queste quattro mura, davvero. C'erano, quando avevo bisogno di loro. E sono pure a modo con i miei ospiti. Ma è più forte di me, le tratto come fossero le mura di una magazzino. Si, credo che un qualunque capannone abbandonato sia oggetto di migliori attenzioni.
Giornali ovunque, scatole di tutte le dimensioni, panni che attendono la lavatrice come la festa patronale.
Pancetta al peperoncino, la solita leggerissima birra belga che beviamo solo io e gli slavi ubriachi del Lingotto, il pane di Eataly, il pomodoro dell'orto, condito con olio e origano. Non so perché lo chiamino origano, quest'erbetta secca. Ne ricordo uno che era buono davvero, origano anche con la g maiuscola. Forse era buono solo perché era stato raccolto per me.
"My life in the sunshine... everybody loves the sunshine".
Il sole è andato da un pezzo, su Radio Capital è finita l'ora di Vibe.
Esco, c'è un amico che mi aspetta.

20 agosto 2009

SARA'

L'alba, in viaggio

Sarà che ieri sera la Ravenna-Orte mi ha ricordato che "micaesistesololasalernoreggiocalabria"; sarà che questa stazione di servizio ha un nome semi-inquietante: Sansepolcro; sarà che rimane chiusa tutta la notte e ora è desolata: pochi in auto come me, qualche camionista, un camper; sarà la zanzara che mi ronza attorno e non vuole uscire; sarà che il gallo qui vicino ha appena cantato e un altro gallo, meno bucolico, ha acceso la radio e ascolta, incurante del mondo che lo circonda, house a volume da pasticca; sarà che il tir alle mie spalle s'è messo in moto, ha acceso i fari e partirà solo quando avrà finito il suo gasolio. Sarà, ma non ho più sonno. Non posso farmi la barba al buio, a meno di non sfruttare i fari del tir, e non posso ancora prendere il caffè, finché il bar non riapre.
Chatwin, in Patagonia, che avrebbe fatto?

12 agosto 2009

UN CORO PICCOLO DI PERSONE

Torino, una sera d'agosto

Non è un semplice luogo comune: la città della macchina, ad agosto, si svuota di macchine e di persone.
Puoi sentire distintamente, dalla strada, i dialoghi di un telefilm alla tv.
Vista dalla sua base, la Mole sembra ancora più imponente e la cupola che sorregge la guglia diventa tozza.
In via Riberi, proprio sotto la Mole, ci sono alcune panchine di pietra. Tutt'intorno non si muove anima, è il deserto dell'ora di cena. Di tanto in tanto si vede un piccione o un turista con la sua digitale.
Mi è sempre piaciuta, via Riberi, perché il resto della città non s'accorge di lei.
È il luogo ideale per un'aggressione immotivata e senza preavviso alle spalle, per un bacio fugace o rubato, per un libro che ti fa ridere dalla prima pagina.
Ora chiudo il telefono e torno a leggere.

11 agosto 2009

VUOI PRENDERE PESO? CHIEDIMI COME!

Elogio del grasso

Io li odio i nazisti dell'Illinois, e mi piacerebbe odiarli dal vero. Ma non vivo nell'Illinois e dalle nostre parti non è neppure semplice trovare un assembramento di nazisti su un ponte, da poter centrare con la macchina a tutta velocità per farli finire nel fiume.
Poiché non voglio che tutto il mio potenziale d'odio resti inespresso, cerco un altro bersaglio, possibilmente facile, ché siamo ad agosto e fa troppo caldo per le battaglie utili e intelligenti.
Trovato il bersaglio. A buon mercato e senza fastidiose implicazioni morali.
Prezzolati da due lire, schiavi volontari di una catena di sant'antonio che arrotonderà solo gli stipendi di chi li assolda. Li vedi ovunque, si moltiplicano come le mosche e i peggiori sono quelli che hanno corpi così sgraziati che ti chiedi con quale coraggio riescano a sfidare il ridicolo e appuntarsi al petto la spilletta con la quale si presentano agli occhi di chi li incrocia: VUOI PERDERE PESO? CHIEDIMI COME.
Se proprio c'è una cosa da chiedergli, è quella di levarsi dalla nostra vista.
Non bastavano i fanatici della palestra o dei fast food finto-salutisti. Non bastavano i propinatori del bisogno indotto d'assomigliare a calciatori impotenti o a modelle secche come un chiodo (al più, dotate di tette anti-gravitazionali).
No, adesso abbiamo anche quelli che ci vorrebbero ammorbare con sostituti del pasto e complessi multi-vitaminici.
Ma ci facciano il piacere!
Fermiamo questo contagio del buon senso e diffondiamo il verbo più ovvio che possa esistere: siamo fatti per mangiare e, possibilmente, pure tanto.
VUOI PRENDERE PESO? CHIEDIMI COME!
Certo, per ingrassare, meglio il culatello consigliato dallo Slow Food che il double-whopper di Burger King. Ma mica tutti possono spendere 90 euro al chilo per leccarsi le dita. Ognuno faccia secondo le proprie possibilità: alla equa redistribuzione delle ricchezze penseremo un'altra volta.
E allora, a colazione, solo biscotti danesi, pucciati nel latte intero.
La fettina piemontese? Solo al burro.
La mozzarella? Fiordilatte si, ma in carrozza.
E se proprio la pizza va fritta, che lo sia almeno nello strutto...
"E ho detto tutto!".

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05 agosto 2009

SAPORE DI SALE

Incontri al mare d'agosto

Solo un'ora e sembrano già inseparabili. Quasi vicini d'ombrellone, non si erano notati per tutto il giorno.
Anche Valeria ha i capelli corti, quasi un caschetto, e gli occhi che ridono, ma è un po' più alta di Riccardo. È riuscita a stregarlo senza malizia e ora lui la insegue ovunque.
Si tuffano tra le onde che increspano il mare prima del tramonto e poi si rotolano insieme sulla sabbia.
Basta un secchiello per farli felici.

03 agosto 2009

C O O O L P A A A A ! ! !

Come nasce un tormentone


Il Mostro ha fatto capolino nella nostra vacanza, inatteso, durante il rito familiare della colazione. Lui, il Senso di Colpa, s'è infilato nelle tazze del latte e minaccia di non andarsene mai più. Il Mostro non è sbruffone, sa quel che dice e mantiene quasi sempre la parola data.
Appena l'ho visto m'ha messo paura, mica storie. E per esorcizzarlo gli ho dato voce, quasi a sfidarlo se non a schernirlo.
"Bom-bom! Bom-bom!!!
C O O O L P A A A A A ! ! !".
Gli avevo detto il fatto suo, forse l'avevo convinto a starsene lontano da quelle 2 innocenti creature. Ma i bimbi moderni, si sa, son svegli come pochi...
"Deeniisss!!! Ci fai Coolpaaa??!".
"Siii! Daaaiii Deeeniiisss!!! Caaantiii Coooppaaa??!".
Miseria, ho creato una dipendenza. Quasi quasi mi sento in...

Tutta colpa del Biafra

Sensi di colpa


A volte eri solo pieno. Oppure avevi solo i pensieri di traverso e aspettavi come una liberazione il momento in cui ti saresti potuto alzare da tavola e startene finalmente per conto tuo.
Ma appena ti lasciavi sfuggire di bocca: "non ho più fame", inesorabile calava la mannaia del senso di colpa. "Mangia! Pensa ai bambini africani che muoiono di fame!".
E non è che tu non ci pensassi, no. È che non vedevi il nesso. Era colpa tua se i bambini in Africa morivano per la fame? No, tu non avevi colpa, era già tanto se sapevi dove fosse l'Africa. Ma l'insinuazione era partita e non sarebbe rientrata: il senso di colpa ti si era appiccicato addosso per sempre. Un'intera generazione rovinata, l'ennesima.
"Paaapaaaà??! Non ne voglio piuù di laattee!!".
"Paaaaaapaaaaà!!!! Nooo laaattee anchiiioooo!!!".
No, non può succedere.
Per un attimo osservi i pargoli, poi ti giri e fissi incredulo il papà. No, non può dirlo. No, non lo pensa nemmeno. Con la sua gaia razionalità, farà semplicemente notare che bisogna bere il latte a colazione perché fa diventare grandi e forti e si possono fare un sacco di cose, tipo correre, saltare e...
"Bevete e basta! Ché ci siamo anche sacrificati noi per lasciarvelo!!".
Non ci credo, non è possibile.
Eccolo che si avvicina minaccioso, a passi lenti e pesanti. Il Mostro...
Bom-bom! Bom-bom!!
. . . C O O O L P A A A A ! ! ! !
Altri 2 innocenti rovinati.

30 luglio 2009

"Doveè macchina Denis??!"

Pronti, partenza...


Pensato a lungo il viaggio dell'anno dei quaranta.

L'idea era una sola: sarebbe stato, a suo modo, davvero un viaggio epico.
Lo avevamo pensato al primo brevissimo tour con la Vespa, quello per andare a Marsiglia, Qualche anno dopo, di ritorno da Parigi e sempre con la stessa Vespa, avevamo spergiurato che l'avremmo fatto di sicuro. Non in Vespa, ci sarebbe mancato altro: troppo pigri, e pure un po' larghi per metterci sullo stesso sellino. Per il viaggio dei quaranta avremmo scelto un comodo (si fa per dire) Land Rover, da comprarsi rigorosamente usato.
Erano pronti anche il nome e l'itinerario: "TORINO-TORINO, VIA IL CAIRO", giro del bacino del Mediterraneo in senso anti orario.
Alla fine, l'anno dei quaranta è arrivato veloce. E senza nemmeno farci pensare, s'è portato via chi quel viaggio, forse, non l'avrebbe apprezzato poi così tanto. Sarebbe rimasta a casa a sbuffare, mentre io e il papà dei suoi piccoli saremmo stati a due passi dal deserto.
Quel viaggio lungo il Mediterraneo è rimandato a chissà quando.
Adesso puntiamo al Mediterraneo di Procida e nel fondo del mio zaino ho fatto spazio per un po' di malinconia.
E' tempo di partire: ci sono due piccoletti che stanno aspettando d'andare al mare...


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23 luglio 2009

Le buche più dure

Tempo di vacanze


Fumi di centrali termoelettriche, fabbriche chiuse per ferie forzate, magazzini giustamente abbandonati, giardini di periferia per nonni soli, silenziosi cimiteri di campagna, ospedali intatti per assenza di terremoto, strade afose di collina, spiagge libere di bicarbonato e mercurio, anguille e zanzare, tram coi finestrini bloccati...

Almeno il progetto di viaggio c'è.

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04 luglio 2009

Mai più senza

Dipendenze

Duomo di Cuneo, canonica. Il matrimonio più lungo di sempre. Me ne sto nascosto mentre Sandro fa le foto. Ci vorrebbe Twitter, ma sembra a terra. Che faccio?

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02 luglio 2009

01 luglio 2009

Tette? E' LA STAMPA, bellezza...

Lanciare il sasso e levar la mano

Errata corrige: il link alla "cartolina" del post precedente è stato rimosso.
Come volevasi dimostrare: un discreto paio di tette pubblicate sul sito dell'autorevole quotidiano nazionale con sede a Torino, vale a dire LA STAMPA, e.... zzzz....... uh??! Dicevo...?
Ah, si.
Indietro tutta, ragazzi. E la foto, ora, è sparita.
Patetico.

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Specchio dei Tempi

Anche LA BUGIARDA si adegua

Ponte Isabella. I fiorellini, il Po, la Mole Antonelliana.
E io sarei pure fortunato, perché questa cartolina si trova a cinque minuti di passeggiata dalla mia caverna.
Ehi, però... che ci fanno due tette nella cartolina?
Vedi, se oggi mi fossi accontentato della rassegna stampa del Comune di Torino, l'occhio si sarebbe perso la sua parte.

P.s. la sede de LA STAMPA e del suo giovane direttore di formazione professionale anglosassone si trova proprio lì a due passi.
Proprio vero: si lavora e si fatica, per il pane e...


[technorati tag: , , , , . E con quest'ultima tag dovrei garantirmi un bel po' di visite...]

19 giugno 2009

Donne

Quelle di un minuto e quelle di sempre

Il profumo del suo sesso mi afferra le narici appena un passo prima del semaforo. Come ogni notte lei staziona lì o qualche metro più avanti, nell'attesa che qualcuno paghi il suo amore. Il vestito nero che le fascia i fianchi, se ce ne fosse bisogno, evidenzia il chiarore delle lunghe gambe e i capelli biondi che scendono sulle spalle scoperte. L'ho notata almeno cinquanta metri fa. Se distolgo lo sguardo dai suoi occhi, faccio la figura dello stupido; ma fissandola mi bucherà con quell'imbarazzante domanda, pronunciata con tono burocrate e resa vera solo dall'accento della sua terra slava. In tutta risposta le offro un sorriso finto e un patetico “No, grazie”, nemmeno mi avesse proposto di comprare l'ultimo numero di Lotta Comunista.
Anche se spergiuro che non pagherei mai per il corpo di una donna, al corpo di questa donna non sono indifferente. Ma è già l'una passata da un pezzo, la mia morale e la mia dignità hanno solo voglia di fare le scale in fretta e buttarsi sul letto senza slacciare le scarpe. Infilo la chiave nella toppa.
Cazzo. Si, si può essere così scemi.
Per non portarmi dietro tutto il mazzo, avevo tolto solo le chiavi necessarie e le avevo cacciate in tasca. Peccato che ora ne manchi una, l'unica davvero importante, e che io sia sul pianerottolo, a fissare la porta di casa mia. Per questa notte rimarrà sbarrata.
Rifaccio al contrario la strada dedicata a Madama Cristina. Questa volta, però, cambio prospettiva e decido di percorrere il marciapiede opposto.
È davanti a me, piantata nel bel mezzo del marciapiede, impossibile evitarla. Sembra che stia facendo una danza, ondeggiando lentamente il fondo schiena davanti alla vetrina di un negozio. Non so come faccia, in una serata tanto afosa, a coprirsi dalla testa ai piedi con un cappotto in maglina scura come la sua pelle nera. Si risveglia quando le passo a fianco e sobbalza. Sorrido e le chiedo scusa per averla spaventata. Sgrana gli occhi e mi dice: “no, normale”. Poi borbotta allegra altre cose che non riesco a capire. Ma non ho voglia di fermarmi, ho solo voglia di raggiungere il mio rifugio notturno.
Mezz'ora prima ci eravamo salutati sotto casa sua. La serata era scivolata via davanti al Po dei Murazzi meno ruffiani, l'avevo ascoltata con un certo orgoglio nascosto per bene, mentre mi raccontava contenta e stanca la presentazione del ricorso dei magistrati onorari alla Corte di Giustizia europea. Il “suo” ricorso. Adesso Paoletta mi apre la porta con lo sguardo già assonnato e tenero di chi non prova nemmeno a domandarsi come faccio ad essere così stupido, tanto sa che non otterrebbe soddisfazione.
“Stavo per spegnere il telefono, Denis, mi hai trovata per un pelo”.
“Sarei venuto lo stesso e avrei suonato il citofono”.
Non è vero, non lo avrei mai fatto. Mentre componevo il numero del suo cellulare stavo già pensando che sarei andato a bere qualcosa fino al mattino e che poi avrei cercato una panchina per tirar almeno le 7.
Mi accascio sul futon che ha preparato per me, con lo stessa affettuosa cura che mi regalava a Roma, quando al mattino entrava piano nella stanza dove mi ospitava ogni settimana e appoggiava la tazzina sul tavolino vicino al mio letto. La sentivo appena e mi svegliavo con il profumo del caffè caldo.
Spengo l'allarme del telefono alla prima nota e cerco di non fare troppo casino in bagno, ma sono costretto comunque a svegliare Paoletta, perché la porta, uscendo, non si chiuderebbe da sola alle mie spalle. Amica mia, anche quando ti ho detto stronza mi hai lasciato aperta la tua porta.
Mentre mi trascino per l'ennesima volta sulla via di casa, in mezzo al traffico di chi corre al lavoro, mi chiedo quante volte avrò preso in giro mia mamma, dicendole che, ormai, sta diventando una di quelle vecchiette senza memoria. Questa mattina è arrivato il momento solenne della sua clamorosa rivincita, e suona quasi come la sua vittoria definitiva. La chiamo e dopo mezz'ora viene a salvarmi, portando con se le chiavi di riserva.
Sulla strada per Pinerolo, chiamo di nuovo mia madre, con una scusa qualunque, solo per sentirla.
E faccio l'unica cosa che voglio davvero fare: le dico grazie.

When I was sick as a little kid
To keep me happy there's no limit to the things you did

And all my childhood memories

Are full of all the sweet things you did for me

(You are appreciated...)

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18 giugno 2009

Divieto di sosta

Quando testa e fisico non si parlano

Certo, stamane la sveglia alle 7.30 è stata un po' pesante. Per carità, mica mi lamento, c'è gente che vuole alzarsi alle 6 per vedere le prime ore del giorno e chi deve svegliarsi alle 4 per andare a lavorare lontano che più lontano puoi solo partire il giorno prima. Al confronto alle 7.30 io avrei già perso metà mattina. Però la birra media a cena e le altre due a chiaccherare, la passeggiata di un'ora con le gambe molli e pesantissime, il crollo sul letto che erano già le tre passate. E poi la giornata trascorsa praticamente in macchina, per fare trecentotrenta banalissimi chilometri. E poi la riunione che ha rispettato in pieno il suo copione ed è sforata di quell'ora abbondante. Si un po' mi sento stanco, però sento che dovrebbe essere così ma non lo è davvero, no, non mi sento stanco. Anzi, forse sono anche un po' su di giri, e ho anche deciso che dopo cena esco e raggiungo degli amici a ballare. Ma si, la settimana non è finita, però le energie di ci sono, tanto vale che...
Ehi, ehi, ehi! Mi hanno fregato lo zerbino! No, dico, ma si può?! Sono venuti davanti alla mia porta di casa e si sono fregati il mio zerbino.
Aspetta. Ma io non abito al terzo piano.
Forse è meglio che scenda.

Blinded by the light,
revved up like a deuce,
another runner in the night



[Ma ci sarà mai su Technorati un tag sul ? No, eh?]

13 giugno 2009

Oggi è un altro giorno

Perchè dopo la cena c'è il dopocena

Copione rispettato nei minimi dettagli, fino all'ultimo istante sul pianerottolo.
Ciao ciao ciao a presto grazie alla prossima divertitevi ciao ciao ciao notte.
Sono felice per la serata, credo l'abbiano capito. C'ho provato a farlo capire, con tutti i mezzi possibili, ma proprio tutti, e almeno uno potevo pure evitarlo.
Mi sincero che l'abbiano capito. Come facevamo senza sms?
La finestra è ancora spalancata, sento sferragliare il tram. Come da copione, mi sono addormentato ancora vestito, ho fatto in tempo solo a togliere gli occhiali e a liberare il telefonino dalla stretta della mia mano prolissa. Poi sono crollato e l'abuso di vino bianco mi ha fatto vedere stanze immense piene di grandi divani e donne in preda ai dolori del ciclo mestruale consolate dai loro premurosi compagni.
Mi levo i pantaloni, un po' di dentifricio tra i denti e mi butto sotto il lenzuolo.
Secondo risveglio, ma questa volta senza le scorie oniriche della fase rem.
Sperando che la notte abbia portato qualche novità, guardo i resti sul tavolo. Zero.
No, non sarebbe dignitoso.
Devo aver già lasciato un solco tra il tinello e la camera da letto, passando per l'ingresso.
Non bastano le mie mani e forse nemmeno le mani di un'altra dozzina di persone per contare quante volte ho camminato avanti e indietro. Vediamo se per wikipedia è autismo.
Non sarebbe affatto dignitoso, però potrei alzare il volume della musica. Sono pronto anche a litigare con i vicini, se serve.

We're gonna Stomp
All night
In the neighbourhood
Don't it feel all right
Gonna stomp
All night
Wanna party
'Til the morning light

Avanti e indietro, avanti e indietro, calpestando questo pavimento impotente.
Mi avvicino al cucinino e scosto piano piano la tenda.
Perché mai di qua le cose dovrebbero essere diverse? Infatti non lo sono.
Resti di cibo, pentole incrostate, piatti impilati, bicchieri di tutte le forme, tazzine segnate da fondi di caffè, coltellacci, mezzelune.
No, non sarebbe dignitoso.
Ma io ora ho solo voglia di piangere.

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11 giugno 2009

Notturno

Ratatouille sonora

Mica è stata così sempre alla moda, oh no. Negli anni '80, quelli della Milano da bere, Torino era al massimo la Capitale della Marcia dei Quarantamila, quando non la città fabbrica che andava declinando senza speranze per il futuro. Non c'era la coda per Torino.
Dopo Bob Marley nell'80 e i Rolling Stones nell'82 dei Mondiali spagnoli, allo Stadio Comunale non ci veniva più nessuno. Rod Stewart diede buca, se non erro ad un concerto per raccogliere fondi contro l'aids. Gli Eurythmics, invece, avevano riportato un po' di sano entusiasmo e la convinzione che pure dalle nostre parti si potesse sentire musica dal vivo in uno Stadio. All'epoca m'accontentavo di poco, non ero ancora così affettatamente snob da frequentare solo piccoli locali alternativi di periferia.
Bob Marley. Nell'80 ero troppo piccino per andare al Comunale, appena 11 anni. Mia sorella non lo ricorda, ma appena chiesi a mia madre d'andare a vederlo, con alcuni ragazzi più grandi che bazzicavano l'oratorio, lei la dissuase e la ammonì sul fatto che a quel concerto la gente avrebbe fumato di tutto, per cui non era il caso di mandarci un bambino. Forse aveva ragione mia sorella. Ma in tutta la mia vita non ho mai messo in bocca una sigaretta che sia una...
Rolling Stones. Non lo so perché non andai a vedere una delle due date torinesi. Mick Jagger con la maglia di Pablito e Carlo Massarini che sulla prima pagina della Stampa Sera lo descriveva come "la più grande puttana da palco". Ricordo che ero a letto, con le finestre spalancate, e le note di "Start me up" rimbombarono nella mia stanza.
Eurythmics. Una giornata di sole del 1986 (ringrazio chi ha più memoria di me) e Sex Crime che dal vivo era un'esplosione.
Non ho sonno questa notte. Radio Capital, nemmeno a farlo apposta, mette in fila Rod Stewart, Eurythmics e Bob Marley. I miei dirimpettai sudamericani hanno portato le loro voci a dormire e ora sento solo la musica.
Mi sono cullato per un'ora pulendo melanzane, peperoni, zucchine e patate e adesso aspetto che affoghino per bene nell'olio di cottura. Meno male che invito gente a cena una volta all'anno, perché tre giorni di preparativi non mi bastano.
Maledetto Rod Stewart. Ma poi perché non sei venuto?

I didn't know what day it was
when you walked into the room
I said hello unnoticed
You said goodbye too soon

[You're in my heart]

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Ad un'amica che non c'è più



Avrei dovuto capirlo, forse era un segnale.
Appena uscito dal cinema, mentre tornavo verso la macchina, il telefono mi era sfuggito dalle mani. Uno schianto forte, non so come abbia fatto a non finire in pezzi. Avevo provato a riaccenderlo ma non c'è stato niente da fare: il monitor era andato, il telefono inutilizzabile.
Non era gran cosa, ma mi era costato una cifra, forse per via delle sue ridotte dimensioni.
Da qualche tempo mi chiedevo per quale strana ragione non si fosse ancora rotto. In genere, ho un pessimo rapporto con i cellulari, non mi durano quasi mai più di un paio d'anni. Questo aveva già sfondato ogni record.
Lo conoscevo a memoria, scrivevo i messaggi praticamente ad occhi chiusi, anche se il suo t9, quella geniale invenzione del completamento automatico delle parole, era assai deludente. Niente a che vedere col telefono attuale. Mi tiene compagnia da un mese e il suo t9 ha un vocabolario ricchissimo. Conosce i nomi delle città più disparate e si lascia addomesticare facilmente, consentendo l'inserimento di sempre nuovi vocaboli. Ha una discreta memoria, poiché si rammenta di tutte le ultime parole digitate.
Immagino che dove sei tu ora ci sia sempre la neve e immagino che tu possa sempre sciare, anche in piena estate.
Non lo so se nel posto dove tu sei adesso usiate il cellulare e, tantomeno, il magico t9.
Ma ieri, mentre stavo scrivendo "momenti", il t9 ha fatto tutto da solo e ha scritto "Mondovì".
Sono sicuro che lo avresti apprezzato, Silvia.
Lo sapevo che quella notte stava iniziando a succedere qualcosa ma non avevo voglia di pensarci. Il vecchio cellulare era volato via dalle mie mani e io non potevo più usarlo. Cazzo, lo sapevo che era un segnale.
Avevo conservato l'ultimo messaggio che mi avevi mandato, tanti mesi fa.
Dicevi: "Ti prometto che se guarirò mi innamorerò di te".
Di tanto in tanto andavo a rileggerlo e sorridevo a quel tuo scherzo, tenendomi dentro le lacrime.
Va bene una bugia innocente.
Ma perché due.
Perché...

31 maggio 2009

A volte ritornano

Storie che si ripetono

Graziani, Pulici e Claudio Sala, sotto lo sguardo bonario di nonno Pianelli nel giorno dell'ultimo scudetto del Toro. Immobili per sempre. Passo davanti a quella foto mentre porto a tracolla un attrezzo pesantissimo, e col motore a scoppio, che è stato inventato per tagliare l'erba negli angoli più impervi dei giardini. So già che dovrò pregare per metterlo in moto.
Nonostante la plastica, che in teoria avrebbe dovuto proteggerla, la foto è ingiallita dal tempo e dalla polvere respirata per anni insieme a mio padre, nello stesso magazzino dove lui faceva i materassi. Era ben singolare la compagnia in quel piccolo laboratorio da artigiano: c'era pure John Fitzgerald Kennedy, che faceva capolino da una cornice in legno e vetro, privilegio riconosciutogli per risparmiargli almeno l'aggressione diretta alla stampa, se non quella, inevitabile, dell'offuscamento da polvere. Osservavo quella foto praticamente ogni giorno, e JFK guardava me, sia che stessi correndo per il cortile come Zaccarelli dietro al pallone, sia che avessi ricevuto il raro permesso di cardare la lana, prestando la massima attenzione a non lasciarci le dita delle mani. Quella foto di JFK era la Storia che veniva a farmi visita a casa, entrando dalla porta principale, come le immagini della guerra del Vietnam in televisione. Le uniche figurine che abbia mai raccolto in un album, da bambino, erano quelle della storia dell'umanità: dal pitecantropo ai caschi blu dell'Onu, passando per gli Assiri, Marx e il Dottor Sabin. Ovviamente non poteva mancare Mao Tse Tung, già comparso nei miei ricordi su queste pagine. Si, proprio il Grande Timoniere che, nel giorno della sua morte comunicata interrompendo le trasmissioni radiofoniche mattutine, riuscì a distogliermi dalla mia scavatrice arancione per farmi correre in magazzino da mio padre a dargli la notizia, manco fossi Ruggero Orlando. Settembre 1976, giusto pochi mesi dopo l'ultimo scudetto vinto dal Toro.
Da quando mio padre non c'è più, abbiamo appeso la foto degli eroi granata a Gravere, in quel regno che lui ha amato e curato fino all'ultimo istante di vita.
Eravamo a Gravere la domenica in cui l'urlo di Tardelli ai Mondiali passò per sempre alla storia. Ed eravamo sempre a Gravere la domenica in cui il Toro, sotto di due reti a 10 minuti dalla fine del derby, riuscì a segnare tre gol alla Juve. Tuttosport, il giorno dopo, titolava a caratteri cubitali: Dal Toro con furore.
Questa domenica di maggio sembra arrivata dopo secoli.
Se ci fosse ancora mio padre, forse oggi inorridirebbe. Non solo per l'ennesima retrocessione del nostro Toro, che degli ultimi 20 anni ne ha passati 8 in B. Ma anche per quanto sono maldestro a tagliare l'erba vicino alle sue rose.

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23 aprile 2009

Wireless

Ufficio all'aperto

Le amiche che studiano al tavolino del chiosco e a fatica tengono fermi i fogli.
Le amiche che si baciano su una panchina mentre il vento lascia volare il polline dagli alberi.
Chi usa la panchina come branda e la cartella come cuscino, senza nemmeno slacciare il nodo della cravatta.
Chi sulla panchina fa stendere la fidanzata per spulciarle i punti neri sulla fronte.
I ragazzini che inseguono una bottiglia di plastica sognando la serie A.
I ragazzi che sognano l'estremo oriente mimando lentamente un rito marziale.
I capelli bianchi che si appoggiano zoppicanti a un bastone.
Il canottiere che voga controcorrente e forse maledice pure il sole che si nasconde dietro le nuvole.
La chiatta che non si cura del sole e, tanto meno, dei canottieri.
Le ragazze del “tre senza”, che sfilano sulla passerella d'acqua sfoggiando tute rosa shocking.
I riccioli castano chiari che, sopra una maglia rosa e dei pantaloni verde militare, dall'alto dei loro 80 centimetri, improvvisamente perdono l'innocenza e terrorizzano con urla un piccione che ha la sola colpa di non voler volare.
Mi ricorda una persona che non ho conosciuto da piccola.
Perdo il filo, concentrando la mia attenzione su una ragazza che corre insieme al suo ipod e ad un top talmente esile che non serve troppa immaginazione.

L'impresa di quel noioso e lungo capitolato d'appalti è ardua. Nessun lavoro potrebbe distrarmi ora.

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19 aprile 2009

Naso

Salvezza in mezzo al traffico

Gli usi più comuni sono noti e assolutamente naturali.
Ma è nelle code al semaforo che comprendi perchè Madre Natura ci abbia dotati di un naso e l'abbia fatto con due buchi.
Da lì esce di tutto.
Ed entra di tutto. Da bambino impari dei passatempi che da grande tornano utilissimi quando la noia ti prende al volante.
E se punti lo sguardo fuori dal tuo finestrino, per osservarere gli altri al volante, ne hai la conferma.
No, non ci credo.
Addirittura la forbicina per tagliarsi i peli che spuntano...

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